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La biblioteca di Leonardo

Assieme ai numerosi codici, quaderni e fogli autografi, nel 1519 Leonardo lasciò in eredità all'allievo Francesco Melzi la propria intera biblioteca. Secondo le stime, questa doveva comprendere oltre centocinquanta volumi, un numero ragguardevole se consideriamo che raramente, nel corso del Quattrocento, un privato "non litterato" arrivava a possedere più di trenta volumi. L'amorevole e diligente cura che il Melzi mostrò nella conservazione delle carte di Leonardo è cosa nota sin dall'epoca dei suoi contemporanei: le testimonianze di autorevoli fonti biografiche, come quelle dell'Anonimo Gaddiano (1537-1542), di Giorgio Vasari (1568) e di Giovanni Paolo Lomazzo (1590), non lasciano dubbi in proposito. Purtroppo lo stesso non avvenne per i libri posseduti dal maestro, verosimilmente non tenuti in gran conto dall'allievo. È assai probabile, infatti, che nella dimora di Vaprio d'Adda, dove Melzi si trasferì nell'agosto del 1519 dopo aver lasciato Amboise, la biblioteca di Leonardo avesse già perso la propria unità originaria. Nonostante la dispersione e il conseguente oblio che caratterizzò i libri posseduti da Leonardo, perlopiù incunaboli, è tuttavia possibile tracciare la fisionomia della biblioteca vinciana sulla base degli indizi che l'autore stesso lasciò nei propri manoscritti, contenitori eterogenei e straordinari strumenti di registrazione. I copiosi riferimenti riscontrabili negli appunti del maestro testimoniano, infatti, un dialogo fitto e costante coi libri e, più in generale, con la cultura antica, medievale e coeva. Tale dialogo, oramai universalmente riconosciuto dalla critica, ribalta completamente il mito otto e novecentesco di un Leonardo genio illetterato, in grado di poter prescindere da qualsivoglia confronto ed autorità intellettuale in virtù della propria originalità di pensiero. Durante l'apprendistato a Firenze presso la bottega di Andrea del Verrocchio, Leonardo viene iniziato alla conoscenza pratica dell'arte, in un contesto in cui la trasmissione della cultura è prevalentemente orale. In questo periodo le opere di Dante e i volgarizzamenti dei classici, in particolare Ovidio e Plinio, rappresentano le sue principali autorità letterarie, oltre che eccezionali fonti enciclopediche. Solamente verso la fine degli anni '80 del Quattrocento, in seguito al trasferimento a Milano sotto la protezione di Ludovico il Moro, Leonardo prende una decisione che condizionerà inevitabilmente la sua attività di lettore, oltre che la propria produzione artistica. Egli decide infatti di diventare uno scrittore, o meglio, un altore (autore), ispirandosi a modello di Leon Battista Alberti, straordinario intellettuale capace di condensare lo scienziato e l'umanista con l'artista e l'ingegnere. Per compiere questo salto Leonardo sente il bisogno, a quasi quarant'anni, di recuperare due saperi fondamentali: la matematica e il latino, entrambi necessari per poter approfondire ogni altra scienza. Il primo grazie all'aiuto del sodale Luca Pacioli, conosciuto a Milano e autore di un'importante enciclopedia, la Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità; il secondo su manuali e grammatiche ampiamente diffusi all'epoca, come i Rudimenta grammatices di Niccolò Perotti o l'Ars minor di Elio Donato. A partire da questo momento il numero dei volumi da lui posseduti e consultati comincia a crescere rapidamente. Tuttavia, ciò che maggiormente colpisce non è tanto la quantità quanto l'eterogeneità dei libri che componevano la sua biblioteca. La loro varietà rispecchia infatti i molteplici interessi di Leonardo: dalla poesia alle scienze naturali, dalla letteratura burlesca e favolistica a quella religiosa, da opere politiche a trattati di ottica, anatomia, architettura. Una biblioteca unica, al confine di diversi saperi, affatto diversa da quella di uno specialista. Leonardo si pone di fronte ai testi altrui come un lettore attivo e intelligente. Saranno pochi i generi nei quali egli sceglie di non cimentarsi a sua volta. L'uso delle fonti appare poi funzionale e non pedissequo; ogni affermazione o speculazione viene messa costantemente a confronto con l'esperienza diretta, probabilmente l'unico vero principio di autorità che Leonardo riconosce:So bene che, per non essere io litterato, che alcuno presuntuoso gli parrà ragionevolmente potermi biasimare coll'allegare io essere omo senza lettere. Gente stolta! Non sanno questi tali ch'io potrei, sì come Mario rispose a' patrizi romani, io sì rispondere, dicendo: quelli che dell'altrui fatiche se medesimi fanno ornati, le mie a me medesimo non vogliano concedere. Diranno che, per non avere io lettere, non potere ben dire quello di cui voglio trattare. Or non sanno questi che le mie cose son più da esser tratte dalla sperienzia, che d'altrui parola, la quale fu maestra di chi ben scrisse, e così per maestra la piglio, e quella in tutti i casi allegherò. In diverse occasioni, inoltre, soprattutto a causa dei suoi numerosi spostamenti, Leonardo stilò veri e propri inventari dei volumi da lui posseduti (oppure solamente desiderati, spesso con la menzione del possessore al quale rivolgersi). I principali elenchi di libri da lui redatti sono oggi conservati in tre manoscritti: il primo, assai breve, risalente alla fine degli anni ottanta del '400, è contenuto nel Codice Trivulziano (carta 2 recto); il secondo, del 1495, è contenuto all'interno del Codice Atlantico (carta 559 recto); il terzo, della fine del 1503, lo si trova all'interno del Codice di Madrid (carte 2 verso e 3 recto).

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