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Autore principale: Marini, Ugo Ranieri
La Comedìa, o Commedia, conosciuta soprattutto come Divina Commedia, è un poema allegorico-didascalico di Dante Alighieri, scritto in terzine incatenate di endecasillabi (poi chiamate per antonomasia terzine dantesche) in lingua volgare fiorentina. L'opera non esiste nella sua forma originale: essendo stata prodotta prima dell'invenzione della stampa veniva scritta e ricopiata a mano; tra tutti i manoscritti giunti a noi oggigiorno non esistono due versioni uguali, come per tutti i testi antichi, i casi di diversificazione sono tantissimi e variano da semplici modifiche ortografiche, (diritta via o diricta via) fino all'uso di versi simili ma diversi, o parole completamente differenti che danno anche significati diversi, ad esempio il ruscello che esce dalle sorgenti di acqua bollente ..esce ruscello che parton poi tra lor le peccatrici che fu analizzato e commentato con il presupposto che ci fossero delle donne peccatrici, forse prostitute (?), lasciando molti dubbi, ma con un significato completamente stravolto rispetto al più ragionevole pettinatrici o pettatrici o pectatrici cioè le operaie che lavoravano la cardatura e la pettinatura dell lino nelle acque termali. Il titolo originale, con cui lo stesso autore designa il suo poema, fu Comedia (probabilmente pronunciata con accento tonico sulla i); e così è intitolata anche l'editio princeps del 1472. L'aggettivo «Divina» le fu attribuito dal Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante, scritto fra il 1357 e il 1362 e stampato nel 1477. Ma è nella prestigiosa edizione giolitina, a cura di Ludovico Dolce e stampata da Gabriele Giolito de' Ferrari nel 1555, che la Commedia di Dante viene per la prima volta intitolata come da allora fu sempre conosciuta, ovvero "La Divina Comedia". Composta secondo i critici tra il 1304/07 e il 1321, anni del suo esilio in Lunigiana e Romagna, la Commedia è il capolavoro di Dante ed è universalmente ritenuta una delle più grandi opere della letteratura di tutti i tempi, nonché una delle più importanti testimonianze della civiltà medievale, tanto da essere conosciuta e studiata in tutto il mondo. Il poema è diviso in tre parti, chiamate «cantiche» (Inferno, Purgatorio e Paradiso), ognuna delle quali composta da 33 canti (tranne l'Inferno, che contiene un ulteriore canto proemiale) formati da un numero variabile di versi, fra 115 e 160, strutturati in terzine. Il poeta narra di un viaggio immaginario, ovvero di un Itinerarium mentis in Deum, attraverso i tre regni ultraterreni che lo condurrà fino alla visione della Trinità. La sua rappresentazione immaginaria e allegorica dell'oltretomba cristiano è un culmine della visione medievale del mondo sviluppatasi nella Chiesa cattolica. È stato notato come tutte e tre le cantiche terminino con la parola «stelle» (Inferno: "E quindi uscimmo a riveder le stelle"; Purgatorio: "Puro e disposto a salir a le stelle"; Paradiso: "L'amor che move il sole e l'altre stelle"). L'opera ebbe subito uno straordinario successo e contribuì in maniera determinante al processo di consolidamento del dialetto toscano come lingua italiana. Il testo, del quale non si possiede l'autografo, fu infatti copiato sin dai primissimi anni della sua diffusione e fino all'avvento della stampa in un ampio numero di manoscritti. Parallelamente si diffuse la pratica della chiosa e del commento al testo (si calcolano circa sessanta commenti e tra le 100.000 e le 200.000 pagine), dando vita a una tradizione di letture e di studi danteschi mai interrotta: si parla così di "secolare commento". La vastità delle testimonianze manoscritte della Commedia ha comportato un'oggettiva difficoltà nella definizione del testo: nella seconda metà del Novecento l'edizione di riferimento è stata quella realizzata da Giorgio Petrocchi per la Società Dantesca Italiana. Più di recente due diverse edizioni critiche sono state curate da Antonio Lanza e Federico Sanguineti.La Commedia, pur proseguendo molti dei modi caratteristici della letteratura e dello stile medievali (ispirazione religiosa, scopo didascalico e morale, linguaggio e stile basati sulla percezione visiva e immediata delle cose), è profondamente innovativa poiché, come è stato rilevato in particolare negli studi di Erich Auerbach, tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà, espressa anche con l'uso di neologismi creati da Dante come «insusarsi», «inluiarsi» e «inleiarsi».È una delle letture obbligate del sistema scolastico italiano.
Le Argonautiche (in greco antico: Τὰ Ἀργοναυτικά) è un poema epico in greco antico scritto da Apollonio Rodio nel III secolo a.C.. Unico poema di Età Ellenistica sopravvissuto, esso racconta il mitico viaggio di Giasone e degli Argonauti per recuperare il Vello d'oro nella remota Colchide. Le loro eroiche avventure e la relazione di Giasone con la pericolosa Medea, principessa e maga colchiana, erano già ampiamente note al pubblico Ellenistico, permettendo così ad Apollonio di superare la semplice narrazione, per presentare un'esposizione che aderisca ed enfatizzi i valori dei suoi tempi - l'età della grande Biblioteca di Alessandria - mentre la sua epica incorpora la sua ricerca nei campi della geografia, dell'etnografia, delle religioni comparate, della letteratura omerica. Comunque, il suo principale contributo alla tradizione epica risiede nell'evoluzione dell'amore tra l'eroe e l'eroina: egli sembra esser stato il primo poeta epico a studiare la «patologia d'amore». Le Argonautiche ebbero un profondo impatto sulla poesia latina: tradotte da Varrone Atacino e imitate da Valerio Flacco, influenzarono Catullo e Ovidio, e indicarono a Virgilio un modello per il suo poema romano, l'Eneide.
De rerum natura ("Sulla natura delle cose" o anche semplicemente "Sulla natura") è un poema didascalico latino in esametri di genere epico-filosofico, scritto da Tito Lucrezio Caro nel I secolo a.C.; è composto di sei libri raggruppati in tre diadi. La tragica fine del sesto libro (la peste di Atene) ha fatto pensare all’incompiutezza dell’opera di Lucrezio poiché questa era in netto contrasto con l’inizio del primo libro (inno a Venere). Tuttavia il numero dei libri scritti da Lucrezio rientra nel filone epico-didascalico: infatti si attribuisce in genere l’appartenenza a questo filone delle opere composte da sei libri o multipli di sei. In questo poema il filosofo e poeta latino si fa portavoce delle teorie epicuree riguardo alla realtà della natura e al ruolo dell'uomo in un universo atomistico, materialistico e meccanicistico: si tratta di un richiamo alla responsabilità personale e di un incitamento al genere umano affinché prenda coscienza della realtà, nella quale gli uomini sin dalla nascita sono vittime di passioni che non riescono a comprendere. La principale fonte dell'epos lucreziano, infatti, è il Περὶ φύσεως (perì fuseos) di Epicuro. L'autore si assume il compito di fornire agli uomini gli strumenti per eliminare le paure e raggiungere l'atarassia, ovvero l'assenza di turbamento propria del saggio, l'unico capace di ottenere una vittoria razionale sui sentimenti.
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