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La storia del Vittoriano, complesso monumentale nazionale italiano situato a Roma in piazza Venezia sul versante settentrionale del colle del Campidoglio, inizia nel 1878 quando venne deciso di erigere nella capitale un monumento permanente intitolato a Vittorio Emanuele II di Savoia, primo re d'Italia dell'epoca moderna, che portò a compimento il processo di unificazione italiana, tant'è che viene indicato dalla storiografia come "Padre della Patria". Nel 1880, per la costruzione del monumento, fu bandito un primo concorso internazionale, vinto dal francese Henri-Paul Nénot, al quale però non fece seguito una fase attuativa del progetto. A questo primo tentativo seguì nel 1882 un secondo concorso, vinto da Giuseppe Sacconi, che divenne poi l'architetto progettista del Vittoriano. La prima pietra del monumento fu posta solennemente da re Umberto I di Savoia nel 1885. Per erigerlo fu necessario procedere, fra il 1885 e il 1888, a numerosi espropri e demolizioni di edifici preesistenti nella zona adiacente al Campidoglio, effettuati grazie a un preciso programma stabilito dal governo guidato da Agostino Depretis. Il complesso monumentale venne inaugurato da re Vittorio Emanuele III di Savoia il 4 giugno 1911, in occasione degli eventi collegati all'Esposizione nazionale, durante le celebrazioni del 50º anniversario dell'Unità d'Italia. Nel 1921 una parte del monumento, l'Altare della Patria, originariamente ara della dea Roma, fu scelta per accogliere le spoglie del Milite Ignoto, la cui salma fu tumulata il 4 novembre con una cerimonia a cui partecipò un'immensa folla. Gli ultimi lavori di completamento dell'opera ebbero luogo nel 1935, con la realizzazione del Museo centrale del Risorgimento, che fu inaugurato e aperto al pubblico decenni dopo, nel 1970. Con l'avvento del fascismo (1922) il Vittoriano diventò uno dei palcoscenici del regime guidato da Benito Mussolini. Con la caduta del fascismo (25 luglio 1943) e la fine della seconda guerra mondiale (2 settembre 1945), da cui conseguì il referendum del 2 giugno 1946, dopo il quale fu proclamata la Repubblica Italiana, il Vittoriano, svuotato dai contenuti militareschi che gli furono associati dal fascismo, tornò alla precedente funzione ridiventando – grazie al richiamo della figura di Vittorio Emanuele II di Savoia e alla realizzazione dell'Altare della Patria – un tempio laico dedicato metaforicamente all'Italia libera e unita e celebrante – in virtù della tumulazione del Milite Ignoto – il sacrificio per la patria e per gli ideali ad essa collegati. Negli anni sessanta del XX secolo iniziò un lento disinteressamento degli italiani nei confronti del Vittoriano: quest'ultimo non era infatti più visto come uno dei simboli dell'identità nazionale, ma come un ingombrante monumento rappresentante un'Italia sorpassata dalla storia. Fu il Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi, all'inizio del XXI secolo, a iniziare un'opera di valorizzazione e di rilancio dei simboli patri italiani, Vittoriano compreso. Grazie a Ciampi, il Vittoriano tornò ad essere il luogo più importante dove vengono organizzati gli eventi più ricchi di simbolismo nazionale. L'iniziativa di Ciampi è stata continuata dai suoi successori.
La bandiera d'Italia, conosciuta anche, per antonomasia, come il Tricolore, è il vessillo nazionale della Repubblica Italiana. È una bandiera a tre colori composta, partendo dall'asta, da verde, bianco e rosso, colori nazionali dell'Italia, a tre bande verticali di eguali dimensioni, così definita dall'articolo 12 della Costituzione della Repubblica Italiana, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale nº 298, edizione straordinaria, del 27 dicembre 1947. La legge ne regolamenta utilizzo ed esposizione, tutelandone la difesa e prevedendo il reato di vilipendio della stessa; ne prescrive altresì l'insegnamento nelle scuole insieme agli altri simboli patri italiani. Alla bandiera italiana è dedicata la Festa del Tricolore, istituita dalla legge nº 671 del 31 dicembre 1996, che si tiene ogni anno il 7 gennaio. Questa celebrazione commemora la prima adozione ufficiale del tricolore come bandiera nazionale da parte di uno Stato italiano sovrano, la Repubblica Cispadana, che avvenne a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797, sulla scorta degli eventi susseguenti alla rivoluzione francese (1789-1799) che propugnò, tra i suoi ideali, l'autodeterminazione dei popoli. I colori nazionali italiani comparvero per la prima volta a Genova su una coccarda tricolore il 21 agosto 1789, anticipando di sette anni il primo stendardo militare verde, bianco e rosso, che venne adottato dalla Legione Lombarda l'11 ottobre 1796. Dopo la data del 7 gennaio 1797 la considerazione popolare per la bandiera italiana crebbe costantemente, sino a farla diventare uno dei simboli più importanti del Risorgimento, che culminò il 17 marzo 1861 con la proclamazione del Regno d'Italia, di cui il tricolore assurse a vessillo nazionale. La bandiera tricolore ha attraversato più di due secoli di storia d'Italia, salutandone tutti gli avvenimenti più importanti.
Antonino Caponnetto (Caltanissetta, 5 settembre 1920 – Firenze, 6 dicembre 2002) è stato un magistrato italiano noto soprattutto per aver guidato, dal 1984 al 1990, il Pool antimafia istituito da Rocco Chinnici nel 1980.. Dopo l'assassinio di Chinnici ne prese il posto nel novembre 1983. Accanto a sé chiamò Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Gioacchino Natoli, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. La loro attività portò all'arresto di più di 400 criminali legati a Cosa Nostra, culminando nel maxiprocesso di Palermo, celebrato a partire dal 10 febbraio 1986. È considerato uno degli eroi simbolo della lotta al crimine organizzato italiano.
Sandro Pertini, all'anagrafe Alessandro Giuseppe Antonio Pertini (Stella San Giovanni, 25 settembre 1896 – Roma, 24 febbraio 1990), è stato un politico, giornalista e partigiano italiano. Fu il settimo presidente della Repubblica Italiana, in carica dal 1978 al 1985, primo socialista e unico esponente del PSI a ricoprire la carica. Durante la prima guerra mondiale, Pertini combatté sul fronte dell'Isonzo e per diversi meriti sul campo gli fu conferita una medaglia d'argento al valor militare nel 1917. Nel primo dopoguerra aderì al Partito Socialista Unitario di Filippo Turati e si distinse per la sua energica opposizione al fascismo. Perseguitato per il suo impegno politico contro la dittatura di Mussolini, nel 1925 fu condannato a otto mesi di carcere, e quindi costretto all'esilio in Francia per evitare l'assegnazione per cinque anni al confino. Continuò la sua attività antifascista anche all'estero e per questo, dopo essere rientrato sotto falso nome in Italia nel 1929, fu arrestato e condannato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato prima alla reclusione e successivamente al confino. Solo nel 1943, alla caduta del regime fascista, fu liberato. Contribuì a ricostruire il vecchio PSI fondando insieme a Pietro Nenni e Lelio Basso il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Il 10 settembre 1943 partecipò alla battaglia di Porta San Paolo nel tentativo di difendere Roma dall'occupazione tedesca. Divenne in seguito una delle personalità di primo piano della Resistenza e fu membro della giunta militare del Comitato di Liberazione Nazionale in rappresentanza del PSIUP. A Roma fu catturato dalle SS e condannato a morte; riuscì a salvarsi evadendo dal carcere di Regina Coeli assieme a Giuseppe Saragat e ad altri cinque esponenti socialisti grazie a un intervento dei partigiani delle Brigate Matteotti. Nella lotta di Resistenza fu attivo a Roma, in Toscana, Valle d'Aosta e Lombardia, distinguendosi in diverse azioni che gli valsero una medaglia d'oro al valor militare. Nell'aprile 1945 partecipò agli eventi che portarono alla liberazione dal nazifascismo, organizzando l'insurrezione di Milano e votando il decreto che condannò a morte Mussolini e gli altri gerarchi fascisti. Nell'Italia repubblicana fu eletto deputato all'Assemblea Costituente per i socialisti, quindi senatore nella prima legislatura e deputato in quelle successive, sempre rieletto dal 1953 al 1976. Ricoprì per due legislature consecutive, dal 1968 al 1976, la carica di presidente della Camera dei deputati, infine fu eletto presidente della Repubblica Italiana l'8 luglio 1978. Andando spesso oltre il "basso profilo" tipico del ruolo istituzionale ricoperto, il suo mandato presidenziale fu caratterizzato da una forte impronta personale che gli valse una notevole popolarità, tanto da essere ricordato come il "presidente più amato dagli italiani" o il "presidente degli italiani".Come capo dello Stato conferì l'incarico a sei presidenti del Consiglio: Giulio Andreotti (del quale respinse le dimissioni di cortesia presentate nel 1978), Francesco Cossiga (1979-1980), Arnaldo Forlani (1980-1981), Giovanni Spadolini (1981-1982), Amintore Fanfani (1982-1983) e Bettino Craxi (1983-1987). Nominò cinque senatori a vita: Leo Valiani nel 1980, Eduardo De Filippo nel 1981, Camilla Ravera nel 1982 (prima donna senatrice a vita), Carlo Bo e Norberto Bobbio nel 1984; infine nominò tre giudici della Corte costituzionale: nel 1978 Virgilio Andrioli, nel 1980 Giuseppe Ferrari e nel 1982 Giovanni Conso. Esponente democratico e riformista del socialismo italiano, durante la sua carriera si prodigò per la crescita del PSI e per l'unità dei socialisti italiani, opponendosi strenuamente alla scissione del 1947 e sostenendo la riunificazione delle sinistre. In qualità di presidente della Repubblica nel 1979 conferì, per la prima volta dal 1945, il mandato di formare il nuovo governo a un esponente laico, il repubblicano Ugo La Malfa, incaricando quindi, con successo, nel 1981, il segretario del PRI Giovanni Spadolini (primo non democristiano ad assumere la guida del governo dal 1945), e nel 1983 il segretario del PSI Bettino Craxi (primo uomo politico socialista a essere nominato presidente del Consiglio nella storia d'Italia). Durante e dopo il periodo presidenziale non rinnovò la tessera del PSI, al fine di presentarsi al di sopra delle parti, pur senza rinnegare il suo essere socialista. Del resto, lasciato il Quirinale al termine del suo mandato presidenziale e rientrato in Parlamento come senatore a vita di diritto, si iscrisse al gruppo senatoriale del Partito Socialista Italiano. Fu sposato dal 1946 alla sua morte con Carla Voltolina, anch'essa partigiana e antifascista.
Fiorenzo Magni (Vaiano, 7 dicembre 1920 – Monza, 19 ottobre 2012) è stato un ciclista su strada e dirigente sportivo italiano. Professionista dal 1941 al 1956, fu considerato il Terzo uomo per la capacità di inserirsi nella rivalità tra Fausto Coppi e Gino Bartali. Vinse il Giro d'Italia nel 1948, 1951 e 1955, aggiudicandosi sei tappe e vestendo per ventiquattro giorni la maglia rosa; nelle statistiche della corsa fu il vincitore più vecchio e quello con il minor vantaggio sul secondo classificato. Al Giro delle Fiandre vinse tre volte su quattro partecipazioni, guadagnandosi l'appellativo di Leone delle Fiandre; conquistò inoltre una medaglia d'argento ai Campionati del mondo e salì sul podio di Milano-Sanremo, Giro di Lombardia e Parigi-Roubaix oltre ad imporsi nelle maggiori classiche italiane e a vincere per tre volte il Campionato italiano, all'epoca disputato a punti. Corridore notevole anche su pista, nel 1942 tentò di battere il record dell'ora, riuscendo comunque a stabilire il nuovo primato mondiale sui 50 e 100 chilometri.