Accedi all'area personale per aggiungere e visualizzare i tuoi libri preferiti
Autore principale: Levi, Adolfo
Il solipsismo, dal latino solus (solo) e ipse (stesso), "solo se stesso", è un termine che si riferisce alla dottrina filosofica secondo cui l'individuo pensante può affermare con certezza solo la propria esistenza poiché tutto quello che percepisce sembra far parte di un mondo fenomenico oggettivo a lui esterno, ma che in realtà è tale da acquistare consistenza ideale solo nel proprio pensiero, cioè l'intero universo è la rappresentazione della propria individuale coscienza.
Esattamente come nel caso dello scetticismo metodologico, il solipsismo metodologico viene usato proprio per riuscire a superare i limiti del solipsismo stesso. Il termine viene usato tra l'altro da Jerry Fodor che lo riprende da Rudolf Carnap, il quale sembra averlo sviluppato in seguito alle lezioni che seguì con Edmund Husserl a Friburgo. Husserl stesso sembra non aver mai usato questa terminologia di "solipsismo metodologico", parlando invece di "riduzione alla sfera personale", in cui rimangono solo le esperienze dirette del soggetto. Husserl riprende da Cartesio il problema del solipsismo. La differenza tra i due filosofi si trova nella concezione della realtà. Cartesio, almeno nell'ambito del suo dubbio metodologico, avanza l'ipotesi che tutto ciò che ci circonda possa essere un subdolo inganno a cui si oppone in tutta la sua certezza la res cogitans ("Cogito ergo sum" "penso quindi sono"), mentre Husserl non dubita del mondo in quanto tale. Egli vuole arrivare alla vera essenza delle cose. La coscienza deve arrivare alle essenze (le essenze sono dette eidetiche, dal greco "eidos", idea) attraverso l'epoché ovvero la sospensione del giudizio.
L'egocentrismo è l'atteggiamento e comportamento del soggetto che pone se stesso e la propria problematica al centro di ogni esperienza, trascurando la presenza e gli interessi degli altri. La parola deriva dal termine greco ἐγώ (egò) che significa "Io" Una persona egocentrica non possiede la teoria della mente e non riesce a provare empatia con gli altri individui. Gran parte dei soggetti autistici sono anche egocentrici. Jean Piaget (1896-1980) sosteneva che tutti i bambini piccoli fossero egocentrici, in quanto incapaci di differenziare il proprio punto di vista da quello altrui. Secondo Piaget il "linguaggio egocentrico", tipico dei bambini dai tre ai sei anni, accompagna le attività solitarie e i giochi simbolici e soddisfa un'intima necessità di espressione fine a se stessa. L'egocentrismo nel linguaggio del bambino si può rilevare quando viene utilizzata insistentemente la parola "io" (egocentrismo verbale) o nel monologo collettivo (ogni bambino continua il suo discorso, incurante delle parole degli altri). Il bambino, sempre secondo la teoria di Piaget, inizierà a superare il proprio egocentrismo con l'inizio del periodo delle operazioni concrete (dai 7 ai 12 anni). Da questo momento in poi, il bambino sarà in grado di porsi dal punto di vista altrui. Il linguaggio egocentrico si può ritrovare anche negli adulti, soprattutto in caso di stress prolungato o in situazioni di grande euforia. In filosofia Max Scheler all'inizio del Novecento reinterpretò la riduzione fenomenologica come messa fra parentesi dell'egocentrismo.
L’atarassia (letteralmente, dal greco antico, ἀταραξία, “assenza di agitazione”, “tranquillità”) è un termine filosofico, già usato da Democrito, ma adottato principalmente dalle scuole post-aristoteliche stoica, epicurea e scettica per designare «la perfetta pace dell'anima che nasce dalla liberazione dalle passioni», nel più ampio contesto della filosofia morale (etica) legata alla ricerca della felicità. Al di là delle diverse sfumature assunte nell'ellenismo e dell'affinità con termini quali apatia, aponia, adiaforia ed eutimia, la consolidazione del concetto di atarassia è opera della media e tarda Stoà e più precisamente ad opera di Crisippo, Panezio, Polibio, Cicerone, Plutarco, Epitteto, Seneca e da ultimo Marco Aurelio con la traduzione del termine dal greco ataraxia nel latino tranquillitas. Per estensione, in medicina il termine può venir utilizzato per definire genericamente una condizione di imperturbabilità ed evidente mancanza di legami emotivi con l'ambiente e le persone che circondano il paziente, che si presenta in affezioni psichiatriche come la schizofrenia.
Per universalismo si può intendere, nel significato più generico e comune, la tendenza da parte di entità politiche, religiose ecc. a ritenersi universali, cioè valide per tutti gli uomini. Tale concezione presuppone quindi che, contrariamente ad alcune forme di relativismo, esistano fatti, strutture o proprietà di carattere universale.
L'epistemologia (dal greco ἐπιστήμη, epistème, "conoscenza certa" ossia "scienza", e λόγος, logos, "discorso") è quella branca della filosofia che si occupa delle condizioni sotto le quali si può avere conoscenza scientifica e dei metodi per raggiungere tale conoscenza. In un'accezione più ristretta l'epistemologia viene a volte identificata con la filosofia della scienza, la disciplina che oltre ai fondamenti e ai metodi delle diverse discipline scientifiche si occupa anche delle implicazioni filosofiche delle scoperte scientifiche. Il termine, coniato nel 1854 dal filosofo scozzese James Frederick Ferrier, indica specificamente quella parte della gnoseologia che studia i fondamenti, la validità e i limiti della conoscenza scientifica. Nei paesi di lingua inglese il concetto di epistemologia è invece principalmente utilizzato come sinonimo di gnoseologia o teoria della conoscenza - la disciplina che si occupa dello studio della conoscenza in generale.
Record aggiornato il: 2025-12-11T01:03:43.972Z