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I guelfi bianchi e i guelfi neri furono le due fazioni in cui si divisero intorno alla fine del XIII secolo i guelfi di Firenze, ormai il partito egemonico in città dopo la cacciata dei ghibellini. Le due fazioni lottavano per l'egemonia politica, e quindi economica, in città. A livello della situazione extracittadina, seppur entrambe sostenitrici del papa, erano opposte per carattere politico, ideologico ed economico. I guelfi bianchi, favorevoli alla signoria, erano un gruppo di famiglie aperte alle forze popolari, perseguivano l'indipendenza politica ed erano fautori di una politica di maggior autonomia nei confronti del pontefice, rifiutandone l'ingerenza nel governo della città e nelle decisioni di varia natura. I guelfi neri, invece, che rappresentavano soprattutto gli interessi delle famiglie più ricche di Firenze, erano strettamente legati al papa per interessi economici e ne ammettevano il pieno controllo negli affari interni di Firenze, incoraggiando anche l'espansione dell'autorità pontificia in tutta la Toscana. La rivalità tra i guelfi bianchi e i guelfi neri fu al centro della vita sociale e politica, tra la fine del XIII secolo e il primo decennio del Trecento a Firenze, a Pistoia e in altre città della Toscana. Episodi storici legati ai contrasti nati all'interno del Partito guelfo sono ampiamente trattati nella Divina Commedia, che proprio in quegli anni veniva scritta da Dante Alighieri.
Giano Della Bella (Firenze, seconda metà del XIII secolo – Francia, prima del 19 aprile 1306) è stato un politico italiano, importante figura della Repubblica di Firenze nella seconda metà del Duecento. Principale esponente dei Della Bella, una delle più antiche famiglie nobili ghibelline della città di Firenze, si era fatto guelfo e popolano per ragioni politiche. Egli divenne il "paladino" dei ceti più popolari della città, capeggiando la rivolta contro i "magnati" del 1292. Scrisse di lui Dino Compagni: "I nobili e grandi cittadini insuperbiti faceano molte ingiurie a' popolani [...]. Onde molti buoni cittadini popolani e mercatanti, tra' quali fu un grande e potente cittadino (savio, valente e buono uomo, chiamato Giano della Bella, assai animoso e di buona stirpe, a cui dispiaceano queste ingiurie) se ne fe' capo e guida" (Cronica, Libro I, XI). Divenuto priore riuscì a far emanare dal gonfaloniere di giustizia Baldo Ruffoli i cosiddetti Ordinamenti di Giustizia (promulgati il 18 gennaio 1293) che rappresentarono la più importante riforma della Repubblica dai tempi dell'abolizione del sistema consolare. Con questi provvedimenti i "Magnati" ovvero i nobili di antica tradizione feudale e latifondista venivano esclusi dal governo della città in favore del nascente ceto borghese, obbligando, tra le altre cose, per essere eleggibili alle cariche politiche l'iscrizione a un'Arte. Il cosiddetto "popolo magro" composto dagli strati più bassi e poveri della società (salariati, braccianti, piccoli dettaglianti) era comunque ancora escluso, non esistendo Arti che comprendessero le loro categorie (si dovrà aspettare fino all'avvento del Duca di Atene nel 1343). Bonifacio VIII mandò a Firenze Jean de Chalons (Gian di Celona), che forse avrebbe dovuto uccidere Giano, ma per paura del popolo, stando a quanto riporta il Compagni, si preferì evitare il delitto. Venne però indetta una congiura che mettesse Giano contro il popolo stesso, che riuscì a far crescere lo scontento attorno alla sua figura, tanto che fu scacciato di lì a poco in giorni tumultuosi con sommosse di piazza e combattimenti. Nel 1294 fu podestà di Pistoia e in seguito i suoi ordinamenti vennero revisionati nel 1295, anche se di fatto rimasero il vigore. Egli è il protagonista dei primi capitoli della Cronica di Dino Compagni ed è citato anche da Dante Alighieri (Pd. XVI, 127-132). La speranza di poter rientrare presto in Firenze dovette avere breve durata. I nemici riuscirono a isolarlo del tutto, facendo seguire alla condanna a morte la scomunica (27 ott. 1295), e ottenendo - grazie alla mediazione di alcune potenti compagnie bancarie fiorentine - l'intervento di Bonifacio VIII che in una bolla solenne del 23 genn. 1296 minacciò di interdetto Firenze qualora avesse accolto entro le mura Giano, Taldo o il loro nipote Ranieri di Comparino. A Giano non restò altro che prendere la via della Francia, là dove era vissuto in gioventù e dove fu accolto con rispetto e con stima. Le sue tracce si perdono rapidamente. Sappiamo che consumò a Parigi una piccola vendetta nei confronti degli odiati Velluti, contribuendo alla severa punizione di Donato, reo di aver ucciso uno stalliere dei Franzesi. Lo ritroviamo con il nome di Jehan de Florence tra i "lombardi" allirati negli anni 1298-1300 a Parigi, nella parrocchia di St.-Germain l'Auxerrois. Poi nient'altro. È probabile che la morte lo abbia colto, ultrasessantenne, nei primissimi anni del nuovo secolo. La collocazione della morte del D. dopo il 1311 (Davidsohn, Manselli ed altri), che si basa sulla sentenza fiorentina del 2 sett. 1311 che escludeva i Della Bella dall'amnistia concessa ai fuorusciti, non è più sostenibile dopo la scoperta da parte di E. Cristiani di un documento pisano del 19 apr. 1306, in cui Taldo Della Bella costituisce come proprio procuratore il nipote Cione del fu Giano. E la presenza di Cione alla redazione dell'atto esclude un possibile errore del notaio. Del resto, l'assenza di notizie sul D. dopo il 1300 aveva fatto dubitare che la sua morte potesse essere avvenuta così tardi.Mentre il figlio Cione lo seguì nell'esilio, gli altri membri della famiglia, la moglie del D., Saracina, e la figlia Caterina poterono restare a Firenze, in una parte della torre di famiglia salvatasi dalla distruzione. A Caterina - andata poi sposa a Guido di Baldo Castellani, podestà di Pisa - furono restituiti, nel settembre 1317, i beni confiscati al padre più di vent'anni prima. Giosuè Carducci nella Consulta araldica così si espresse:Si riferiva al fatto che anche i nobili furono costretti per partecipare alla politica a iscriversi a un'Arte e quindi a lavorare.
Dino Compagni (Firenze, 1246/1247 – Firenze, 26 febbraio 1324) è stato un politico, scrittore, storico e mercante italiano.
La Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi è un trattato di carattere storiografico del fiorentino Dino Compagni.