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La battaglia di Salamina (in greco antico: ἡ ἐν Σαλαμῖνι ναυμαχία, hē en Salamîni naumachía) fu uno scontro navale che si svolse probabilmente il 23 settembre del 480 a.C., in piena seconda guerra persiana, che vide contrapposti la lega panellenica, comandata da Temistocle ed Euribiade, e l'impero achemenide, comandato invece da Serse I di Persia. Lo stretto tra la polis di Atene e l'isola di Salamina, sita nell'attuale golfo Saronico, fu il teatro dello scontro. Per bloccare l'avanzata persiana, un contingente limitato di Greci sotto comando spartano aveva ingaggiato la battaglia delle Termopili e la flotta a prevalenza ateniese aveva combattuto presso Capo Artemisio ottenendo rispettivamente una sconfitta e una sostanziale parità dovuta alla ritirata verso Salamina, seguita all'apprendimento dell'esito del contemporaneo scontro. Superato il passo delle Termopili, i Persiani erano penetrati in Beozia e in Attica, conquistando queste due regioni e costringendo i Greci ad allestire una linea difensiva all'altezza dell'istmo di Corinto. Nonostante lo svantaggio numerico, la lega panellenica capitanata dal generale ateniese Temistocle, fu da lui costretta a intraprendere un secondo scontro con la flotta avversaria, nella speranza che una vittoria navale allontanasse il pericolo di un attacco via mare del Peloponneso; anche Serse I era ansioso di poter scendere nuovamente a battaglia. Il sotterfugio escogitato da Temistocle scompose i piani del Gran Re e la flotta persiana, accecata dall'apparenza di una vittoria semplice, entrò nello stretto di Salamina tentando di bloccare lì le navi greche con una manovra di accerchiamento. Tale era l'angustia dello stretto, inadatto al combattimento di un così gran numero di navi, che il territorio si rivelò ben presto inadatto alle massicce navi persiane, impedite fra di loro nel compiere le manovre. Cogliendo l'opportunità propizia, la flotta greca si dispose per la battaglia e riuscì a ottenere una vittoria decisiva. Perduta la flotta, essenza vitale del suo esercito, Serse ritornò in Asia con la gran parte dei soldati rimanenti e concesse a Mardonio di scegliere alcune unità per portare a termine la conquista della Grecia: quanti passarono sotto il suo comando vennero tuttavia sconfitti l'anno successivo durante la battaglia di Platea, quasi contemporanea alla battaglia di Micale che si svolse in Asia. Dopo questa guerra i Persiani rinunciarono a qualsiasi altro tentativo di conquistare l'entroterra greco: si può dire che gli scontri di Salamina e Platea segnarono il punto di svolta nel contesto degli scontri tra Greci e Persiani, dato che da allora i Greci cominciarono una politica aggressiva nei confronti degli avversari che ebbe l'apice della propria pericolosità con la battaglia dell'Eurimedonte. Un gran numero di storici ritiene che una eventuale vittoria persiana avrebbe ostacolato lo sviluppo della civiltà greca e in senso più esteso di quella occidentale, affermando quindi che questa battaglia sia stata una delle più importanti di tutti i tempi.
Temistocle, del demo di Frearri (in greco antico: Θεμιστοκλῆς, Themistoklês, "Gloria della legge"; Atene, tra il 530 e il 520 a.C. – 459 a.C. circa), è stato un politico e militare ateniese. Tra i primi politici di spicco della giovane democrazia di Atene, condusse una politica a favore del popolo, ricevendo perciò il supporto delle classi meno abbienti della città, e generalmente in contrasto con le famiglie nobili. Eletto arconte nel 493 a.C., fu l'artefice della potenza navale di Atene, la cui flotta diventerà la più grande e potente di tutta l'antica Grecia. Negli anni successivi alla battaglia di Maratona e durante la seconda guerra persiana diventò il politico più influente di Atene. Continuò a sostenere la necessità di una grande forza navale e nel 483 a.C. persuase gli Ateniesi a costruire una flotta di 200 triremi, che si sarebbe rivelata fondamentale nel successivo conflitto con la Persia. Comandò la flotta ateniese nelle battaglie di capo Artemisio e di Salamina. Contrastato nel suo programma di avvicinamento ad Argo e sospettato di atteggiamenti tirannici, fu ostracizzato circa nel 472 a.C. (o forse nel 471 a.C.) dagli avversari politici Alcmeonidi e Filaidi, più propensi ad appoggiare Cimone, sostenitore dell'alleanza con Sparta. Prese allora dimora ad Argo, da dove cercò, insieme a Pausania, di sollevare nel Peloponneso un moto democratico contro Sparta per procurare ad Atene il dominio dell'Ellade. Scoperta la sua trama, gli spartani lo accusarono di aver tentato, insieme a Pausania, un'alleanza con la Persia; condannato a morte, fuggì dapprima in Magna Grecia; più tardi venne accolto dal re Artaserse I di Persia. Alla fine trovò dimora a Magnesia, dove morì in date e circostanze sconosciute, secondo molti suicida per non aver tenuto fede alle promesse fatte al re persiano. Sarà Pericle a riabilitare la sua memoria e a riconoscerlo come un eroe della causa ateniese. In accordo col giudizio di Plutarco, può essere considerato «l'uomo che più di tutti ha contribuito alla salvezza della Grecia» dalla minaccia persiana. La sua politica navale ebbe un effetto a lungo termine sulla storia di Atene, permettendo ai suoi successori la creazione dell'Impero ateniese.
La seconda guerra persiana è stata il secondo tentativo di aggressione, invasione e conquista della Grecia ad opera dei Persiani, comandati da Serse I di Persia: si è svolta tra il 480 e il 479 a.C. all'interno del più vasto panorama delle guerre persiane, campagne militari aventi come ultimo scopo la sottomissione della Grecia all'impero achemenide. Tale guerra è la conseguenza diretta della fallimentare prima guerra persiana, svoltasi tra il 492 e il 490 a.C., condotta per ordine di Dario I di Persia e conclusasi con la ritirata degli aggressori in seguito alla sconfitta a Maratona. Dopo la morte di Dario, suo figlio Serse impiegò vari anni per pianificare la seconda spedizione, dovendo infatti raccogliere una flotta e un'armata di dimensioni colossali. Gli Ateniesi e gli Spartani guidarono la resistenza ellenica, sovraintendendo un'alleanza militare accordata tra circa trentuno poleis, e detta lega panellenica; tuttavia la maggior parte delle città rimase neutrale o si sottomise spontaneamente al nemico. L'invasione cominciò nella primavera dell'anno 480 a.C., quando l'armata persiana attraversò l'Ellesponto e marciò in direzione della Tessaglia, attraversando la Tracia e la Macedonia. L'avanzata terrestre delle forze persiane fu però bloccata presso il passo delle Termopili, dove un piccolo esercito guidato dal re spartano Leonida I ingaggiò una fallimentare ma storica battaglia con il nemico. Grazie alla resistenza opposta presso le Termopili, i Greci riuscirono a bloccare l'armata persiana per due giorni: quest'ultima ebbe però la meglio nel momento in cui riuscì ad aggirare l'avversario, a causa dell'aiuto del greco Efialte di Trachis, il quale attraverso un altro ingresso sulla montagna, controllato da poche sentinelle, li fece passare, intrappolando e massacrando la retroguardia greca. Contestualmente, la flotta persiana venne bloccata per due giorni da quella stanziata da Atene e dai suoi alleati presso Capo Artemisio: quando giunse la notizia della disfatta presso le Termopili, la flotta ellenica si trasferì più a sud, in direzione dell'Isola di Salamina, dove avrebbe poi ingaggiato con quella stanziata dall'impero achemenide l'omonima battaglia navale. Nel frattempo, le forze persiane avevano sottomesso la Beozia e l'Attica, riuscendo a giungere sino ad Atene, città che venne conquistata e incendiata: tutti i suoi abitanti si erano già messi in salvo. Tuttavia, la strategia ellenica riuscì a impedire l'avanzata persiana in quanto aveva previsto una seconda linea di difesa a livello dell'Istmo di Corinto, che venne fortificato a protezione del Peloponneso. Entrambi gli schieramenti ritenevano che la battaglia di Salamina sarebbe potuta essere decisiva per l'evoluzione dello scontro. Il generale ateniese Temistocle riuscì a sconfiggere la flotta persiana, battuta per la sua disorganizzazione dovuta alle piccole dimensioni del braccio di mare che ospitò la battaglia, compreso tra le coste dell'Attica e l'isola di Salamina. La vittoria fu presagio di una rapida conclusione dello scontro: in seguito alla sconfitta, Serse, temendo che i suoi soldati potessero rimanere intrappolati in Europa, decise di tornare in Asia e di lasciare in Grecia solo pochi soldati alla guida del generale Mardonio. La primavera seguente, gli Ateniesi e i loro alleati riuscirono a riunire un grande schieramento oplitico, che fecero poi marciare verso nord contro Mardonio, appoggiato dalla città di Tebe, che lo ospitò. Sotto la guida di Pausania l'esercito ellenico ebbe in seguito modo di combattere la battaglia di Platea, durante la quale provò nuovamente la sua superiorità, infliggendo una grave sconfitta ai Persiani e riuscendo ad uccidere Mardonio. Nello stesso giorno la flotta greca dimostrò la sua superiorità distruggendo quella persiana durante la battaglia di Micale, dopo aver attraversato il Mar Egeo. Dopo questa duplice sconfitta, i Persiani furono costretti a ritirarsi e persero la loro storica influenza economica e commerciale sul Mar Egeo. L'ultima fase della guerra, identificabile come sua conclusione e terminata nel 479 a.C., vede un contrattacco da parte delle forze elleniche che decidono infatti di passare all'offensiva, arrivando a scacciare i Persiani dall'Europa, dalle isole dell'Egeo e dalle colonie greche della Ionia.
La prima guerra d'indipendenza italiana è un episodio del Risorgimento. Fu combattuta dal Regno di Sardegna e da volontari italiani contro l'Impero austriaco e altre nazioni conservatrici dal 23 marzo 1848 al 22 agosto 1849 nella penisola italiana. Il conflitto fu preceduto dallo scoppio della rivoluzione siciliana del 1848 contro i Borbone. Fu determinato dalle sommosse delle città di Milano (Cinque giornate) e Venezia che si ribellarono all'Impero austriaco e si dettero governi propri. Una parte del conflitto, quella combattuta dal re di Sardegna Carlo Alberto contro l'Austria in Italia settentrionale, è associata al genere della "guerra regia" e fu composta da due campagne militari. In entrambe le campagne fu il Regno di Sardegna ad attaccare l'Impero austriaco e in entrambe fu sconfitto, perdendo la guerra. Gli episodi determinanti della prima e seconda campagna furono la battaglia di Custoza e la battaglia di Novara. All'inizio della guerra regia il Regno di Sardegna fu appoggiato dallo Stato Pontificio e dal Regno delle Due Sicilie che però si ritirarono quasi subito senza combattere. Volontari dell'esercito pontificio e di quello napoletano si unirono tuttavia agli altri volontari italiani e combatterono contro l'Austria. Durante la guerra regia scoppiarono in diversi stati preunitari (Stato Pontificio, Granducato di Toscana, ecc) moti rivoluzionari non riconducibili agli ideali liberali del Piemonte. La storiografia fa confluire tali moti, assieme ai fatti della rivoluzione siciliana successivi al 23 marzo 1848, nella prima guerra di indipendenza associandoli alla “guerra di popolo” che in questo contesto fallì, terminando con la restaurazione delle vecchie istituzioni. Per le rivoluzioni scoppiate al loro interno, il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio si trovarono schierati nella guerra di popolo sul fronte opposto rispetto a quello della guerra regia, nella quale inizialmente erano favorevoli al Piemonte. Nel contesto della guerra di popolo, infine, diede il suo primo contributo al Risorgimento quale comandante militare Giuseppe Garibaldi, anch'egli sconfitto come il re di Sardegna Carlo Alberto che abdicò in favore del suo primogenito Vittorio Emanuele.
Gli italiani alla battaglia di Curtatone e Montanara, che fu combattuta nell’ambito della prima guerra d'indipendenza italiana, furono circa 5.400 fra toscani e napoletani. Essi difesero il 29 maggio 1848 l’ala destra dello schieramento dell’esercito di Carlo Alberto di Savoia dall’offensiva aggirante austriaca del generale Josef Radetzky. I tosco-napoletani, molti dei quali erano volontari, furono sconfitti, ma la loro strenua resistenza consentì all’esercito piemontese di organizzarsi ed evitare l’aggiramento battendo poi gli austriaci nella successiva battaglia di Goito che costituisce il proseguimento dello scontro di Curtatone e Montanara.
Artemisia I di Caria (in greco antico: Aρτεμισία, Artemisía; Alicarnasso, fine VI secolo a.C. – Leucade, V secolo a.C.) dopo la morte del marito, di cui è ignoto il nome, divenne sovrana delle città di Alicarnasso, in Asia minore, e dei territori annessi di Coo, Nisiro e Calinda. È ricordata soprattutto per la sua partecipazione alle battaglie di Capo Artemisio e di Salamina (480 a.C.) come alleata dell'Impero achemenide contro la coalizione greca, nel corso della seconda guerra persiana. Artemisia, unica donna col grado di comandante nella flotta di Serse, era alla guida di cinque triremi, che avevano un'ottima reputazione fra tutte le navi del Re dei Re, seconda solo a quella delle navi di Sidone.
Con Cinque giornate di Milano si fa riferimento all'insurrezione armata avvenuta tra il 18 e il 22 marzo 1848 nell'allora capitale del Regno Lombardo-Veneto che portò alla temporanea liberazione della città dal dominio austriaco. Fu uno dei moti liberal-nazionali europei del 1848-1849, nonché uno degli episodi della storia risorgimentale italiana del XIX secolo, preludio all'inizio della prima guerra d'indipendenza italiana: la rivolta, infatti, influenzò le decisioni del re di Sardegna Carlo Alberto che, dopo aver a lungo esitato, approfittando della debolezza degli Austriaci in ritirata, dichiarò guerra all'Impero austriaco dando inizio alla prima guerra d'indipendenza italiana.
La battaglia di Goito fu un episodio della Prima guerra di indipendenza italiana. Ebbe luogo il 30 maggio 1848 quando l'esercito austriaco di Josef Radetzky attaccò il 1º Corpo d'armata dell'esercito piemontese di Carlo Alberto schierato a protezione dei ponti sul Mincio presso Goito, nel Lombardo-Veneto austriaco. La battaglia si concluse con la vittoria dei piemontesi comandati dal generale Eusebio Bava. Con essa il piano strategico di Radetzky di aggiramento dell’esercito nemico schierato sul Mincio, nonostante la vittoria di Curtatone e Montanara del giorno prima, fallì. La vittoria dei piemontesi fu però solo tattica, perché l’esercito austriaco conservò la sua forza e l’iniziativa di manovra che aveva acquisito dopo la battaglia di Santa Lucia. La sua rivalsa non tardò infatti a manifestarsi nella battaglia di Monte Berico del 10 giugno successivo, scontro con il quale Radetzky conquistò Vicenza.
La battaglia di Curtatone e Montanara è un episodio della prima guerra d'indipendenza italiana. Ebbe luogo il 29 maggio 1848, quando le forze austriache di Josef Radetzky, uscendo da Mantova, tentarono l'aggiramento dell’esercito piemontese. Gli austriaci attaccarono il punto debole dello schieramento avanzato di Carlo Alberto di Savoia, costituito dalle posizioni dei contingenti toscano e napoletano fra i due paesi di Curtatone e Montanara. Lo schieramento avanzato italiano fu sopraffatto, ma la sua strenua resistenza consentì all’esercito piemontese di organizzarsi ed evitare l’aggiramento, battendo poi gli austriaci nella battaglia di Goito che costituisce il proseguimento dello scontro di Curtatone e Montanara.