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L'etologia, o biologia comportamentale, è la branca della biologia e della zoologia che studia il comportamento animale. Il termine "etologia" (dal greco ethos e logos, intesi come «carattere o costume» e «studio») indica infatti la moderna disciplina scientifica che studia l'espressione comportamentale degli animali (compreso l'uomo), seguendo gli stessi criteri con i quali viene condotta la ricerca in altri campi della biologia. Il termine racchiude nella maggior parte delle lingue europee l'originaria espressione tedesca vergleichende Verhaltensforschung («ricerca comparata sul comportamento»), utilizzata da Konrad Lorenz, considerato padre fondatore della disciplina.
Il comportamentismo (o behaviorismo o psicologia comportamentale) è un approccio alla psicologia, sviluppato dallo psicologo John Watson agli inizi del Novecento, basato sull'assunto che il comportamento esplicito dell'individuo sia l'unica unità di analisi scientificamente studiabile della psicologia, avvalendosi del metodo stimolo (ambiente) e risposta (comportamento), in quanto direttamente osservabile dallo studioso.
La psicologia della Gestalt (dal tedesco Gestaltpsychologie, 'psicologia della forma' o 'rappresentazione') è una corrente psicologica incentrata sui temi della percezione e dell'esperienza. Nata e sviluppatasi agli inizi del XX secolo in Germania (nel periodo tra gli anni Dieci e gli anni Trenta), proseguì la sua articolazione negli Stati Uniti, territorio nel quale i suoi principali esponenti erano immigrati durante il periodo delle persecuzioni naziste.
La psicologia la scienza che studia gli stati mentali e i suoi processi emotivi, cognitivi, sociali e comportamentali nelle loro componenti consce e inconsce, mediante l'uso del metodo scientifico e/o appoggiandosi ad una prospettiva soggettiva intrapersonale. Si occupa anche dello studio e del trattamento delle funzioni psichiche sia in condizioni di benessere che di sofferenza o disagio mentale, dovute a dinamiche soggetive (intrapsichiche), ambientali o relazionali (interpsichiche).
In psicologia, la resilienza è un concetto che indica la capacità di fare fronte in maniera positiva ad eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità. Sono persone resilienti quelle che, immerse in circostanze avverse, riescono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e persino a raggiungere mete importanti.
La psicologia sociale è una branca della psicologia che studia l'interazione tra l'individuo e i gruppi sociali. Il primo studio di psicologia sociale può essere considerato La psicologia dei popoli (Völkerpsychologie) di Wilhelm Wundt, del 1900 e 1920. Essa però si afferma come disciplina a sé stante negli USA, dagli inizi del XX secolo, con Norman Triplett e William McDougall. Gli psicologi sociali tipicamente spiegano il comportamento umano in termini di interazione tra stati mentali e situazioni sociali immediate. Nella famosa formula euristica di Kurt Lewin (1951), il comportamento (C) viene visto come una funzione (f) dell'interazione tra la persona (P) e l'ambiente (A), concetto sintetizzato da Lewin con C = f ( P , A ) {\displaystyle C=f(P,A)} . L'aggettivo "sociale" rappresenta un dominio interdisciplinare che fa da ponte tra la psicologia e la sociologia. Durante gli anni immediatamente successivi alla seconda Guerra mondiale, ci fu collaborazione frequente tra psicologi e sociologi (Sewell, 1989). Negli anni recenti le due discipline si sono specializzate in modo crescente ed isolate l'una dall'altra, con i sociologi che si concentrano su "macro variabili" (struttura sociale), con estensione molto più ampia. Ciononostante, gli approcci sociologici alla psicologia sociale rimangono un'importante controparte alla ricerca psicologica in questa area.
Della letteratura statunitense (o più genericamente letteratura americana) fanno parte gli scritti e le opere letterarie prodotte nell'America coloniale, prima, e negli Stati Uniti d'America, dalla loro formazione a oggi. Nella storia della letteratura americana possiamo distinguere tre periodi fondamentali: il periodo coloniale (1607-1810) il periodo romantico (1810-1865) il periodo realista (1865-1950 circa)
Burrhus Frederic Skinner (Susquehanna, 20 marzo 1904 – Cambridge, 18 agosto 1990) è stato uno psicologo statunitense altamente influente nell'ambito del Comportamentismo. Fu anche scrittore, inventore, sostenitore di riforme sociali e poeta.
L'anarchia (dal greco antico: ἀναρχία, ἀν, assenza + ἀρχή, governo o principio) è la tipologia d'organizzazione sociale agognata dall'anarchismo, basata sull'ideale libertario di un ordine fondato sull'autonomia e la libertà degli individui, contrapposto a ogni forma di potere costituito, compreso quello statale. Nella sua accezione contemporanea, essa nasce terminologicamente con gli scritti del filosofo politico, economista e sociologo francese Pierre-Joseph Proudhon nella prima metà del XIX secolo, affondando idealmente in concetti propri del pensiero di autori quali l'umanista e politico Tommaso Moro (Utopia), gli illuministi (Condillac, il Marchese de Sade, in parte Rousseau e Diderot) e lo scrittore e filosofo William Godwin. Contributori allo sviluppo del pensiero anarchico, quasi contemporanei a Proudhon, furono l'inventore, musicista e scrittore statunitense Josiah Warren, il rivoluzionario e filosofo Michail Bakunin, lo scrittore Lev Tolstoj e limitatamente ad alcuni sviluppi sopravvenuti nel secolo successivo anche il filosofo individualista tedesco Max Stirner e il pedagogista spagnolo Francisco Ferrer y Guardia. Le interpretazioni che gli storici, i politici e gli stessi anarchici danno dell'anarchia sono varie e ramificate. Nel corso della storia con anarchia non si individua un'univoca forma politica da raggiungere e soprattutto non si concordano necessariamente i mezzi politici da utilizzare, spaziando dalla nonviolenza al pacifismo e all'insurrezionalismo rivoluzionario. Tutto lo spettro anarchico ha tuttavia come nucleo ideologico centrale un elemento comune: la necessità dell'annullamento dello Stato o in ogni caso delle più incombenti forme di potere costituito. Tutti gli anarchici sono cioè concordi nel considerare l'abolizione del potere condizione necessaria e obiettivo finale dell'evoluzione sociale. L'annullamento del potere dello Stato non implica l'annullamento dell'organizzazione sociale, bensì l'evoluzione verso una società non gerarchica in cui spesso viene sostenuta anche l'abolizione della proprietà privata. Le suddette interpretazioni implicano almeno dal punto di vista fattuale una gamma di movimenti e linee di pensiero che spaziano dall'anarco-pacifismo e l'anarchismo cristiano di Lev Tolstoj, all'anarco-comunismo di Pëtr Alekseevič Kropotkin, all'insurrezionalismo di Errico Malatesta e ai movimenti anarchici contemporanei d'ogni genere, a volte slegati dalle teorie fondamentali e dal loro sviluppo storico. Il termine anarchia era ed è a volte impropriamente utilizzato per descrivere il caos nel primigenio significato mitologico e situazioni di disordine sociale quindi di illegalità, spesso mutuando significati propri del caos inteso nel senso fisico di disordine entropico. Per evitare questa confusione tra termine politico e gergale e per sfuggire a censure venne utilizzato contemporaneamente dal 1857 il termine libertario, coniato da Joseph Déjacque e subito utilizzato largamente in Francia aggirando la censura statale. Acrazia infine è analogo termine di uso francofono meno diffuso in lingua italiana. Anarchia, libertarismo e acrazia diventano quindi sinonimi a partire dalla seconda metà del XIX secolo, con sfumature relative al contesto e alle epoche. Con anarchia si intende la prospettiva politica e il progetto sociale mentre con anarchismo, in modo più stringente si intende la teoria in sé e il ramificato movimento concreto di lotta, in gran parte continuazione ideale dell'opera della Rivoluzione francese, epurata dai relativi errori, descritti da Godwin nel saggio Giustizia politica.