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Autore principale: Pitch, Tamar
Pubblicazione: Firenze : La nuova Italia, 1977
Tipo di risorsa: testo, Livello bibliografico: monografia, Lingua: ita, Paese: IT
Il razzismo negli Stati Uniti d'America rappresenta un fenomeno storico presente fin dall'epoca coloniale. I privilegi e i diritti sanzionati legalmente o socialmente furono largamente dati ai bianchi americani, ma negati ai nativi americani, agli afroamericani, agli asioamericani e agli ispanici sudamericani. Agli statunitensi di origine europea, in particolare ai ricchi protestanti anglosassoni, vennero concessi privilegi esclusivi in materia d'istruzione, immigrazione, diritto di voto, cittadinanza, acquisizione dei terreni e procedimenti penali per un periodo di tempo che va dal XVII secolo fino agli anni sessanta del XX secolo. Tuttavia, anche gli immigrati non protestanti provenienti dal continente europeo, in particolare i cittadini irlandesi, polacchi e italiani subirono, all'interno della società statunitense, un'emarginazione xenofoba ed altre forme di discriminazione basate sull'etnia e, almeno fino ad un certo periodo, non vennero neppure considerati come degli "autentici bianchi". Inoltre, i gruppi originari del Medio Oriente, come gli Ebrei e gli Arabi, hanno dovuto affrontare anch'essi una più o meno continua situazione discriminatoria; come diretta conseguenza di ciò, alcune persone appartenenti a queste comunità non si autoidentificano come "bianchi statunitensi". Anche coloro che provengono dall'Asia orientale e dall'Asia meridionale sono stati costretti ad affrontare il problema costituito dal pregiudizio razzista. Le principali istituzioni razziali etnicamente strutturate includono la schiavitù, la segregazione razziale, le cosiddette guerre indiane, le riserve indiane, la segregazione scolastica, le legislazioni sull'immigrazione e la naturalizzazione e i campi d'internamento durante la seconda guerra mondiale: l'internamento dei giapponesi, dei tedeschi e degli italiani. Almeno formalmente, la discriminazione razziale è stata abolita a partire dalla metà del XX secolo e, con il trascorrere del tempo, è stata sempre più percepita come socialmente inaccettabile e/o moralmente ripugnante. La politica di stampo razziale rimane tuttavia un fenomeno di ampia portata ed il razzismo implicito continua ancora ai giorni nostri a riflettersi nelle ampie disparità e disuguaglianze socioeconomiche, fino a giungere a forme più moderne e prevalentemente indirette di "razzismo simbolico". Un'ampia stratificazione sociale su base razziale continua a manifestarsi nell'ambito occupazionale ed in campo salariale, nella ricerca dell'alloggio, nell'istruzione e nella formazione professionale, nella concessione di prestiti e mutui e finanche in campo governativo. Secondo l'US Human Rights Network, un'organizzazione che concentra la propria attenzione sul rispetto dei diritti civili e che collabora con le organizzazioni per i diritti umani "la discriminazione negli Stati Uniti permea tutti gli aspetti della vita e si estende a tutte le comunità di minoranza". Mentre la natura dei punti di vista degli statunitensi medi si è molto modificata nel corso degli ultimi decenni, le indagini condotte da parte di associazioni indipendenti - oltre che dalla stessa ABC News - hanno scoperto che, anche recentemente, ampi strati di popolazione si riconosce nelle più comuni opinioni discriminatorie. Nel 2007 uno studio ha rilevato che una persona su dieci ammetteva di avere pregiudizi contro gli ispanici e sudamericani, mentre una su quattro manteneva forti giudizi negativi contro gli arabi in generale.
La segregazione razziale negli Stati Uniti d'America, come termine storico generale, comprende la segregazione o l'ipersegregazione di strutture, servizi ed opportunità come l'alloggio, le cure mediche, l'istruzione, l'occupazione e i trasporti secondo orientamenti allineati all'ideologia del razzismo. L'espressione si riferisce più spesso ai giorni nostri alla separazione legalmente o socialmente imposta degli afroamericani dagli altri gruppi etnici, ma si applica anche alla discriminazione generale contro le persone di colore da parte delle comunità bianche. Il termine si riferisce alla separazione fisica e alla fornitura di strutture secondo il cosiddetto principio di "separati ma uguali" il quale però, nella realtà dei fatti, risultò essere assai raramente "uguale"; nonché ad altre forme di discriminazione razziale (vedi razzismo negli Stati Uniti d'America) come la separazione netta dei ruoli all'interno di un'istituzione. Nelle United States Armed Forces prima degli anni cinquanta ad esempio le unità militari nere (vedi storia militare degli afroamericani) rimanevano tipicamente separate da quelle bianche, ma erano lo stesso guidate da ufficiali bianchi. La segregazione giuridica nel campo dell'istruzione pubblica è stata bloccata dall'esecuzione federale di una serie di decisioni prese dalla Corte suprema degli Stati Uniti d'America a seguito della sentenza nel caso Brown contro Board of Education (1954). Tutte le segregazioni pubbliche legalmente applicate sono state abrogate dal Civil Rights Act (1964), promulgato dopo le dimostrazioni di massa attuate dal movimento per i diritti civili degli afroamericani il quale ha portato l'opinione pubblica a volgersi sempre più contro la segregazione forzata. La segregazione de facto - nella realtà dei fatti - pur senza essere sanzionata legalmente, persiste in misura diversa fino ad oggi. La segregazione razziale contemporanea viene vissuta soprattutto nei quartieri residenziali - come segregazione residenziale - ed è stata plasmata, tra gli altri fattori, da politiche pubbliche, discriminazioni ipotecarie, sui prestiti e sui tassi di mutuo in ambito immobiliare. L'ipersegregazione è una forma segregazionista consistente nel raggruppamento geografico dei differenti "gruppi razziali"; ciò avviene più di frequente in città in cui i residenti del centro sono afroamericani, mentre le periferie che circondano il nucleo interno vengono abitate da bianchi americani. L'idea dell'ipersegregazione ha ottenuto una sua credibilità a partire dal 1989 a causa degli studi di sociologia condotti da Douglas Massey e Nancy A. Denton sull'"American Apartheid", quando cioè i bianchi crearono dei veri e propri Ghetti riservati ai neri per tutta la prima metà del XX secolo, con lo scopo di isolarvi le sue sempre più crescenti popolazioni urbane.
La cultura degli Stati Uniti d'America rappresenta l'insieme di modi, usanze, costumi e tradizioni del popolo statunitense. Si tratta di una cultura in prevalenza di stampo occidentale, in primis di derivazione anglosassone, ma, in virtù della multietnicità, ha subito nel tempo notevoli influenze da parte di tradizioni, usi e costumi dei popoli originari, colonizzati o immigrati ovvero nativi americani, africani, asiatici, polinesiani e delle culture dell'America Latina (ispanici), dando vita ad un diffuso e forte multiculturalismo. Di fatto gli Stati Uniti d'America hanno proprie caratteristiche sociali e culturali uniche, come dialetto, musica, arti, abitudini sociali, cucina e folklore, pur essendo un paese connotato da forti diversità etniche e razziali, quale risultato delle migrazioni su larga scala da molti diversi paesi nel corso della sua storia, così come diversi sono i tassi di natalità e di mortalità tra nativi, coloni e immigrati.: la sua formazione socio-culturale è iniziata infatti oltre 10.000 anni fa, con la migrazione di Paleo-Indiani dall'Asia, così come dall'Oceania e dall'Europa, nella regione oggi nota col termine di Stati Uniti continentali. Nel corso del XX secolo tale cultura ha assunto un peso via via dominante sul resto del mondo industrializzato, al punto da far assurgere gli Stati Uniti al rango di "superpotenza culturale": l'influenza degli Stati Uniti su scala planetaria è tale che buona parte della cultura di massa espressa in Occidente dalla seconda metà del XX secolo in poi può essere ricondotta a quella americana e, più in generale, a quella anglosassone (si pensi ad esempio all'influsso della lingua inglese, alla cultura hippies e punk, al cinema hollywoodiano, alla musica pop e rock, alla tecnologia elettronica moderna, al fumetto (da Topolino ai Supereroi della Marvel), al mondo dei videogiochi, ai fast food, agli sport americani ecc...).
Il linciaggio negli Stati Uniti d'America è stato praticato prevalentemente dal tardo XVIII secolo agli anni sessanta del Novecento. Pratica molto comune nel Vecchio West, ha successivamente acquisito connotazioni razziste; negli Stati Uniti meridionali tra il 1890 e gli anni venti, con un picco nel 1892, gli uomini di colore ne sono state le vittime più frequenti. Il linciaggio nel Sud degli Stati Uniti è infatti associato con la reimposizione del potere bianco dopo la guerra di secessione: la concessione dei diritti costituzionali agli schiavi liberati nel periodo della ricostruzione (1865-1877) suscitò preoccupazioni tra i sudisti bianchi, che non erano pronti a riconoscere l'uguaglianza degli afroamericani, cui furono per altro attribuite le responsabilità dei disagi sofferti durante la guerra, delle perdite economiche subite e della perdita dell'annullamento dei privilegi sociali e politici. Durante questo periodo, furono linciati alcuni attivisti, bianchi e neri, impegnati a favorire l'integrazione, mentre gli afroamericani subirono intimidazioni e aggressioni per impedire loro di votare. Dopo il ritiro delle truppe federali, i Democratici ottennero la maggioranza nelle assemblee legislative statali e promulgarono nuove costituzioni e leggi elettorali che esclusero dal diritto di voto la maggior parte dei neri e i più poveri tra i bianchi. Inoltre, reintrodussero norme segrazioniste, quali le leggi Jim Crow. Negli anni cinquanta e sessanta scoppiarono nuove violenze, ma il linciaggio di attivisti appartenenti al Movimento dei diritti civili nel Mississippi galvanizzò a livello nazionale il supporto della popolazione alla legislazione federale che impose la parità. Il Tuskegee Institute ha registrato che 3 446 persone di colore e 1 297 bianchi furono linciati tra il 1882 e il 1968.Gli afroamericani resistettero ai linciaggi in vari modi. Gli intellettuali e i giornalisti incoraggiarono l'educazione pubblica sul tema, protestando attivamente contro la violenza della folla e la complicità delle autorità alla violenza stessa. La National Association for the Advancement of Colored People (NAACP), così come numerose altre associazioni, condusse una campagna nazionale per ottenere una legge federale anti-linciaggio. Inoltre, sei milioni e mezzo di afroamericani tra il 1910 e il 1970 semplicemente lasciarono il Sud degli Stati Uniti - in quella che è stata definita come la grande migrazione afroamericana - sia per ottenere un lavoro migliore e una migliore educazione, sia per sfuggire all'alto tasso di violenza.
La scuola dell'ecologia sociale urbana, meglio nota come scuola di Chicago, è stata la prima scuola di sociologia urbana negli Stati Uniti d'America. Essa comprende un ampio numero di studiosi che operarono a Chicago nei primi tre decenni del XX secolo.
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