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La Pala Pucci è un dipinto a olio su tavola (214x195 cm) di Pontormo, databile al 1518 e conservata nella chiesa di San Michele Visdomini a Firenze. È il dipinto a olio più grande conosciuto di questo pittore.
L'ottava rima è il metro usato nei cantari trecenteschi e nei poemetti del Boccaccio (Ninfale fiesolano, Filostrato). Non è certo chi l'abbia inventato, ma il suo uso può essere rintracciato fin dal XIV sec. La prima testimonianza è il Filostrato, opera di Giovanni Boccaccio, tant'è che si tende a pensare che sia stato il grande autore del trecento italiano ad inventare l'ottava rima, partendo dall'esempio degli huitains francesi in lingua d'oil ; altro esempio ne è il Britto di Bretagna di Antonio Pucci). Diventerà poi il metro di poeti popolari, come Antonio Pucci, e scrittori colti come Franco Sacchetti che lasceranno poi al Pulci, al Boiardo, all'Ariosto e al Tasso, di elevarlo alle più alte cime. La popolarità dell'ottava riuscì in questo modo a sostituire la terzina dantesca. È ancora questo metro che sarà utilizzato dai poeti estemporanei per i loro contrasti di improvvisazione fino ai nostri giorni.
Il marchese Emilio Pucci di Barsento (Napoli, 20 novembre 1914 – Firenze, 29 novembre 1992) è stato un aviatore, stilista e politico italiano pluridecorato con tre Medaglie d'argento al valor militare, fu un asso dell'aviazione nella specialità aerosiluranti.
Un cantare è un componimento poetico in ottave, di argomento vario: epico, cavalleresco, avventuroso, sacro oppure storico-politico. Quello del cantare è un genere letterario nato e diffusosi in Italia nel XIV secolo, e di natura strettamente performativa. I cantari erano cioè destinati a essere recitati pubblicamente sulle piazze in occasione di feste o di mercati da un canterino (una sorta di giullare) che arricchiva la propria esecuzione col canto e la mimica. Elaborati di norma direttamente dai canterini, che li memorizzavano e li eseguivano anche a richiesta del pubblico, i cantari sono giunti fino a noi in forma per lo più anonima. Solo di alcuni autori conosciamo l'identità: tra questi, la figura più nota è certamente quella del fiorentino Antonio Pucci, amico e ammiratore di Giovanni Boccaccio. Le dimensioni dei cantari sono varie. Il più antico pervenutoci, il Libro di Fiorio e Biancifiore redatto tra il 1343 e il 1349, comprende 134 ottave. Ma ci sono anche testi molto più lunghi, suddivisi in più tempi (ciascuno corrispondente a una singola seduta di recitazione, generalmente della lunghezza di 40-50 ottave) e caratterizzati da una maggiore complessità ed estensione narrativa. Questi ultimi sono spesso testi più tardi, con caratteristiche ormai simili a quelle di un vero e proprio poema. Da un cantare di questo tipo e di argomento epico-cavalleresco, le gesta di Orlando, Luigi Pulci prese lo spunto e la materia per il suo Morgante. Giovanni Boccaccio utilizzò i cantàri tra le fonti del suo Decameron. Alla fine del Trecento appartiene il poemetto toscano Cantare dei cantari che tratta materia romana, troiana nonché temi del ciclo carolingio e del ciclo bretone. La forma fu utilizzata anche per opere propagandistiche cattoliche, come quelle di Niccolò Cicerchia. La lingua dei cantari, come per altri generi di trasmissione orale e performativa, è caratterizzata da una sintassi semplice e da un lessico ristretto e ripetitivo, con ampio ricorso a uno stile formulare che facilitava la memorizzazione del testo e l'esecuzione.