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Autore principale: Scarpazza, Faustino; Alessandri, Francesco [Editore]; Cappuccini, Soliera [Designer dell'ex-libris]
Pubblicazione: In Firenze : ad istanza di Francesco Alessandri, 1796-1797
Tipo di risorsa: testo, Livello bibliografico: monografia, Lingua: ITA, Paese: IT
La teologia pastorale è la disciplina teologica che studia la prassi ecclesiale per fornire eventuali criteri d'intervento correttivo.
Il giansenismo fu un movimento religioso, filosofico e politico che proponeva un'interpretazione del cattolicesimo sulla base della teologia elaborata nel XVII secolo da Giansenio. L'impianto di base del giansenismo si fonda sull'idea che l'essere umano nasca essenzialmente corrotto e, quindi, inevitabilmente destinato a commettere il male. Senza la grazia divina l'uomo non può far altro che peccare e disobbedire alla volontà di Dio; ciononostante alcuni esseri umani sono predestinati alla salvezza (mentre altri non lo sono). Con tale teologia Giansenio intendeva ricondurre il cattolicesimo a quella che egli riteneva la dottrina originaria di Agostino d'Ippona, in contrapposizione al molinismo (dal gesuita spagnolo Luis de Molina) allora prevalente, che concepiva la salvezza come sempre possibile per l'uomo dotato di buona volontà. Il giansenismo fu un fenomeno estremamente complesso: partito da un problema eminentemente teologico, entrò ben presto in campo etico, assunse posizioni ecclesiologiche estremiste e si mosse anche come una specie di partito politico; influenzò, infine, pratiche di religiosità popolare. Il movimento giansenista accompagnò la storia della Francia lungo tutta l'epoca dell'ancien Régime e conobbe anche un'importante ramificazione italiana nel Sette-Ottocento, di impronta giurisdizionalista e riformatrice. La Chiesa cattolico-romana condannò il giansenismo come eretico e vicino al protestantesimo, per il suo teorizzare la negazione del libero arbitrio di fronte alla grazia divina e suggerire l'idea di una salvezza predestinata. Il giansenismo fu quindi condannato dapprima dalla Congregazione dell'Indice nel 1641, poi con successive lettere pontificie, tra cui le bolle In eminenti (1642), Cum occasione (1653), Ad sacram beati Petri sedem (1656), Regiminis Apostolici (1664) e Unigenitus Dei Filius (1713).
La dottrina della predestinazione, nella sua generalità, è una dottrina molto antica e la compiuta formulazione nel mondo antico è stata data dagli Stoici. Già i tragici greci prevedevano che gli uomini fossero soggetti a un fato scritto dagli dèi. Anche nella filosofia corrispondevano dottrine della predestinazione, per esempio implicita in Parmenide e Senofane. In particolare gli Stoici teorizzavano il fato come il destino ineluttabile scritto dagli dèi o meglio dal logos. Il logos per il panteismo stoico è la ragione divina del cosmo nella sua globalità, concernente anche ogni singolo uomo. Nel Cristianesimo Paolo di Tarso ha fatto dell'idea di predestinazione un punto di forza del suo pensiero e, al suo seguito, anche teologi come Agostino di Ippona, Giovanni Calvino, e Karl Barth hanno costruito la loro dottrina poggiando sulla stessa idea. D'altra parte le posizioni teologiche di questi autori hanno suscitato un buon numero di controversie lungo la storia: Pelagio nella chiesa antica e John Wesley nel XVIII secolo possono rappresentare due esempi di teologi che non davano spazio alcuno a questa categoria. La differenza di convinzioni su questa dottrina è continuata fino al presente. Si può in genere affermare che la dottrina della predestinazione comporta un aspetto più ampio ed uno più ristretto. L'aspetto ampio si riferisce al fatto che il Dio trino abbia preordinato tutto ciò che deve accadere (Efesini 1:11; cfr. Salmo 2). Dall'eternità Dio ha sovranamente determinato tutto ciò che accade nella storia. L'aspetto o uso più stretto del termine, è che Dio abbia scelto dall'eternità un numero determinato di persone destinandole ad essere in eterna comunione con Lui, accordando loro la grazia. Da questa idea alcuni concludono che Dio ha anche determinato che il resto dell'umanità, i "non scelti", vada per la sua strada, cioè segua la via del peccato fino alle sue estreme e giuste conseguenze (la punizione eterna). Essi intendono la dottrina della predestinazione come "doppia predestinazione". Altri invece, pur accettando l'idea che Dio scelga alcuni destinandoli alla salvezza, respingono decisamente l'idea di un decreto di riprovazione (Romani 9:16-19) e di una "doppia predestinazione". Essi pensano che Dio dia a tutti gli uomini la grazia necessaria per la salvezza, collegano la riprovazione alla libertà dell'uomo, e tendono anche a vedere la grazia della predestinazione di alcuni in funzione della salvezza di altri.Punto focale delle discussioni su questo tema è come si rapportino la volontà di Dio e la finalità del suo disegno con la libertà dell'uomo, il quale, a dire della Scrittura, è chiamato alla salvezza secondo due dimensioni: personale e collettiva (collettiva=facendo parte di un popolo e di una famiglia umana).
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