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Pubblicazione: Oxford : Oxford university press, 1995
Tipo di risorsa: testo, Livello bibliografico: monografia, Lingua: eng, Paese: GB
La teoria politica, o filosofia politica, è lo studio dei concetti, dei fondamenti e dei modelli dell'attività politica. Essa può occuparsi della costruzione di teorie normative di società, della riflessione sui significati dell'agire politico, o del rapporto tra politica e altri ambiti della vita. Questa disciplina si occupa, soprattutto, della politica intesa come l'insieme di mezzi che permettono di ottenere gli effetti voluti: così si esprimeva Aristotele, il quale, nel suo trattato Politica, oltre a definire le funzioni dello Stato e le sue forme di governo, formula ipotesi per realizzare il buon governo della città. Uno dei problemi fondamentali della filosofia politica è il rapporto tra l'agire politico e l'agire morale. Secondo alcuni l'azione umana riconosciuta moralmente giusta non corrisponde necessariamente ad un'azione politicamente valida e viceversa. A questa posizione tuttavia si oppone l'oggettività della posizione platonica: poiché la politica è l'applicazione del bene comune al fine di rimuovere tutti gli ostacoli che si frappongono tra l'individuo e la sua completa realizzazione, allora non è possibile pensare a una politica giusta che non faccia il bene, e qualsiasi altro intendimento è una machiavellica realpolitik che ha come fine il dominio e non il bene.
La giustizia è l'ordine virtuoso dei rapporti umani in funzione del riconoscimento e del trattamento istituzionale dei comportamenti di una persona o di più persone coniugate in una determinata azione secondo la legge o contro la legge. Per l'esercizio della giustizia deve esistere un codice che classifica i comportamenti non ammessi in una certa comunità umana, e una struttura giudicante che traduca il dettame della legge in una conseguente azione giudiziaria. Al di là dell'azione giudiziaria istituzionalizzata, che opera con una giustizia impositiva e codificata, esiste un senso della giustizia, definito talvolta naturale in quanto ritenuto innato, che impegna ogni singolo individuo a tenere nei confronti dei propri simili o gruppi, in situazioni ordinarie o straordinarie di usare criteri di giudizio, e di conseguente comportamento, rispondenti a giustizia nel senso di onestà, correttezza e non lesività del prossimo. È in questo senso che la giustizia diventa una virtù morale, quindi privata e non codificata e istituzionalizzata, che è però di enorme portata assiologica, in base alla quale si osservano regole comportamentali che riguardano sé e gli altri nei doveri e nelle aspettative. La giustizia, per sé, per gli altri e per chiunque, si traduce comunque in un dovere e in un diritto che coinvolge chiunque appartenga a una certa comunità, in senso riduttivo, e ogni persona umana in generale, in senso estensivo. La giustizia è la costante e perpetua volontà, tradotta in azione, di riconoscere a ciascuno ciò che gli è dovuto; questo è l'ufficio, deontologico e inviolabile, che il magistrato preposto deve porre in atto nei luoghi deputati a rendere giustizia: i tribunali. La giustizia, che è messa in atto sempre come volontà del popolo, è anche azione repressiva, potere legittimo di tutelare i diritti di tutti, quindi rendere a ognuno, nelle circostanze riconosciute, di accordare giustizia ascoltando richieste per essa e in nome di essa accordando ciò che è giusto quando è dovuto e a chi è dovuto. La negazione della giustizia, ovvero la mancata applicazione dei criteri di giustizia, è l'ingiustizia, con diversi gradi di gravità della sua realizzazione a danno di una o più persone.
Il pluralismo, nelle scienze sociali, è la condizione di una società in cui individui e gruppi diversi per etnia, religione, cultura, orientamento politico o altro, coesistono nella tolleranza reciproca, conservando un'autonoma partecipazione alla vita pubblica e mantenendo una gestione autonoma delle proprie tradizioni culturali o ideologiche.Nella filosofia il pluralismo indica invece una concezione che considera la realtà costituita da una pluralità di principi considerati tutti come fondamentali e non riducibili uno all'altro, al contrario del monismo.
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