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Il ruolo di genere, la condizione femminile e i diritti delle donne in Egitto sono cambiati lungo tutto il corso della storia, dall'antichità all'era moderna. Dalle prime documentazioni archeologiche conservate si rileva che le donne egiziane furono considerate quasi uguali agli uomini all'interno della società, indipendentemente dallo stato civile. Attualmente lo stato dei diritti femminili in Egitto è molto povero, con la presenza di mutilazioni genitali femminili, delitti d'onore, matrimoni forzati e molestie sessuali, i quali rimangono gravi problemi da affrontare per le donne; nel 2013, infatti, l'Egitto è stato classificato come il peggior paese nel mondo arabo per quanto riguardava la condizione delle donne. Nonostante tutto, negli ultimi anni i movimenti femministi stanno provando a spezzare vari tabù e ad affrontare la stigmatizzazione sociale, talvolta anche violenta, che la donna subisce nel Paese, svolgendo lavori "maschili" ostracizzati dalla società patriarcale egiziana (nel 2016 Om Waleed è diventata la prima donna al Cairo a ricoprire il ruolo di tassista). Sempre nel 2015/2016 è stata anche inaugurata la prima stazione di servizio femminile in Egitto. In una società che comunque vive sotto un patriarcato conservatore e fortemente repressivo l'emancipazione femminile rimane conunque abbastanza difficile, in particolar modo nelle zone rurali, dove la maggior parte della popolazione vive in condizioni di estrema povertà e non possiede una sufficiente istruzione: lo dimostra l'attrice Rania Youssef, che sarà processata per "oscenità" dopo aver indossato in una cerimonia, nel dicembre 2018, un abito troppo scollato, rischiando una pena massima di 5 anni di reclusione . Nel novembre 2017 la pop star Shaimaa "Shyma" Ahmed è stata condannata a due anni di reclusione, pena poi commutata in un anno, per aver pubblicato un videoclip considerato immorale e con materiale sessualmente esplicito vestita in abiti intimi (la giovane è intenta a mordere una banana, versandoci sopra delle patatine mentre provoca dei ragazzi) dal titolo "I have Issues" . Le donne presenti nella Camera dei rappresentanti (dati 2015) è pari al 14,9% del totale, le donne nella forza lavoro per il 2014 assommano al 26%, e il Global Gender Gap Report per il 2013 era a 0.5935 (125ª posizione su 144 stati). Nel settembre 2016 Noha Elostaz è stata la prima donna a vincere una causa per molestie e violenze sessuali in Egitto; ciò ha comportato un aumento di denunce all'interno del Paese (tuttavia, molte donne ancora non si sentono sicure di denunciare il proprio aggressore) . Nel febbraio 2017 Abdel Fattah al-Sisi nomina Nadia Abdou come donna governatrice per la prima volta nella storia dell'Egitto moderno. La neogovernatrice punta su turismo e investimenti per rilanciare la zona . Secondo il Gender Gap Report 2019 l'Egitto si classifica 134º su 153 paesi per quanto riguarda i diritti delle donne con un ranking di 0.629 da un punteggio che va da 0 a 1. Punteggio di gran lunga superiore alle statistiche del 2006, ovvero un punteggio di 0,579 su 1. Restano comunque scarse le possibilitò di raggiungere alte cariche statali. La partecipazione economica è salita dallo 0.416 del 2006 allo 0.438 su 1 del 2019. Solo il 24,7% delle donne partecipa alla forza lavorativa nel paese. Solo il 7,1% di loro fa parte dei menager e giudici/legislatori del Paese. Il tasso di alfabetizzazione è del 65,5%, il 98,8% di loro ha concluso gli studi primari, l'83,3% ha concluso gli studi secondari, il 35,8% ha conseguito una laurea. L'aspettativa di vita è di 62,4 anni per le donne. Solo il 14,9% del Parlamento è composto da donne, mentre per quanto riguarda le cariche di ministro, solo il 24,2% è ricoperto da donne. L'età del primo figlio è di 27,6 anni, mentre i figli in media sono 3,33 a donna.
L'evoluzione della condizione e dei diritti delle donne in Asia coincidono con l'evolvere della storia stessa del continente; essi corrispondono anche con le culture che si sono via via sviluppate al suo interno. Donne asiatiche che hanno raggiunto un ruolo di notevole importanza all'interno del loro paese sono la rivoluzionaria, scrittrice e femminista cinese dei primi del Novecento Qiu Jin; la filippina Corazón Aquino; l'indiana Indira Gandhi e l'italoindiana Sonia Gandhi; la pakistana Benazir Bhutto e l'israeliana Golda Meir.
Il ruolo di genere, la condizione femminile e i diritti delle donne nella Turchia contemporanea sono determinati da una continua lotta militante in materia di uguaglianza di genere, elementi che concorrono ad includere le condizioni richieste per la candidatura all'Unione europea, contro le politiche prevalenti che favoriscono modelli restrittivi basati sul patriarcato. Le donne turche continuano ad essere vittime di stupro e delitto d'onore; la ricerca svolta dagli studiosi più accreditati e dalle agenzie governative indica inoltre una diffusa presenza di violenza domestica tra la popolazione maschile. Le donne sono costrette ad affrontare anche disparità significative nel campo occupazionale e, in alcune regioni, in quello dell'istruzione femminile. La partecipazione delle donne alla forza lavoro è inferiore alla metà della media europea e mentre diverse campagne sono state intraprese con successo per promuovere l'alfabetizzazione femminile, esiste ancora una forte sacca di divario ta i sessi nell'istruzione secondaria ed un sempre più crescente divario nell'istruzione superiore. Vi è anche una diffusione a macchia d'olio del matrimonio infantile, pratica quest'ultima che è particolarmente presente nelle parti più orientali e centrali del paese. La discriminazione basata sul genere è espressamente vietata dalla costituzione del 1982. Il movimento del femminismo turco prese avvio nel corso del XIX secolo in concomitanza con il declino e la primissima modernizzazione dell'impero ottomano; questo movimento è stato abbracciato, dopo la caduta dell'Impero ottomano e la proclamazione della Turchia repubblicana da parte dell'amministrazione di Mustafa Kemal Atatürk (1922), attraverso riforme modernizzatrici che includevano il divieto di poligamia e la fornitura di diritti completi alle donne turche entro il 1934. Il tasso di occupazione secondo l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico per il 2015 è fermo al 30,5%, mentre il "Global Gender Gap Index" è attestato per il 2013 a 0.6081, alla 120ª posizione su 144 paesi. Il Global Gender Gap Report 2019 su 153 paesi analizzati la Turchia si posiziona 130esima con un punteggio di 0,635 su 1,000 (nel 2006 la posizione era 105esima con un punteggio di 0,585 su 1,000). La percentuale di donna lavoratrici è del 37,5%; la percentuali di manager e giudici in Turchia donne è del 14,8% mentre di lavoratori e operatori professionisti è del 40,1%. Il 93,5% delle donne turche sono alfabetizzate, l'87,2% e l'86% delle donne hanno conseguito un'istruzione primaria e secondaria. Il 17,5% delle donne sono parte del parlamento mentre i ministri donna sono l'11,8%. L'età media per una donna quando mette al mondo il primo figlio è di 28,6 anni con una media di 2,08 figli a donna.
L'evoluzione della condizione femminile e dei diritti delle donne in Africa sono legati alla cultura e alla storia dell'Africa. Numerosi studi brevi sono comparsi nel corso del tempo che hanno affrontato la storia delle donne nel continente e nelle nazioni africane; sono inoltre emerse numerose indagini che hanno inserito l'Africa subsahariana nell'ambito della storia delle donne. Vi sono studi e ricerche per paesi e regioni specifiche come l'Egitto, l'Etiopia, il Marocco, la Nigeria e il Lesotho. Gli studiosi hanno rivolto espressamente la loro attenzione agli eventi innovativi per la storia delle donne africane, come la musica del Malawi, le tecniche di tessitura di Sokoto e la linguistica storica.
I diritti delle donne in Afghanistan sono cambiati in maniera significativa nel corso degli ultimi anni, in particolare dopo il 2001, con la caduta del regime islamico, il quale aveva imposto terribili limitazioni ai loro danni. Le donne afgane, de jure, hanno gli stessi diritti dell'uomo dal 26 gennaio 2004, rifacendosi alla Costituzione del 1964. Dopo la caduta del regime i diritti delle donne sono tornati a fiorire e al giorno d'oggi godono di certo un migliore status rispetto al periodo precedente. Nonostante sia stato ripristinato il codice civile del 1976 e quello della famiglia del 1971, dove la donna afgana gode di buoni diritti, la mentalità da sempre estremamente conservatrice da parte degli afgani non è comunque d'aiuto all'emancipazione femminile, in quanto, de facto, la donna ha molte limitazioni lavorative e sociali nelle zone rurali dove i talebani o i capi villaggio contano più della legislazione nazionale stessa, ripristinata nel 2001. Ancora oggi la violenza contro le donne in tutto il paese è molto alta, anche se la situazione sta poco per volta progredendo grazie anche all'aiuto della comunità internazionale. Il Global Gender Gap Report non ha mai analizzato l'Afghanistan come paese per quanto riguarda i diritti delle donne, ma di certo non è uno dei paesi più femministi al mondo. Nelle zone rurali infatti, dove i capi tribù decidono tutto della vita delle persone, l'adulterio può essere anche punibile con la lapidazione; mentre in altre le adultere possono essere punite con una piccola reclusione presso le case aiutando e servendo i loro capo tribù. Il codice civile afghano del 1976 restaurato nel 2001, prevede invece che la donna adultera venga punita con la reclusione. Sempre nelle zone rurali è spesso imposto l'utilizzo del burqa, che secolarmente imprigiona le donne afghane rurali; mentre nelle zone più sviluppate, come nella capitale Kabul, è abbastanza comune vedere anche donne che indossano l'hijab o che utilizzano anche abiti considerati un po' occidentali, come anche pantaloni o camicie. Infatti, negli ultimi anni, l'utilizzo del burqa nelle zone più urbanizzate e ricche sembra diminuito significativamente. Nonostante i progressi fatti al giorno d'oggi, l'Afghanistan è considerato ancora uno dei Paesi peggiori in cui essere donna, proprio a causa del fortissimo dislivello sociale nelle zone rurali e in quelle urbanizzate.
La storia del femminismo è la narrazione cronologica degli eventi riconducibili ai movimenti e alle ideologie rivolti all'uguaglianza di genere, al miglioramento della condizione femminile e ai diritti delle donne. Mentre le femministe in tutto il mondo si sono differenziate in cause, obiettivi e intenzioni a seconda del tempo, della cultura e del paese di riferimento, la maggior parte degli storici del femminismo occidentale affermano che la totalità dei movimenti che operano per far ottenere pari diritti per le donne vanno considerati come movimenti femministi, anche quando non applicano il termine a se stessi. Altri storici limitano il termine al movimento femminista moderno, alla sua progenie e ai suoi seguaci e utilizzano invece l'etichetta di protofemminismo per descrivere i movimenti precedenti. La storia femminista moderna occidentale viene suddivisa in tre periodi (o "ondate") temporali ben precisi, ognuno con obiettivi leggermente diversi, fondati sul progresso femminile verificatosi precedentemente. La prima ondata femminista del XIX e della prima metà del XX secolo si concentra eminentemente sul ribaltamento delle disuguaglianze legali, in particolare sul suffragio femminile; le rivendicazioni principali riguardano, oltre al diritto di voto, il diritto al lavoro in condizioni sostenibili e l'istruzione femminile per donne e bambine. La seconda ondata femminista (1960-1980) ha ampliato il dibattito per includervi anche le disuguaglianze culturali, la disparità ancora esistenti nelle norme legali e il ruolo di genere delle donne all'interno della società. La terza ondata femminista (anni 1990-2000) si viene a riferire a diversi ceppi di attività femminista; viene inteso come una continuazione della "seconda ondata" e una risposta alla percezione dei suoi fallimenti. Anche se il costrutto delle "ondate" è stato usato comunemente per descrivere la storia del femminismo, il concetto è stato sottoposto a critiche per il suo ignorare e cancellare la storia intercorrente tra le diverse "ondate", scegliendo invece di concentrarsi esclusivamente solo su alcune figure famose e sugli eventi maggiormente popolari.
Con stupri di guerra si intendono gli stupri commessi da soldati, altri combattenti o civili durante un conflitto armato, una guerra o un'occupazione militare che vanno distinti da violenze sessuali commesse tra soldati in servizio attivo. Nella categoria 'stupri di guerra' rientrano anche le situazioni nelle quali le donne sono costrette a prostituirsi o a diventare schiave sessuali dalle forze occupanti, come nel caso delle comfort women durante la seconda guerra mondiale. Durante le guerre e i conflitti armati, gli stupri sono usati di frequente come strumento di una guerra psicologica nel tentativo di umiliare il nemico e minare il suo morale. Le violenze sessuali sono spesso sistematiche e complete, e i comandanti possono realmente incoraggiare i loro soldati ad usare violenza con i civili. Queste violenze possono accadere in diverse situazioni, incluso l'istituzionalizzazione della schiavitù sessuale, stupri associati a specifiche battaglie o massacri e atti individuali o isolati di violenza. Gli stupri di guerra comprendono anche violenze sessuali di gruppo e violenze con obiettivi specifici, sempre durante un conflitto armato e con soldati come autori delle violenze stesse. Lo stupro di guerra e la schiavitù sessuale sono oggi riconosciuti dalle convenzioni di Ginevra come crimini contro l'umanità e crimini di guerra. Lo stupro oggi è anche affiancato al crimine di genocidio quando commesso con l'intento di distruggere, in parte o totalmente, un gruppo specifico di individui. In ogni caso, la violenza sessuale rimane diffusa in zone di guerra.
I diritti della comunità LGBT in Italia sono cambiati in maniera significativa nel corso degli ultimi anni, anche se le persone LGBT possono ancora affrontare ostacoli dal punto di vista legale non incontrati da cittadini non-LGBT per quanto riguarda le adozioni e il riconoscimento del matrimonio egualitario contratto all'estero. Nonostante ciò, l'Italia è considerata una nazione gay-friendly e l'opinione pubblica sull'omosessualità è generalmente considerata sempre più liberale, anche se le persone LGBT possono ancora essere vittime di casi di omofobia, in particolare nelle zone rurali, dove ancora prevale la mentalità conservatrice. In Italia, i rapporti omosessuali sia maschili sia femminili non sono più puniti per legge dal 1 gennaio 1890, con l'entrata in vigore del Codice Zanardelli. Con la legge numero 164 del 14 aprile 1982, l'Italia divenne il terzo paese al mondo, dopo la Svezia (1972) e la Germania (1980), ad aver consentito alle persone transgender di cambiare legalmente sesso. Nell'ottobre 1984, a Pescara, Gabriella Cacciagrano, di 23 anni, è stata la prima donna transessuale a contrarre matrimonio in Italia (con un ragazzo di 26 anni), dopo il riconoscimento del suo nuovo sesso nel 1982. Nel 1995 Marcella Di Folco diventa la prima donna apertamente sottopostasi a un'operazione per il cambio di sesso a coprire una carica pubblica al mondo, diventando consigliere comunale di Bologna. Il 25 febbraio 2016, dopo 30 anni di proposte in Parlamento, il Senato ha approvato una legge sulle unioni civili; nello stesso periodo un sondaggio ha dimostrato come una larga maggioranza degli italiani sia a favore delle unioni civili (69%), la maggioranza è a favore del matrimonio (56%), mentre solo il 37% è a favore del diritto all'adozione coparentale per le coppie LGBT.La legge n. 76 sulle unioni civili, più nota come "legge Cirinnà", approvata dalla Camera l'11 maggio 2016, garantisce la maggior parte dei diritti garantiti dal matrimonio. Il diritto di poter adottare il figlio del partner, però, è stato all'ultimo rimosso dalla legge e, pertanto, la questione si è spostata sul piano giudiziario. La stessa legge fornisce sia alle coppie omosessuali sia a quelle eterosessuali che si trovano in una situazione di convivenza alcuni diritti minimi. Le unioni civili e le convivenze di fatto sono legalmente riconosciute dal 5 giugno 2016, con l'entrata in vigore della legge. Sebbene le discriminazioni in campo lavorativo basate sull'orientamento sessuale siano vietate, in attuazione di una direttiva dell'Unione europea, sin dal 9 luglio 2003, nessun'altra legge nazionale contro le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale o l'identità di genere è stata al momento introdotta ampliando il divieto di discriminazione negli altri settori a livello nazionale; peraltro, alcune regioni italiane si sono mosse in tal senso con alcune leggi a efficacia limitata sin dal 2004. Secondo Ilga Europe 2020, l'Italia si classifica 35º su 49 paesi europei per quanto riguarda i diritti delle persone LGBT, proprio a causa della mancanza di una legge specifica contro l'omobilesbotransfobia relativamente ai crimini e ai discorsi d'odio, il cui voto alla Camera dei deputati si è protratto dal 27 ottobre al 4 novembre 2020, con la sua approvazione, passando quindi all'esame del Senato. È dal 2006 che il Parlamento europeo richiede all'Italia di colmare questo vuoto legislativo. In ogni caso, anche se non presenti altre leggi esplicite contro le discriminazioni, gli atti omofobi vengono puniti in base ad altre norme di legge e spetta al giudice stabilire o meno l'aggravante dell'odio omotransfobico in caso di aggressioni. Il 30 settembre 2020 sulla Gazzetta Ufficiale viene riportato che l'AIFA ha stabilito che tutti i farmaci ormonali usati per il processo di femminilizzazione delle donne transgender e per il processo di virilizzazione degli uomini transgender saranno gratuiti in tutta Italia a partire dal 1º ottobre 2020. Tutti coloro che saranno in processo di transizione e che avranno ricevuto una diagnosi di disforia di genere o di incongruenza di genere da «una équipe multidisciplinare e specialistica dedicata avranno quindi il diritto di essere sostenuti dallo Stato. Potranno essere distribuiti, gratuitamente, solo nelle farmacie ospedaliere.»
La condizione femminile in Italia ha compiuto, nel tempo, moltissimi progressi, di gran lunga significativi; e le donne si sono viste riconoscere durante il XIX e il XX secolo sempre maggiori diritti, che precedentemente erano riconosciuti solo agli uomini. I pieni diritti tra uomo e donna in Italia sono garantiti e pienamente riconosciuti dal 1 gennaio 1948, con l'entrata in vigore della nuova Costituzione Italiana. Al giorno d'oggi, tuttavia, possono permanere alcune disuguaglianze in ambito politico, sociale ed economico che devono essere ancora pienamente superate. Al 2020, infatti, solo cinque donne hanno ricoperto 3 delle 5 massime cariche dello Stato: la carica di presidente del Senato è stata ricoperta da una donna per la prima volta da Maria Elisabetta Alberti Casellati, in carica dal 24 marzo 2018; quella di presidente della Camera per ben tre volte, da Nilde Iotti (1979-1992), Irene Pivetti (1994-1996) e Laura Boldrini (2013-2018); quella di presidente della Corte Costituzionale per la prima volta dal 2019 al 2020 da Marta Cartabia, in carica per 9 mesi con la scadenza naturale del suo incarico istituzionale. Due tra le cinque massime cariche dello Stato (la prima e la quarta) non ancora ricoperte da donne al momento sono quella del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio.