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Autore principale: Montani, Pietro <1946- >
Pubblicazione: Firenze : La nuova Italia, 1975
Tipo di risorsa: testo, Livello bibliografico: monografia, Lingua: ita, Paese: it
David Abelevič Kaufman (rus. Давид А́белевич Ка́уфман; Bjelostok, 2 gennaio 1896 – Mosca, 12 febbraio 1954) è stato un regista, sceneggiatore e teorico del cinema sovietico, noto anche come Denis Arkad´evič Kaufman e con lo pseudonimo di Dziga Vertov.
Il Gruppo Dziga Vertov è un collettivo di autori francesi di cinema costituitosi nel 1969, il cui principale esponente è Jean-Luc Godard. Il gruppo si scioglie tra fine 1972 e inizio 1973 dopo avere realizzato 6 lungometraggi. Il collettivo è composto da Jean-Luc Godard, già affermato regista con dieci anni di attività alle spalle, e da Jean-Pierre Gorin; in alcune produzioni assumono un ruolo di rilievo anche Jean-Henri Roger e il cineoperatore Armand Marco, mentre altri nomi partecipano occasionalmente: Gérard Martin, Nathalie Billard, Paul Bourron, Anne Wiazemsky, Nathalie Biard, Raphaël Sorin e Isabel Pons.
Il cinema russo d'avanguardia è quel periodo della storia del cinema russo che ebbe luogo nell'epoca del muto, tra il 1918 e la fine degli anni venti, comprendendo anche alcuni maestri indiscussi dell'arte cinematografica, quali Sergej Michajlovič Ėjzenštejn e Dziga Vertov. La Russia prese i passi dal cinema futurista italiano, con un vero e proprio movimento futurista nazionale. Per i russi però il cinema non fu solo uno strumento per incarnare i "meravigliosi capricci" della modernità (come scriveva Marinetti), ma fu soprattutto l'incarnazione dei nuovi ideali rivoluzionari di libertà, modernità e rinnovamento. A differenza degli italiani, i futuristi russi non volevano estetizzare la vita, ma si proponevano di rinnovare sia l'arte sia la vita, creando un'arte nuova per un mondo nuovo: il mondo della rivoluzione socialista.
Tre canti su Lenin è un documentario del 1934, diretto dal regista sovietico Dziga Vertov. Rientra nel "genere" cinematografico del documentario di propaganda e sancì l'apogeo ufficiale del regista sovietico, insieme al suo progressivo isolamento da parte del regime. Il film è scandito da tre canti popolari dell'Uzbekistan che ne caratterizzano le tre parti: la prima - "Il mio volto era in una buia prigione" - è dedicata al tema della liberazione, la seconda - "Noi l'amavamo" - su Lenin stesso e la terza è incentrata sui propagandistici progressi dell'URSS, con la presenza di interviste ad un'operaia, un colcosiano e una contadina. Lenin viene spesso evocato come il Messia di una rivoluzione mondiale. Tre canti su Lenin è un documentario "lirico", per il particolare trattamento musicale del materiale d'archivio. A lungo gli studiosi di cinema hanno considerato quest'ultimo film il migliore della produzione vertoviana, anche per il suo immediato successo sia in patria che all'estero. Il regista con quest'opera sembra snaturare tutta la propria attività cinematografica precedente, incentrata su uno sperimentalismo originale ma anche inviso a un regime che sta imponendo, proprio a partire dal 1934, il "realismo socialista". In realtà Vertov cerca sempre nuove sperimentazioni nel campo documentaristico, e Tre canti su Lenin è in coerenza con questo progetto: per la prima volta il regista ha voluto produrre un'opera d'arte, seguendo intenti puramente estetici; a conferma di quest'ultima considerazione, da ricordare la straordinaria qualità della partitura musicale, orchestrata da Saporin. Vertov vuole realizzare un progetto di celebrazione politica, vuoto di qualsiasi facile retorica: ciò viene realizzato recuperando una traccia inedita di Lenin, culturalmente determinata dalla musica di commento (basata principalmente su canti popolari orientali).
Gli spettacoli nell'antica Roma erano numerosi, aperti a tutti i cittadini ed in genere gratuiti; alcuni di essi si distinguevano per la grandezza degli allestimenti e per la crudeltà. I Romani frequentavano di preferenza i combattimenti dei gladiatori, quelli con bestie feroci (venationes), le riproduzioni di battaglie navali (naumachia), le corse di carri, le gare di atletica, gli spettacoli teatrali dei mimi e le pantomime. Quarant'anni dopo l'invettiva di Giovenale (n. tra il 55 e il 60–m. dopo il 127) che rimpiangeva la sobrietà e la severità repubblicana di un popolo che ormai aspirava solo al panem et circenses, al pane e agli spettacoli, Frontone (100-166), quasi con le stesse parole, descriveva sconsolato la triste realtà: La classe dirigente romana considerava infatti suo compito primario quello di distribuire alimenti una volta al mese al popolo e di distrarlo e regolare il suo tempo libero con gli spettacoli gratuiti offerti nelle festività religiose o in ricorrenze laiche.
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