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Nicola Sala (Tocco Caudio, 7 aprile 1713 – Napoli, 31 agosto 1801) è stato un compositore e insegnante italiano.
Il Libro di Giuditta (greco Ιουδίθ, iudíth; latino Iudith) è un testo contenuto nella Bibbia cristiana cattolica (Settanta e Vulgata) ma non accolto nella Bibbia ebraica (Tanakh). Come gli altri libri deuterocanonici è considerato ispirato nella tradizione cattolica e ortodossa, mentre la tradizione protestante lo considera apocrifo. Ci è pervenuto in una versione greca di circa fine II secolo a.C., sulla base di un prototesto ebraico perduto composto in Giudea attorno a metà II secolo a.C. È composto da 16 capitoli descriventi la storia dell'ebrea Giuditta, ambientata al tempo di Nabucodonosor (605-562 a.C.), "re degli Assiri". La città giudea di Betulia è sotto assedio da parte di Oloferne, generale assiro, e viene liberata grazie a Giuditta. Il Libro di Giuditta è entrato piuttosto tardi e dopo alcune incertezze - nel 382 d.C. in occidente e nel 692 d.C. in oriente - nella Bibbia cattolica e ortodossa, mentre è stato escluso dalla Bibbia ebraica e da quella protestante. Secondo gli studiosi della École biblique et archéologique française (i curatori della Bibbia di Gerusalemme) - concordemente a quelli del "Nuovo Grande Commentario Biblico" e dell'interconfessionale Bibbia TOB - il testo è caratterizzato da "un'indifferenza totale nei confronti della storia e della geografia". Ad esempio, il tragitto compiuto dall'esercito di Oloferne è del tutto inverosimile e cita alcune città storicamente non conosciute e altre invece note ma riportate in modo geograficamente non coerente; anche le città di Betulia e Betomestaim sono storicamente sconosciute, nonostante le precisazioni topografiche e benché Betulia - al centro della narrazione nel libro - sia presentata come città in posizione strategica per il controllo dell'accesso verso la Giudea. Sempre secondo gli studiosi della École biblique et archéologique française, il tragitto compiuto dall'esercito di Oloferne è una "«sfida» alla geografia" della regione, che era evidentemente sconosciuta all'autore del resoconto. Oltre a ciò, Oloferne è un nome di origine persiana e anche Nabucodonosor - che viene detto regnasse a Ninive sugli Assiri - in realtà regnò tra il 605-562 a.C. sui Babilonesi, non sugli Assiri, e al suo tempo Ninive era già stata distrutta (nel 612 a.C.) da suo padre Nabopolassar; Arpacsàd (o Arfacsàd), invece, citato come regnante in Ecbàtana, è un nome sconosciuto alla storia. Nel Libro di Giuditta, inoltre, il ritorno dall'Esilio babilonese - che avverrà solo sotto Ciro il Grande nel 538 a.C. - viene descritto come già accaduto. Anche gli esegeti della Bibbia Edizioni Paoline confermano che "i dati storici, cronologici e topografici della narrazione lasciano perplessi. Un Nabucodonosor re degli Assiri, residente in Ninive, è sconosciuto alla storia. Sconosciuto è altresì un monarca medo di nome Arpacsad. Oloferne, comandante dell’esercito assiro, e Bagoas, suo maggiordomo, portano nomi persiani. [...] I luoghi attraversati dall'esercito di Oloferne in marcia verso l’Occidente e la stessa località di Betulia, epicentro dell’azione militare, sono immaginari".
Il bagitto è un dialetto giudeo-italiano utilizzato dagli Ebrei in Italia e in Toscana e in Corsica in senso lato e in senso stretto dalla comunità di Livorno. Si tratta di un linguaggio misto giudeo-livornese, con una base assai prossima all'italiano, arricchito di componenti toscane, spagnole, portoghesi, ebraiche, arabe e tracce di greco, turco ed yiddish, con una produzione anche letteraria che si è prolungata fino agli anni cinquanta del XX secolo. Per capire questa mescolanza bisogna tener conto che la comunità ebraica di Livorno usava: l'ebraico antico come lingua sacra, il portoghese come lingua ufficiale della comunità (sino all'epoca napoleonica); lo spagnolo sefardita come lingua di testi letterari ed epigrafici; l'italiano, come lingua dei rapporti con la società toscana.Il bagitto propriamente detto era dunque la forma espressiva degli ebrei livornesi, prevalentemente usato come gergo specializzato nei rapporti interni alla comunità. In tutto l'ebraismo sefardita sono presenti alcune caratteristiche linguistiche comuni. La base è il castigliano del Cinquecento parlato con un forte accento nasalizzato. Sono frequenti gli scambi di consonanti e di vocali e molto numerosi i prestiti dall'italiano. La parlata giudeo-portoghese, caratteristica della prima comunità ebraica livornese, lasciò relativamente poche tracce a fronte di un prevalere della componente ebraico-spagnola. La letteratura in bagitto non è ricca, ma significativa. Si ricordano, tra gli ebrei, Cesarino Rossi, Guido Bedarida e Mario della Torre (Meir Migdali); tra i non ebrei (che impiegano il bagitto, o meglio, una sua banalizzazione) a scopi di dileggio, Giovanni Guarducci. Con la dispersione della comunità ebraica livornese a seguito degli avvenimenti della seconda guerra mondiale del bagitto sono rimaste solo poche tracce.