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In diritto, la cosiddetta Scuola Culta è un movimento dottrinale di giuristi che operarono verso la fine del Medioevo per il rinnovamento del diritto allora vigente al fine di comporre una "culta giurisprudenza" filologicamente coerente con le sue radici storiche giustinianee. Nel XV secolo alcuni umanisti notarono infatti che il testo del Digesto utilizzato nella scuola e nella prassi era pieno di errori e che sarebbe stato opportuno correggerlo ricorrendo al manoscritto più antico all'epoca disponibile: la famosa Lìttera Pisana (divenuta Florentina, od anche nota come Pandette Fiorentine, a seguito della conquista di Pisa da parte di Firenze). A letture successive, ed in un'ottica più strettamente giuridica, si è potuto riassumere il problema affrontato dalla Scuola culta come la degradazione del corpus di istituti giustinianei attraverso la sempre più possente infiltrazione della Glossa, l'interpretazione, a scapito della lettera del testo: come sintetizzato da Paolo Grossi, "il testo giustinianeo altro non è se non un chiodo piantato nel muro, al quale si attacca un filo del tutto autonomo rappresentato dall'interpretatio". L'errore, sotto un profilo giuridico, nasce allorquando si verificano casi di susseguenze di interpretazioni (pur talvolta indispensabili, come nei casi di incoerenze fra passi dello stesso Digesto) che portano alla fine ad estrema distanza o contraddizione rispetto alla lettera del Corpus Iuris; per esempio, nell'epoca in cui si richiedeva il consolidamento del diritto feudale e con questo prendeva corpo la teoria del dominio diviso, effetto di mera interpretazione creativa, il problema si faceva di grande rilevanza. Ciò anche se l'attività dei glossatori, fiorita intorno all'XI secolo, si era poi ridimensionata sino a pressoché esaurirsi nella metà del XIII secolo, allorché Accursio, pubblicando e facendo circolare la sua Magna Glossa, in pratica aveva codificato, consolidandola, la massa delle interpretazioni correnti. La contrapposizione fra un diritto strettamente ancorato alla lettera del testo ed uno invece dipendente dall'interpretazione, era stata resa celebre dagli allievi di Irnerio, Bulgaro e Martino, proprio al sorgere dell'ondata glossatoria dell'XI secolo. Si erano avuti dunque alcuni secoli in cui l'interpretazione aveva guadagnato terreno, salvo arrestarsi nel suo procedere per l'azione stabilizzatrice di Accursio. La Scuola culta tendeva ora, perciò, al recupero di una sorta di ortodossia giustinianea (ed oltre l'imperatore direttamente riferita al diritto romano "puro"), e ad una riabilitazione del dogmatismo, ribaltando la prevalenza assunta nel frattempo dal disinvolto diritto giurisprudenziale, che massimamente di glossa si nutriva e non più del testo, e per questo teneva per faro la luce antica dei manoscritti conservati in Toscana. Le Pandette Pisane, altro nome con cui variamente si identifica unitariamente il cospicuo materiale d'archivio in quel tempo conservato a Pisa, erano conservate come vere e proprie reliquie nella chiesa allora detta di San Pietro in Vincoli (poi di San Pierino) presso la Prioria dei Monaci Olivetani, e molti autori si soffermarono a suffragarne ovvero confutarne l'autenticità anche in epoche di molto successive. Con altrettanto scrupolo furono portate a Firenze, senza cagionar loro danni, secondo una epistola di Anton Minucci, giureconsulto di Pratovecchio che le aveva consultate per studio sia prima che dopo il trasporto. Nel XVIII secolo fu fiorente, e vivido, il dibattito su queste Pandette ed in particolare sul punto della loro "pura" autenticità; il giureconsulto olandese Arrigo Brencmanno, denunciò che la custodia pisana non fosse stata affatto impeccabile. Ma anche sulla supposta provenienza da Amalfi (elemento di rilievo sempre per la conferma dell'originalità) vi fu polemica, e vi fu chi, come l'avvocato napoletano Donato Antonio D'Asti, rigettò sia questa asserita provenienza che quella per donazione a Pisa da Lotario, un'altra delle ipotesi riguardanti questi manoscritti. Per gli studiosi della Scuola culta, ad ogni modo, la Littera era autentica, e come tale fu presa a riferimento per lavorare sugli ordinamenti correnti ad emendarne le incoerenze. Come sottolineato dal Fort, fu però ad opera di un grammatico, e non di un giurista, che si ebbe il primo lavoro filologico sullo studio del diritto, e questi fu Angelo Poliziano, che completò la sua recensione, o collazione, della littera per poi passarla al Bolognino per ulteriore raffinazione. Nel 1553 la revisione apportata dal Poliziano, dal Bolognino e dai Domenicani di Bologna fu applicata da Lelio Torelli, che era giudice nella Firenze di Cosimo I, e come "genuina lezione" delle antiche Pandette, pubblicata. Molti giuristi aderirono a questa ventata innovatrice, che innovava guardando all'antico. Fra i primi giureconsulti filologi italiani ci furono Emilio Ferretto, ravennate, ed Andrea Alciato, milanese. All'estero si notarono i contributi di Guillaume Budé (francese), dell'alemanno Ulrich Zasius e del portoghese Goveano, allievo del Ferretto. Circa l'importanza dei rispettivi apporti, il Forti éleva l'Alciato un buon gradino sopra gli altri, anche per la sua influenza indiretta sulla Scuola di Bourges, il più importante fra i circoli di questa nouvelle doctrine e quello in cui operò il Duareno (François Douaren), quasi un allievo dell'Alciato stesso. Sempre in Francia, ma critico nei riguardi della Scuola culta, cui pure apparteneva, François Hotman fu uno dei principali detrattori dell'opera di Triboniano, compilatore del Corpus Iuris, nonché dell'insegnamento nozionistico-mnemonico del diritto. Jacques Cujas si interessò anch'egli di Triboniano, del quale analizzò l'opera alla ricerca di quei passaggi nei quali il diritto romano autentico era stato modificato. Principi della Scuola culta erano: la ricostruzione filologica del testo (ricerca e riscoperta dei testi antichi); la contestualizzazione e storicizzazione (ricerca del significato autentico del testo); il ripensamento del sistema giuridico: si mette in discussione il principio di autorità del mos italicus (le leggi romane sono realmente valide?)
La Biblioteca Medicea Laurenziana, anticamente chiamata Libreria Laurenziana, è una delle principali raccolte di manoscritti al mondo, nonché un importante complesso architettonico di Firenze, disegnato da Michelangelo Buonarroti tra il 1519 e il 1534. Essa custodisce 68.405 volumi a stampa, 406 incunaboli, 4.058 cinquecentine e, soprattutto, 11.044 pregiatissimi manoscritti, nonché la maggiore collezione italiana di papiri egizi. Vi si accede dai chiostri della basilica di San Lorenzo a Firenze, da cui il nome Laurenziana. Medicea deriva invece dal fatto di essere nata dalle collezioni librarie di membri della famiglia Medici. Tra le più importanti opere ricordiamo: la Littera Florentina del VI sec dC, Codice Squarcialupi, Codice Fiorentino, Bibbia Amiatina, i Dialoghi platonici in carta bona di Lorenzo il Magnifico, e il Virgilio Laurenziano.
Le Pandette Pisane, o Codex Pisanus, note anche come Littera Florentina o Codex Florentinus sono un manoscritto conservato presso la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, considerato particolarmente importante in quanto riporta pressoché interamente (sebbene non manchino le lacune all'interno del testo) la parte più rilevante del Digesto, compilazione delle opere dei principali giuristi romani voluta dall'imperatore bizantino Giustiniano I, con una datazione molto vicina a quella della stesura originale.
Fucecchio (pronuncia /fuˈʧekkjo/; fučékki̯o, Ficeclum in latino) è un comune italiano di 23 076 abitanti della città metropolitana di Firenze in Toscana, nel Valdarno inferiore. Fa parte dell'Unione dei Comuni del Circondario Empolese Valdelsa e del Comprensorio del Cuoio.
Il Digesto (latino Digesta o Pandectae) è una compilazione in 50 libri di frammenti di opere di giuristi romani realizzata su incarico dell'imperatore Giustiniano I. Promulgato il 16 dicembre 533 con la costituzione imperiale bilingue Tanta o Δέδωκεν entrò in vigore il 30 dicembre dello stesso anno. Il Digesto è una parte del Corpus iuris civilis, una raccolta di materiale normativo e giurisprudenziale: il nome digesto deriva dal titolo delle raccolte effettuate da giuristi privati che utilizzavano appunto questo termine per indicare le antologie ragionate di iura. Le altre parti sono le Institutiones e il Codex. Una quarta parte, le Novellae Constitutiones, fu aggiunta successivamente. Il termine "Digesto" deriva dal latino digestus, participio perfetto del verbo digerere: "disporre classificando gli argomenti in modo ordinato"; i Digesti sono detti anche "Pandette", dal greco πανδέκται, "onnicomprensivi, riguardanti qualsiasi materia", per indicare la completezza delle norme della raccolta.
Il Corpus iuris civilis o Corpus iuris Iustinianeum (529-534), in italiano Corpus Giustinianeo, è la raccolta di materiale normativo e materiale giurisprudenziale di diritto romano, voluta dall'imperatore bizantino Giustiniano I (imperatore dal 527 al 565) per riordinare il sistema giuridico dell'impero bizantino. L'opera è stata redatta e completata in un tempo relativamente breve grazie al lavoro del giurista più importante dell'Impero romano d'Oriente, ossia Triboniano, la cui opera fu fondamentale nella riorganizzazione e definitiva sistemazione delle leggi all'interno del Corpus. Ha rappresentato per secoli la base del diritto comune europeo, sino agli inizi del XIX secolo quando venne considerato superato dal codice napoleonico.
La chiesa e convento di San Matteo sono un complesso religioso medievale situato in Piazza San Matteo in Soarta a Pisa. Con la fondazione del monastero di monache benedettine nel 1027, la chiesa fu riedificata sopra una precedente chiesetta a tre absidi. Fu ampliata nel XII e nel XIII secolo, mentre il monastero ingloba edifici precedentemente separati in un complesso quadrilatero intorno a un cortile. L'attuale aula unica fu risistemata nel Seicento mentre la facciata è del 1610.
La basilica di San Francesco si trova ad Assisi, è il luogo che dal 1230 conserva e custodisce le spoglie mortali del santo serafico. Voluta da Papa Gregorio IX quale specialis ecclesia, venne insignita dallo stesso Pontefice del titolo di Caput et Mater dell'Ordine minoritico e contestualmente affidata in perpetuo agli stessi frati. Fa parte delle proprietà non extraterritoriali della Santa Sede. Nella complessa storia che ha segnato l'evoluzione dell'Ordine, la basilica (e l'annesso Sacro Convento) fu sempre custodita dai cosiddetti "frati della comunità", il gruppo che andò in seguito a costituire l'Ordine dei Frati Minori Conventuali. Presso la Chiesa sepolcrale della Basilica dove fu eretto l'altare sulla tomba del Santo, il 19 novembre 1585, il papa francescano Sisto V, con la bolla Supernae dispositionis istituiva l'Arciconfraternita dei Cordigeri. Nel 1754 Benedetto XIV l'ha elevata alla dignità di Basilica patriarcale (dal 2006 "Basilica papale") e Cappella papale. Nell'anno 2000, insieme ad altri siti francescani del circondario, la basilica è stata inserita nella Lista del patrimonio dell'umanità dell'UNESCO.