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Ohr (ebraismo)

Ohr (in ebraico: אור‎?, Luce; plurale: Ohros/Ohrot, in ebraico: אורות‎?) è un termine centrale nella Cabala della tradizione mistica ebraica; in italiano è definito come luce celeste e/o luce superna. L'analogia della luce fisica viene usata come modo per descrivere le emanazioni metafisiche divine. Shefa ("Flusso" in ebraico: שפע‎? ed il suo derivato, Hashpoah "Influenza" in ebraico: השפעה‎?), vengono a volte utilizzati alternativamente nella Cabala ebraica, termini presenti anche nella filosofia ebraica medievale per significare influenza divina, mentre i cabalisti preferiscono Ohr perché il suo valore numerico (ghematrico) risulta in Raz ("mistero"). È una delle due metafore principali nella Cabala, per comprendere la Divinità, insieme con l'altra metafora della relazione tra anima e corpo nelle Sephirot. La descrizione metaforica del flusso creativo spirituale divino, usando il termine come "luce" fisica percepita dall'occhio, proviene da similarità analoghe. Queste includono la fisicità immateriale della luce, la gioia che ispira e l'illuminazione che dà, la sua trasmissione apparentemente immediata e il costante collegamento con la sua fonte. La luce può essere velata ("Tzimtzum" - 'contrazioni' nella Cabala) e riflessa ("una luce ascendente dalle Creazioni" nella Cabala). La luce bianca si divide in 7 colori, eppure questa pluralità si unisce da una sola fonte. La luce divina si divide in 7 Sephirot emotive, ma non vi è alcuna pluralità nell'Essenza divina. Il termine Ohr nella Cabala viene opposto a Ma'ohr, il "luminare", e Kli, il "vaso" spirituale della luce. Come metafora ha anche i suoi limiti. La Divinità può essere compresa solo da confronti analoghi ai fenomeni spaziali e temporali che capiamo. Una volta che queste immagini vengono afferrate, la Cabala sottolinea allora la necessità di tentare di trascenderle capendo le loro carenze. Tra i limiti della metafora centrale della "luce" sono l'incapacità fisica del luminare di trattenere il suo splendore, la realizzazione dello scopo che la luce dà al luminare, e la differenziazione categorica tra la fonte e la sua luce. Per Dio, la Creazione è sorta metaforicamente "nella Divina Volontà", e non è stata provocata. L'emanazione della Creazione non permette di considerare lacune nella perfezione di Dio, questo sebbene nel Creato (cfr Nequdim) ve ne possano essere. La distinzione tra la Luce divina (a cominciare dall'Ohr Ein Sof - la "Luce Infinita" primordiale, e successivamente le 10 emanazioni delle Sephirot) e la Fonte Divina (l'Ein Sof "Infinito") appare solo rispetto alla Creazione. Dalla prospettiva di Dio, la Scrittura afferma: "Io sono il Signore, non cambio". Dalla prospettiva dell'autoconoscenza divina, le emanazioni rimangono completamente unite e nullificate alla fonte. Ciò risponde alla critica rabbinica di dualismo nella Cabala. Il termine nella Cabala e nella filosofia chassidica di questo annullamento è Bittul. Nella vita spirituale quotidiana (Deveikuth) ispira l'umiltà mistica di annullamento dell'ego.

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