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La Sicilia (provincia Sicilia in latino) fu una provincia romana e comprese la Sicilia, le isole minori dell'arcipelago siciliano e l'arcipelago maltese, anche se inizialmente rimasero formalmente indipendenti la Siracusae di Gerone II e Messina. La Sicilia fu la prima provincia romana e viene indicata come tale anche in un passo di Cicerone dalle Verrine: La dominazione romana in Sicilia prese le mosse dalla vittoria di Torquato Attico e Catulo sulle truppe cartaginesi di Annone nella battaglia delle isole Egadi (combattuta, secondo la tradizione riportata da Flavio Eutropio e da Giovanni Zonara, il 10 marzo 241 a.C.), che pose fine in favore dei Romani alla Prima guerra punica. L'isola fu il primo territorio conquistato dalla Repubblica romana fuori dalla penisola italica e per questo diede luogo a una nuova forma di amministrazione, forse ricalcata in parte sul modello che i Cartaginesi usavano per l'isola. Anche se è certamente in Sicilia che risiedono le premesse del nuovo istituto della provincia, non è chiaro se la Sicilia sia stata creata provincia per prima (in un qualche momento tra il 241 e il 227 a.C.) o se invece fu creata tale nel 227, in contemporanea alla provincia Sardinia et Corsica, quando ai già esistenti praetor urbanus (creato nel 366 a.C.) e praetor peregrinus (creato nel 242 a.C.) si aggiunsero due praetores provinciales, uno per la provincia Sicilia e uno per la provincia Sardinia et Corsica.L'isola sperimentò poi diverse ristrutturazioni amministrative, a partire dal 210 a.C., quando Marco Valerio Levino tolse l'autonomia alle poleis siceliote e conquistò anche la parte orientale dell'isola, di modo che la parte centro-occidentale prese il nome di vetus provincia, come testimonia Livio (XXIV, 44, 4).La lex Rupilia del 131 a.C., nata dopo i moti della prima guerra servile, riformò ulteriormente l'amministrazione, senza comunque modificare né l'assetto sociale né l'economia basata sul latifondo.Durante la dominazione romana in Sicilia, fino al tempo di Cicerone, fiorirono le città delle coste settentrionale e orientale. Rimase vigorosa l'impronta greca dell'isola e la lingua latina iniziò ad affermarsi solo nel I secolo a.C.Con Augusto (imperatore dal 27 a.C.), la Sicilia fu affidata ad un proconsole, sempre dell'ordine senatorio, ma rimase una provincia publica: non si ritenne infatti di posizionarvi truppe, come si faceva per le province imperiali. Analogamente alle altre province amministrate da un proconsole, rispetto ai precedenti due, si ebbe un solo questore.L'imperatore Diocleziano, asceso al potere nel 284, riordinò le province, raddoppiandone il numero. La Sicilia rimase però una provincia a sé, entrando a far parte della Dioecesis Italiciana. Con Costantino I o più probabilmente sotto i suoi eredi, fu inclusa nella prefettura del pretorio d'Italia e nella diocesi dell'Italia Suburbicaria. Fino al V secolo l'isola godette di un periodo senza guerre e in essa non erano stanziate truppe. A partire dal 429 la Sicilia fu soggetta alle incursioni dei Vandali di Genserico. L'isola fu poi attaccata in forze nel 440, ma conquistata stabilmente dai Vandali solo a partire dal 468.Celebre è il detto di Catone il Censore (234-139 a.C.), secondo cui la Sicilia era «il granaio della repubblica, la nutrice al cui seno il popolo romano si è nutrito». Altrettanto celebre è il processo intentato a Gaio Verre, propretore della provincia dal 73 a.C. al 71 a.C., contro cui Cicerone pronunciò, per l'accusa, le orazioni In Verrem, che rappresentano una delle fonti più importanti per la Sicilia dell'epoca.
La seconda venuta o parusìa (dal greco παρουσία, parusía = "visita ufficiale", "arrivo"), anche detta secondo avvento o, più estesamente, seconda venuta di Cristo, è, nel cristianesimo, la credenza nella seconda manifestazione di Gesù in un tempo imprecisato, a seguito della quale verrebbe portata a compimento la redenzione del mondo. Si tratta di una linea di pensiero che ha attraversato tutta la storia del cristianesimo fino al periodo attuale, ed è stata oggetto di studi sia teologici che antropologici e sociologici.
Redenzione nel cristianesimo si riferisce al perdono o assoluzione dai peccati o errori commessi, e protezione dalla dannazione e disgrazia, eterna o temporanea – è la salvezzaspirituale dal peccato e dalle sue conseguenze. Il concetto può quindi essere incluso nell'ambito del termine di "salvezza" o "virtù redentiva che apporta grazia e salvezza", redimendo dal peccato e dai suoi effetti negativi.Varianti interpretative della redenzione sono le principali linee di frattura che dividono le diverse confessioni cristiane, sia tra cattolicesimo e protestantesimo, sia nell'ambito del protestantesimo stesso, in particolare nella disputa tra calvinismo e arminianesimo; tali divergenze includono definizioni contrastanti della depravazione totale, della predestinazione, dell'espiazione e, più acutamente, della giustificazione.
Il Cristo Pantocràtore (Χριστός Παντοκράτωρ; dal greco pas, pasa, pan [tutto] e kràtein [dominare con forza, avere in pugno]) è una raffigurazione di Gesù in gloria, tipica dell'arte bizantina e in genere paleocristiana e anche medievale, soprattutto presente nei mosaici e affreschi absidali. Egli è ritratto in atteggiamento maestoso e severo, seduto su un trono, nell'atto di benedire con le tre dita della mano destra, secondo l'uso poi rimasto nella chiesa ortodossa. La disposizione delle dita della mano sinistra spesso tende a formare una "X" con indice e medio e una specie di "C" con pollice, anulare e mignolo, rappresentando le lettere iniziali e finali del nome "Cristo" in greco antico (Χριστός). Nell'altra mano tiene un libro, il Vangelo, che può essere chiuso o aperto sulle parole apocalittiche "Io sono l'Alfa e l'Omega" o salvifiche "Io sono la luce del mondo."
L‘amore di Cristo è un elemento centrale della fede e teologia cristiane. Si riferisce sia all'amore di Gesù Cristo per l'umanità, sia all'amore dei cristiani per Cristo. Questi due aspetti non sono distinti nella dottrina cristiana — l'amore per Cristo è un riflesso del suo amore per i propri seguaci.Il tema dell'amore è un elemento fondamentale degli scritti giovannei. Nel Vangelo di Giovanni, la Pericope del Buon Pastore (Giovanni 10:1-21) simbolizza il sacrificio di Gesù basato sul suo amore. In questo vangelo, l'amore per Cristo risulta dal seguire i suoi comandamenti, espressi nel suo "Discorso di commiato" (Giovanni 14:23) che afferma: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola". Nella Prima lettera di Giovanni (4:19), la natura riflessiva di questo amore è enfatizzato: "Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo", esprimendo l'amore per Cristo come rifrazione dell'amore di Cristo. Verso la fine dell'Ultima Cena, Gesù dà ai propri discepoli un nuovo comandamento: L'amore di Cristo inoltre è un motivo delle lettere di Paolo. Il tema basilare della Lettera agli Efesini è quello di Dio Padre che inizia l'opera di salvezza tramite Cristo che volontariamente si sacrifica in amore e obbedienza al Padre. Efesini 5:25 asserisce: "Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei". Efesini 3:17-19 collega l'amore di Cristo alla conoscenza di Cristo e considera l'amore per Cristo una necessità per conoscerlo: Molte figure cristiane di spicco hanno descritto e spiegato l'amore di Cristo. Agostino d'Ippona ha scritto che "il comune amore della verità unisce le persone, il comune amore di Cristo unisce tutti i cristiani". Benedetto da Norcia voleva che i suoi monaci "non anteponessero nulla all'amore di Cristo". Tommaso d'Aquino affermò che sebbene sia Cristo che Dio Padre avessero avuto il potere di fermare coloro che uccisero Cristo sul Calvario, nessuno dei due lo fece, a causa della perfezione dell'amore di Cristo. L'Aquinate opinava anche che, poiché "l'amore perfetto" scaccia il timore, Cristo non ebbe paura, perché il suo amore era del tutto perfetto. Teresa d'Avila reputava che l'amore perfetto fosse un'imitazione dell'amore di Cristo.