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Antiquitatum variarum

Antiquitatum variarum volumina XVII ("Diciassette volumi di antichità varie") è una ponderosa opera pubblicata nel 1498 sotto il titolo originale di Commentaria fr. Ioannis Annii Viterbiensis super opera diversorum auctorum de antiquitatibus loquentium (Roma: Eucharius Silber, 1498). L'opera, che si presentava come una sterminata compilazione di antichissime cronache ritrovate, accompagnate dal commento del compilatore, ma venne in maniera postuma accusata essere una complessa e ingegnosa falsificazione ordita dal frate domenicano Annio da Viterbo (pseudonimo umanistico di Giovanni Nanni, 1437-1502), erudito quattrocentesco. L'opera, nota anche come Antichità di Annio, intendeva pubblicare gli annali dei sacerdoti caldei, egizi e altri scritti di filosofi greci come supplemento alla cronologia biblica, e propose una visione radicalmente nuova della storia universale, in cui la tradizione caldea e aramea ed egizia veniva direttamente connessa e riconciliata con le radici della storia d'Europa. Venne accusato di falso per avere con il suo scritto messo da parte l'intera tradizione culturale e storiografica greca. In realtà la componente greca costituisce gran parte dell'opera, e personaggi greci come Fetonte vengono collocati sul fiume Eridano padano proprio in accordo con le storie greche. L'opera riscosse una grande fortuna, con numerose edizioni a stampa, anche in volgare, valendogli molte onorificenze da parte del papà Alessandro VI, che lo nominò Gran Maestro del Sacro Palazzo. Ma molto tempo dopo la sua morte, nel secolo successivo alla pubblicazione, venne tacciato essere una colossale falsificazione. Gli effetti dell'opera si protrassero comunque fino al XVII secolo (ne fa uso, ad esempio, Athanasius Kircher, seppure in maniera paradossale) e, in misura occasionale, fino al XVIII secolo. Questo strascico prolungato ha costretto gli studiosi che intendevano screditarlo a dover ripetutamente ritornare sulla dimostrazione della falsità dell'opera, con una ferocia tale da non permettere all'opera la riabilitazione nemmeno dopo le scoperte archeologiche otto-novecentesche che hanno riesumato le tavolette sumere che confermavano parte dei racconti da lui attribuiti a Beroso, insieme alla scoperta dei materiali costruttivi come il bitume da lui citati, che all'epoca dello scrittore erano sconosciuti, tant'è che lo stesso Sansovino interprete in una nota esplicativa ipotizza si trattasse di un tipo di argilla. Lo stesso dicasi per le prove archeologiche relative ai 5 diluvi riportati dall'autore nelle sue cronache di Beroso, che non hanno minimamente condotto ad un cambio di atteggiamento nei riguardi del testo.. Non è mancato un tentativo di riabilitazione novecentesca da parte di un appartenente al suo stesso ordine domenicano né, infine, una pubblicazione accademica su una rivista scientifica peer reviewed che fa riferimento ai resoconti di Beroso di Annio. Il contenuto del libro è di portata così vasta e precisa che è stato infatti molto difficile convincere i lettori che una mente umana fosse capace di inventare informazioni del genere (annali reali con nomi, anni, luoghi, materiali che si sono ritrovati solo 500 anni dopo con i grandi scavi, e lui non poteva conoscere se non dalle effettive cronache del sacerdote caldeo) ma ciò non impedì lo sforzo di discredito, che riuscì bene. Veniva però specificato, bello screditare, che l'opera di Annio non fosse in effetti equiparabile a una semplice "falsificazione", ma a un processo creativo di "reinvenzione simbolica di tradizioni", in grado di toccare a fondo le "corde [...] della sensibilità del tempo", come dimostra la "vasta e tenace fortuna" che il lavoro di Annio era destinato a incontrare in tutta Europa.

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