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Collettivizzazione in Unione Sovietica

La collettivizzazione in Unione Sovietica (in russo: Коллективизация?, traslitterato: Kollektivizacija) del settore agricolo fu imposta dal governo sovietico tra il 1928 e il 1940 (a ovest, tra il 1948 e il 1952) durante il regime di Iosif Stalin. Avviata nel contesto del primo piano quinquennale, tale politica aveva lo scopo di consolidare gli appezzamenti di terra individuali e il lavoro nelle fattorie collettive, divise principalmente in kolchozy e sovchozy. La leadership sovietica sperava che la sostituzione delle fattorie di singoli contadini con quelle collettive, che avrebbe potuto aumentare la fornitura di cibo per la popolazione urbana e la disponibilità di materie prime per le industrie e prodotti agricoli destinati all'esportazione. I pianificatori videro nella collettivizzazione la soluzione alla crisi della distribuzione agricola (soprattutto nelle consegne di grano) che si è sviluppata dal 1927. Questo problema divenne più acuto quando l'URSS intensificò il suo ambizioso programma di industrializzazione, comportando una maggior richiesta di produzione alimentare per tenersi al passo della domanda urbana.Nei primi anni trenta, oltre il 91% del territorio agricolo era stato collettivizzato in seguito all'inclusione nelle fattorie collettive di famiglie contadine con i loro terreni, bestiame, e altre risorse. La collettivizzazione portò a molte carestie, alcune provocate dall'arretratezza tecnologica di allora dell'URSS, ma i critici hanno accusato il governo di azioni deliberate. Il numero di morti stimato dagli esperti è compreso tra i 7 e i 14 milioni.

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