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Publio Ovidio Nasone, noto semplicemente come Ovidio (in latino Publius Ovidius Naso; Sulmona, 20 marzo 43 a.C. Tomi, 17 o 18 d.C.), stato un poeta romano, tra i principali esponenti della letteratura latina e della poesia elegiaca. Fu autore di molte opere, il cui corpus tradizionalmente suddiviso in tre sezioni. La prima parte, che si colloca tra il 23 a.C. e il 2, rappresentata dalle opere elegiache di argomento amoroso e comprende gli Amores, le Heroides (Epistulae heroidum) e il ciclo delle elegie a carattere erotico-didascalico. La seconda parte, tra il 2 e l'8, caratterizzata dalle Metamorfosi (Metamorph ses o Metamorph on libri) e dai Fasti. La terza e ultima parte, compresa tra l'8 e la morte, include le elegie dell'invettiva e del rimpianto: Tristia (Tristezze), Epistulae ex Ponto (Lettere dal Ponto), Ibis. Fu autore anche di altre opere, andate oggi perdute, tra cui una Gigantomachia e una tragedia, la Medea. La fama di Ovidio fu grande in vita quanto nelle epoche successive alla sua morte: ne riprendono i temi o ne imitano lo stile, tra gli altri, Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio, Ludovico Ariosto, William Shakespeare, Giambattista Marino e Gabriele D'Annunzio. Inoltre, innumerevoli sono gli spunti che le Metamorfosi hanno fornito a pittori e scultori italiani ed europei.
L'Ibis è un poemetto imprecatorio scritto da Ovidio. È la terza operetta scritta dal poeta durante il suo esilio a Tomi, l'odierna Costanza; composto di 322 distici elegiaci, attacca un anonimo romano, di origine africana, prima amico, poi avversario di Ovidio e suo calunniatore. Il nome dell'opera deriva dall'ibis, l'uccello egiziano a cui la fantasia popolare attribuiva la perversa abitudine di detergersi il posteriore con il becco; già il Levitico lo considerava animale impuro.
Attilio Momigliano (Ceva, 7 marzo 1883 – Firenze, 2 aprile 1952) è stato un critico letterario italiano.
L'Appendix Vergiliana è una raccolta di carmi di vario metro, tradizionalmente attribuiti a Publio Virgilio Marone, ma probabilmente composti tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. fra Roma e Napoli. Le probabilità che siano stati scritti proprio da Virgilio sono in realtà molto basse, per alcuni addirittura nulle. Il termine appendix fu usato per la prima volta dall'umanista Giuseppe Giusto Scaligero nel 1572 e si riferisce alla consuetudine di stampare questi testi tutti assieme e in appendice alle opere di Virgilio. I carmi sono di diversa lunghezza e valore e costituiscono più un prodotto intellettuale che non poetico.