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Con il termine volgarizzamento (meno propriamente, con il termine volgarizzazione) si intendono le traduzioni e gli adattamenti in lingua volgare italiana di testi latini e francesi: i primi testi volgarizzati furono i romanzi cavallereschi e i testi classici, ma furono ben presto oggetto di traduzioni anche i testi sacri e devozionali, e il primo volgarizzamento a stampa fu appunto la traduzione della Bibbia di Nicolò Malermi, pubblicata a Venezia da Vindelino da Spira nel 1471. Nonostante molti di questi testi abbiano scarso valore letterario, il loro peso culturale è fortissimo per il vasto successo che ebbero presso un pubblico composito, di varia estrazione sociale e culturale. Tra i volgarizzamenti medievali sono degni di nota almeno quelli operati da Brunetto Latini (Cicerone), Bono Giamboni (Orosio, Vegezio, Innocenzo III), Bartolomeo da San Concordio (Sallustio), Andrea Lancia (Ovidio, Virgilio), Arrigo Simintendi (Ovidio) e Ciampolo di Meo degli Ugurgieri (Eneide), Filippo Ceffi (Heroides). Probabilmente, anche il giovane Boccaccio fu autore di un volgarizzamento dello storico latino Livio, esperienza che contribuì non poco a formare la lingua e lo stile delle sue opere più mature. Né si devono trascurare i molti volgarizzamenti anonimi (Disciplina clericalis di Pietro Alfonsi, Formula vitae honestae di Martino di Bracara, Historia septem sapientium, Fait des Romaines, Epitoma rei militaris, Pharsalia, De consolatione philosophiae, Legenda Aurea). Particolare importanza va data ad Andrea da Grosseto, che tradusse i Trattati morali di Albertano da Brescia dal latino al volgare, nel 1268, con l'intenzione di creare un volgare nazionale, da lui definito italico, comprensibile in tutta la penisola.
Le Roman de Renart ("Romanzo di Renart") è una raccolta di racconti medievali in lingua francese del XII e XIII secolo, nei quali vediamo agire degli animali al posto degli esseri umani, interpretando il topos letterario del "mondo alla rovescia".
L'ambiente culturale fiorito attorno alla corte di Alfonso X il Sapiente diede vita a una rilevante letteratura, composta da opere letterarie di carattere lirico, giuridico, storico, scientifico e ricreativo, realizzate nell'ambito dello scriptorium del re di Castiglia. Alfonso X patrocinò, supervisionò e spesso partecipò, scrivendo lui stesso e in collaborazione con un gruppo di intellettuali latini, ebrei e islamici (conosciuto come Scuola di traduttori di Toledo), alla stesura di una ingente opera letteraria che inizia in gran parte la prosa in lingua castigliana. I manoscritti alfonsini sono volumi lussuosi, di grande qualità calligrafica e profusi di miniature. Erano pertanto destinati ai potenti nobili che potevano finanziare la ricchezza di questi codici e a coloro che condividevano il progetto dell'uso della lingua castigliana come strumento politico al servizio della corte, dato che i libri utilizzati nelle università medievali o Studi Generali erano più a buon mercato, maneggevoli e scritti generalmente in latino, lingua di uso comune tra i letterati. La varietà geografica della lingua è quella in uso a Toledo nella seconda metà del XIII secolo, che fornirà la base di quella che da allora in poi sarà utilizzata nella prosa castigliana. Tuttavia, bisogna notare che nell'ambito della poesia lirica, Alfonso X usava il galiziano-portoghese, lingua con cui si scrissero le Cantigas de Santa Maria.