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Una nebulosa planetaria è una nebulosa ad emissione costituita da un involucro incandescente di gas ionizzato in espansione, espulso durante la fase asintotica delle giganti di alcuni tipi di stelle nella fase finale della loro vita. Il termine assegnato a questa classe di oggetti, che non è molto appropriato, ebbe origine negli anni 1780 con l'astronomo William Herschel al quale questi oggetti, dopo averli osservati attraverso il suo telescopio, sembrarono dei sistemi planetari in fase di formazione. Gli astronomi adottarono per questi oggetti il nome dato da Herschel, senza modificarlo successivamente, anche se le nebulose planetarie non hanno nulla a che vedere con i pianeti del sistema solare. Le nebulose planetarie spesso contengono stelle, ma non contengono pianeti visibili. Si tratta di un fenomeno relativamente breve, della durata di poche decine di migliaia di anni, rispetto alla tipica durata stellare di diversi miliardi di anni. Si ritiene che il meccanismo di formazione di molte nebulose sia il seguente: al termine della vita della stella, durante la fase di gigante rossa, gli strati esterni della stella vengono espulsi tramite pulsazioni e forti venti stellari. Il nucleo caldo e luminoso emette una radiazione ultravioletta che ionizza gli strati esterni espulsi della stella. Questo involucro di gas nebulare altamente energetico re-irradia l'energia ultravioletta assorbita e appare come una nebulosa planetaria. Le nebulose planetarie svolgono un ruolo cruciale per la evoluzione chimica delle galassie, restituendo materiale al medium interstellare che è stato arricchito di elementi pesanti e di altri prodotti della nucleosintesi, come carbonio, azoto, ossigeno e calcio. In galassie più lontane, le nebulose planetarie potrebbero essere gli unici oggetti a fornire utili informazioni sull'abbondanza chimica. Negli ultimi anni, le immagini del Telescopio Spaziale Hubble hanno rivelato che diverse nebulose planetarie hanno morfologie estremamente complesse e differenziate. Circa un quinto sono più o meno sferiche, ma la maggior parte non sono sfericamente simmetriche. I meccanismi che producono una tale varietà di forme e caratteristiche non sono ancora ben compresi, ma le stelle binarie centrali, i venti stellari e i campi magnetici potrebbero avere un ruolo.
La Nebulosa Granchio (nota anche come Nebulosa del Granchio o con le sigle di catalogo M 1 e NGC 1952) è un resto di supernova visibile nella costellazione del Toro. Scoperta nel 1731 da John Bevis, la nebulosa è il primo oggetto del catalogo di oggetti astronomici pubblicato da Charles Messier nel 1774. La nebulosa, oggi vasta più di sei anni luce, è formata dai gas in espansione espulsi durante l'esplosione della Supernova 1054; i gas si stanno espandendo alla velocità di 1500 km/s e possiedono una massa totale di circa 4,6±1,8 M⊙. La supernova che la produsse fu osservata per la prima volta il 4 luglio 1054 e venne registrata dagli astronomi cinesi e arabi dell'epoca; la sua luminosità era tale che la magnitudine apparente dell'evento fu compresa tra −7 e −4,5, tale da renderla visibile ad occhio nudo durante il giorno, sorpassando la luminosità apparente di Venere. La Nebulosa Granchio si trova a circa 6500 al dal sistema solare; perciò l'evento che l'ha prodotta è in realtà avvenuto 6 500 anni prima del 1054, cioè circa nel 5400 a.C. Al centro della nebulosa si trova la pulsar del Granchio (nota anche come PSR B0531+21), una stella di neutroni con un diametro di circa 28-30 chilometri, scoperta nel 1968: fu la prima osservazione di un'associazione tra pulsar e resti di supernova, una scoperta fondamentale per l'interpretazione delle pulsar come stelle di neutroni.La Nebulosa Granchio è spesso usata come calibrazione nell'astronomia a raggi X: è molto luminosa in questa banda, e il suo flusso è stabile, eccetto la pulsar vera e propria: quest'ultima infatti fornisce un forte segnale periodico che può essere usato per controllare le temporizzazioni dei sensori a raggi X. Nell'astronomia a raggi X, "Crab" (parola inglese che significa "Granchio") e "milliCrab" sono a volte usate come unità di flusso. Pochissime sorgenti a raggi X hanno una luminosità superiore ad 1 Crab.
La Nebulosa Aquila (nota anche come M 16 o NGC 6611) è una grande regione H II visibile nella costellazione della Coda del Serpente; è formata da un giovane ammasso aperto di stelle associato ad una nebulosa a emissione composta da idrogeno ionizzato, catalogata come IC 4703.La sua distanza è sempre stata relativamente incerta, ma si tende ad accettare un valore di circa 7000 anni luce dalla Terra, ponendola così nella zona media del Braccio del Sagittario; contiene alcune formazioni estremamente conosciute, come i Pilastri della Creazione, le lunghe colonne di gas oscuro originate dall'azione del vento stellare delle componenti dell'ammasso centrale e che sono responsabili anche del nome proprio della nebulosa stessa, a causa della loro forma. In esse sono presenti alcuni oggetti stellari giovani, che testimoniano che i processi di formazione stellare sono tuttora in atto, anche se non è chiaro se questi siano favoriti od osteggiati dall'azione del vento stellare delle stelle vicine, né è chiaro se il vento effettivamente influisca in qualche maniera su questi fenomeni. L'ammasso è composto da un gran numero di supergiganti blu molto calde e brillanti; la loro età tipica è di appena 2-3 milioni di anni, cioè meno di un millesimo dell'età del nostro Sole; la stella più brillante dell'ammasso è di magnitudine 8,24, ben visibile anche con un binocolo. La nebulosa è nota fin dal Settecento ed è uno degli oggetti più noti fra quelli del Catalogo di Messier; si rivela con facilità nelle fotografie ed è dunque un buon soggetto per gli appassionati dell'astrofotografia amatoriale.