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Pierino Porcospino o Der Struwwelpeter è un libro illustrato per bambini di Heinrich Hoffmann. Il libro comparve anche in Italia, pubblicato dalla Hoepli nel 1882, che un decennio più tardi lo ristampò con la fortunata traduzione di Gaetano Negri, ma rimase assai più noto nei paesi più a Nord, dove fu oggetto di riscritture e di parodie. La storiella di Pierino dà il nome all'intera opera, una raccolta di dieci filastrocche che raccontano le vicende di altrettanti personaggi.
Giannettino è un libro scritto da Carlo Collodi, la cui prima edizione fu pubblicata dalla Libreria Editrice Felice Paggi nel 1877, primo di una serie dei libri che si concluse nel 1890, l'anno della morte del Collodi: Giannettino, Paggi, 1877 Il viaggio per l'Italia di Giannettino. Parte prima (L'Italia superiore), Paggi, 1880 La grammatica di Giannettino per le scuole elementari, Paggi, 1883 Il viaggio per l'Italia di Giannettino. Parte seconda (l'Italia centrale), Paggi, 1883 L'abbaco di Giannettino per le scuole elementari, Paggi, 1884 La geografia di Giannettino, Paggi, 1886 Il viaggio per l'Italia di Giannettino. Parte terza (l'Italia meridionale), Paggi, 1886 La lanterna magica di Giannettino, Bemporad, 1890Tre libri della serie descrivono Il viaggio per l'Italia di Giannettino: il primo è dedicato a L'Italia superiore; il secondo a L'Italia centrale ed il terzo a L'Italia meridionale. Questa serie faceva parte della Biblioteca Scolastica dell'editore Felice Paggi: un libro era venduto a due lire e, se era Legato in tela con placca a oro, a tre lire. I periodici dell'epoca fecero di questo libro una critica favorevole. La prima parte del Viaggio di Giannettino giunse all'ottava edizione nel 1894, il libro fu poi ripubblicato da Bemporad e, nel 1902, fu riordinato in un solo volume da Ferronio nella Biblioteca Azzurra Bemporad. Poi fu pubblicato in Collezioni Bemporad per i ragazzi e nel 1939 nella Biblioteca Marzocco per i ragazzi. Nel Carteggio Martini, che si trova nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, è custodita una lettera del Collodi a Ferdinando Martini, al quale il Collodi successe come direttore del Giornale per i bambini. Nella lettera si parla di una inesattezza scritta nella prima edizione del Viaggio, relativa ad una pagina sulla città di Udine. Questa inesattezza fu rilevata da un ignoto Udinese, che inviò una protesta a Ferdinando Martini, direttore del Fanfulla della domenica, giornale che il 19 settembre 1880 aveva pubblicato una recensione del Viaggio nella rubrica Libri nuovi. L'inesattezza era data dalla descrizione di fossati colmi d'acqua fatta dal Collodi che l'Udinese asseriva non essere mai esistiti. Perciò il Collodi tolse la descrizione di questi fossati, nella seconda edizione del libro (1882). Ma ad Udine erano veramente esistiti questi fossati ripieni d'acqua, in seguito interrati. Il Collodi rispose a Ferdinando Martini il 25 ottobre 1880 e riferì ciò che Karl Baedeker nella Guida dell'Italia settentrionale (VIII édition refondue, 1878) affermava; disse inoltre che avrebbe tenuto conto delle osservazioni di tutti nella prossima ristampa del libro. Riferendosi poi al fatto che l'Udinese non consegnò il libro alla figlia, dicendo, nella sua lettera di protesta: mi sono messo via il libro, il Collodi aggiunse: Povero Paggi, se tutti i babbi italiani fossero timorati di Dio e dei fossati d'acqua, come il tuo Udinese!. Per apportare correzioni al libro, il Collodi si era rivolto a Giuseppe Augusto Cesana, fondatore de Il Fanfulla e a Giuseppe Carrara. L'editore Felice Paggi, per la quarta edizione della prima parte del Viaggio (1886), chiese correzioni e aggiunte a colleghi librai ed editori (alla Libreria Enrico Trevisini di Milano e al libraio editore Vincenzo Porta da Piacenza. La parte seconda del Viaggio dedicata all'Italia centrale ebbe una recensione nel Fanfulla della domenica del 3 dicembre 1882. Il 4 novembre 1882 il Collodi parlò del Secondo Viaggio di Giannettino in una lettera all'amico Guido Biagi:...questo libro non è fatto né per i ruminanti di notizie storico-artistico-vegetali, né per...quei sapientissimi, che son nati apposta per dar sapore al sale e odore all'ammoniaca. Il mio libro è un libro, per intendersi, “ad usum Delphini”, fatto modestamente per dare ai ragazzi una mezza idea di quell'Italia, che è la loro nuova e gloriosa patria, e che “per conseguenza” non ne sanno nulla di nulla. Quanto al resto, fai tu: io so di essere in buone mani e me ne fido. Tutto tuo Collodi.
Novembre è un componimento poetico di Giovanni Pascoli, tratto dalla raccolta poetica Myricae. Originariamente era intitolato San Martino come l'omonima poesia del maestro Carducci da cui trae l'ascendenza.
Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile 1912) è stato un poeta, accademico e critico letterario italiano, figura emblematica della letteratura italiana di fine Ottocento, considerato insieme a Gabriele D'Annunzio, il maggior poeta decadente italiano, nonostante la sua formazione principalmente positivistica. Dal Fanciullino, articolo programmatico pubblicato per la prima volta nel 1897, emerge una concezione intima e interiore del sentimento poetico, orientato alla valorizzazione del particolare e del quotidiano, e al recupero di una dimensione infantile e quasi primitiva. D'altra parte, solo il poeta può esprimere la voce del "fanciullino" presente in ognuno: quest'idea consente a Pascoli di rivendicare per sé il ruolo, per certi versi ormai anacronistico, di "poeta vate", e di ribadire allo stesso tempo l'utilità morale (specialmente consolatoria) e civile della poesia. Egli, pur non partecipando attivamente ad alcun movimento letterario dell'epoca, né mostrando particolare propensione verso la poesia europea contemporanea (al contrario di D'Annunzio), manifesta nella propria produzione tendenze prevalentemente spiritualistiche e idealistiche, tipiche della cultura di fine secolo segnata dal progressivo esaurirsi del positivismo. Complessivamente la sua opera appare percorsa da una tensione costante tra la vecchia tradizione classicista ereditata dal maestro Giosuè Carducci, e le nuove tematiche decadenti. Risulta infatti difficile comprendere il vero significato delle sue opere più importanti, se si ignorano i dolorosi e tormentosi presupposti biografici e psicologici che egli stesso riorganizzò per tutta la vita, in modo ossessivo, come sistema semantico di base del proprio mondo poetico e artistico.
I Canti di Castelvecchio sono una raccolta pascoliana del 1903: il titolo pare voglia creare un collegamento con i Canti leopardiani, suggerendo così, secondo l'interpretazione di Giuseppe Nava, l'ambizione ad una poesia più elevata. Castelvecchio è una frazione di Barga, in Garfagnana, dove Pascoli aveva acquistato una casa in cui soggiornò molto a lungo, dedicandosi alla poesia e agli studi di letteratura classica (sono famose, e tuttora visibili, le tre scrivanie per lavorare nelle tre lingue, italiano, latino, greco). Qui gli parve di aver finalmente ricostituito il "nido" distrutto di San Mauro. I Canti di Castelvecchio sono fitti di richiami autobiografici e di rappresentazioni della vita in campagna. L'epigrafe iniziale è la medesima di Myricae, dalla quarta bucolica di Virgilio: «Arbusta iuvant humilesque myricae» ("Piacciono gli arbusti e le umili tamerici"; ma Pascoli traduce myricae con "cesti" o "stipe"). In tal modo, Pascoli recupera il legame con la raccolta precedente e la poetica del "fanciullino", accentuandone però la valenza simbolica. I Canti di Castelvecchio si rivelano inoltre una raccolta interessante per l'uso esteso del linguaggio fonosimbolico, ma soprattutto post-simbolico: abbondano infatti i termini tecnici e gergali tipici della Garfagnana.