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Il Granducato di Toscana fu un antico Stato italiano esistito per duecentonovanta anni, tra il 1569 e il 1859, costituito con bolla emessa da papa Pio V il 27 agosto 1569, dopo la conquista della repubblica di Siena da parte della dinastia dei Medici, reggitori della Repubblica di Firenze, nella fase conclusiva delle guerre d'Italia del XVI secolo. Fino alla seconda metà del XVIII secolo fu uno stato confederale costituito dal Ducato di Firenze (detto "Stato vecchio") e dallo Stato Nuovo di Siena, in unione personale nel granduca. Il titolo traeva origine da quello del Ducato di Tuscia, poi Marca di Tuscia e quindi Margraviato di Toscana, titolo giuridico di governo del territorio di natura feudale in epoca longobarda, franca e post-carolingia. Dopo l'estinzione della dinastia medicea, nel 1737 subentrò la dinastia degli Asburgo-Lorena, che resse le sorti del granducato sino all'unità d'Italia, pur con l'interruzione dell'epoca napoleonica. Tra il 1801 ed il 1807, infatti, Napoleone Bonaparte occupò la Toscana e l'assegnò alla casata dei Borbone-Parma col nome di regno d'Etruria. Col crollo dell'impero napoleonico nel 1814, venne restaurato il granducato. Nel 1859 la Toscana venne occupata dalle truppe del regno di Sardegna e divennero note col nome di Province dell'Italia Centrale. La Toscana venne formalmente annessa al regno sardo nel 1860, come parte del processo di unificazione nazionale, con un referendum popolare che sfiorò il 95% dei si.
La Toscana (AFI: /tosˈkana/) è una regione italiana a statuto ordinario di 3 676 116 abitanti, situata nell'Italia centrale, con capoluogo Firenze. Confina a nord-ovest con la Liguria, a nord con l'Emilia-Romagna, a est con le Marche e l'Umbria, a sud con il Lazio. Ad ovest, i suoi 397 km di coste continentali sono bagnati dal Mar Ligure nel tratto centro-settentrionale tra Carrara (foce del torrente Parmignola, confine con la Liguria) e il Golfo di Baratti; il Mar Tirreno bagna invece il tratto costiero meridionale tra il promontorio di Piombino e la foce del Chiarone, che segna il confine con il Lazio.Il capoluogo regionale è Firenze, la città più popolosa (382 000 abitanti), nonché principale fulcro storico, artistico ed economico-amministrativo; le altre città capoluogo di provincia sono: Arezzo, Grosseto, Livorno, Lucca, Massa, Pisa, Pistoia, Prato e Siena. Amministra anche le isole dell'Arcipelago Toscano, oltre ad una piccola exclave situata entro i confini dell'Emilia-Romagna, in cui sono situate alcune frazioni del comune di Badia Tedalda. Il nome è antichissimo e deriva dall'etnonimo usato dai Latini per definire la terra abitata dagli Etruschi: "Etruria", trasformata poi in "Tuscia" e poi in "Toscana". Anche i confini della odierna Toscana corrispondono in linea di massima a quelli dell'Etruria antica, che comprendevano anche parti delle attuali regioni Lazio e Umbria, fino al Tevere. Fino al 1861 è stata un'entità indipendente, nota con il nome di Granducato di Toscana con una enclave costituita dalla Repubblica e poi Ducato di Lucca. Da allora ha fatto parte del Regno di Sardegna, del Regno d'Italia e successivamente della Repubblica Italiana. In epoca granducale aveva anche un inno, composto dal fiorentino Egisto Mosell ed intitolato La Leopolda. La festa regionale, istituita nel 2001, ricorre il 30 novembre, nel ricordo del suddetto giorno del 1786 in cui furono abolite la pena di morte e la tortura nel Granducato di Toscana, primo Ordinamento al mondo ad abolire legalmente la pena di morte.
La viticoltura in Toscana è l'insieme delle attività di coltivazione di uva e produzione di vino svolte nella regione.
L'agricoltura biologica è un tipo di agricoltura che sfrutta la naturale fertilità del suolo favorendola con interventi limitati; vuole promuovere la biodiversità delle specie domestiche (sia vegetali, sia animali), esclude l'utilizzo di prodotti di sintesi e degli organismi geneticamente modificati (OGM). Non vi sono evidenze scientifiche che l'agricoltura biologica abbia un minor impatto ambientale dei sistemi non biologici né che i prodotti abbiano una maggiore qualità.
L’olivo della Strega è una pianta monumentale situata presso Magliano in Toscana, in un oliveto adiacente la chiesa romanica della SS. Annunziata; questa in origine era un piccolo oratorio della prima metà del 1300, cronologia desumibile dal fatto che già nel 1350 vi risiedevano, anche se non in pianta stabile i Padri Serviti. L'albero è considerato uno dei più vecchi d'Italia, forse d'Europa, dato che la sua età viene stimata intorno ai 3000-3500 anni, infatti adottando il metodo del carbonio attivo, gli esperti hanno assegnato alla pianta il primato di longevità per la Toscana; tale cronologia collocherebbe questo esemplare in un periodo storico anteriore a quello degli olivi dell'orto di Getsemani. La pianta è composta da due individui, uno, il vecchio albero, con età intorno ai 3000-3500 anni, databile quindi intorno al 1000 a.C., ormai morto, che ha formato la gigantesca e particolare base su cui è nato il nuovo pollone, diventato albero, che sembra avere almeno due secoli di vita e che, comunque, è il prolungamento dell'antico albero. Del vecchio olivo non rimane che un tronco rugoso e contorto, ma ancora vegeto con un pollone in frutto. La pianta è ormai un monumento ed è stata fatta una recinzione che ne garantisce una certa protezione per evitare che le persone, eventuali collezionisti di oggetti legati ai luoghi visitati, possano asportare frammenti del tronco o dei rami come ricordo o quantomeno danneggiarla. Nel 2007 il TCI lo ha annoverato fra gli alberi monumentali della Toscana, in virtù della legge n.60 del 1998 della Regione Toscana che definisce alberi monumentali di alto pregio artistico e storico tutti gli alberi isolati o facenti parte di formazioni boschive che possono essere considerati rari esempi di maestosità e longevità o gli alberi che hanno un preciso riferimento ad eventi o memorie rilevanti dal punto di vista storico, culturale o di tradizioni locali. È stato istituito anche un premio a nome dell'olivo della Strega per i migliori olii extra vergine della zona. La pianta appartiene al tipo Olea europea, presenta un enorme tronco, con circonferenza alla base di 8,50 metri, non è molto sviluppata in altezza, tanto che non arriva a 10 metri, misura non molto rilevante se pensiamo che ci sono olivi che giungono fino a 20 metri di altezza. L'Olivone di Semproniano per citare un esempio, era una pianta secolare con dimensioni da primato: 29 metri di altezza e circonferenza alla base di 12 metri, ma la notte del 10 maggio 1998 fu incendiato da alcuni vandali e quasi completamente distrutto; le autorità territoriali hanno poi promosso azioni diverse per il recupero e per la definitiva tutela della pianta. La parte viva dell'olivo della Strega si trova rivolta a sud, infatti, osservando il groviglio del legno contorto della vecchia pianta si nota che nel corso dei secoli le parti più antiche sono morte e sono state sostituite da altre più giovani, vista la capacità dell'olivo di rigenerarsi dalla ceppa, così risulta quasi che abbia subito uno spostamento verso sud, lasciando a nord le parti morte del tronco. Si può rilevare come l'olivo si sia spostato nel corso del tempo lungo l'asse nord-sud, muovendosi lentamente verso sud, forse cercando una migliore esposizione, con un movimento talmente lento da risultare impercettibile ai nostri sensi. La pianta è elencata fra le 79 Cultivar individuate in Toscana, intendendo con questo che il tipo genetico mantiene un'identità strettamente associata al territorio su cui insiste; infatti, utilizzando da secoli l'innesto sull'olivastro o su semenziali nati spontaneamente o mettendo a dimora piante ottenute dagli ovoli della ceppaia, è stato creato un grande patrimonio genetico costituito da un numero imprecisato di ecotipi, cioè tipi genetici, strettamente associati ad un'area geografica, e questo è il caso dell'Olivo della Strega. Caratteristiche dell'albero sono la vigoria, il portamento, la chioma ed i frutti che sono di un colore rosso vinoso, di forma allungata e dimensione media, la foglia adulta ha forma ellittica; la produttività non è mai stata eccezionale e l'olio che si ottiene si distingue dalla variabilità media toscana principalmente per l'acido palmetico molto elevato (16%), l'oleico abbastanza basso (66%) e linoleico intorno all'11% (7). Lo stato attuale di pieno deperimento è confermato dalle analisi al C 14, che, oltre a collocare a 290 anni l'età del nuovo albero, indicano come rimanga circa 1/3 della struttura originale, in corso di estinzione, il cui avanzamento prevede un arco di circa 90 anni per la scomparsa (G. Bongi, progetto EVO). L'olivo, al tempo degli Etruschi e nel Medioevo, si trovava in un bosco rigoglioso che col disboscamento, avvenuto nei secoli successivi, ha visto la messa a dimora di nuove piante fino a formare l'oliveto che oggi presenta anche olivi relativamente giovani intercalati ad altri più vecchi. Vista la storia della chiesa della SS. Annunziata con i Padri Serviti e la presenza nelle immediate vicinanze di altri 5 olivi portainnesti selvatici si può pensare che l'oliveto sia in parte da riferirsi all'insediamento dell'oratorio, tenendo conto anche dell'incertezza dell'accrescimento marginale delle piante che può variare fra 1.4 e 2.3 millimetri all'anno (8). Le notizie storiche relative a questo olivo risalgono solo agli inizi del 1800, cioè, quando fra il 1795 ed il 1806 Giorgio Santi fece i suoi “viaggi” attraverso le province di Siena e Grosseto (9). Appena giunse a Magliano scriveva: «Qua presso un soppresso convento foraneo dei Serviti ci fu mostrato un preteso olivo miracoloso, che per convertire un giocatore disperato e bestemmiatore fece baccelli. Ma l'olivo miracoloso, già utilissimo a quello stabilimento è un'Anagride, che come tutte le Anagridi fa a suo tempo fiori e silique e in quelle vicinanze varie altre pur ve ne sono da disingannare i troppo creduli diminuiti assai di numero dopo la soppressione del convento. Un olivo bensì noi viddemmo poco lungi di là non miracoloso, ma certamente maraviglioso per la sua rara grossezza. Egli è vecchissimo ed il suo pedone da me misurato vicino a terra era piedi 30, lo che lo rende, io credo, il gigante degli olivi» (10). Nel 1839 Emanuele Repetti parlava della zona di Magliano e dintorni descrivendo la geografia del luogo, dove fra le altre notizie rilevava che nel 1833 la popolazione di Magliano era di 328 anime, fra famiglie ed ecclesiastici di ambo i sessi, diceva: «Prova solenne della feracità del suolo di questa comunità ne sia per tutti l'olivo gigante. Ma quel maraviglioso olivo, di domestico che fu, era inselvatichito alla pari di tutti gli altri olivi per il progressivo abbandono di coltura e per deficienza di abitatori cacciati dalle malefiche esalazioni che in estate i venti meridionali attingono dal putrido palustre seno di Talamone” ed ancora “…segnalato dal Santi talché il suo pedale fu misurato della circonferenza di 30 piedi!!!» (11). Nella primavera del 1844 George Dennis (12), nel corso dei suoi “vagabondaggi” attraverso la Maremma, capitò a Magliano durante uno spostamento da Orbetello a Saturnia, alla ricerca di un convincente sito di Vetulonia etrusca. “Magliano è un villaggio senza locanda, di trecento anime, ai piedi di un castello medievale in pittoresca rovina”, scriveva l'autore, per cui fu costretto a stabilirsi in un convento del villaggio dove erano alcuni monaci “la cui barba superava per candore la tovaglia del refettorio”, di sicuro i Camaldolesi, in quel tempo proprietari del terreno e dell'oliveto circostante. Qui incontrò l'ingegnere Tommaso Pasquinelli che, oltre ad essere un esperto conoscitore della zona, proprio in quel periodo stava progettando la strada da Magliano alle saline della foce dell'Albegna. Il Dennis, fra tutte le altre cose e rovine che aveva visto, rimase colpito dalla grandezza dell'olivo e parlava delle enormi dimensioni del tronco che aveva una circonferenza di 10 metri ed un diametro di 2.60 metri. Luigi Mazzoni nel suo libro “Un viaggiatore Toscano dei primi dell'800” (13) scriveva che Gaetano Mazzoni “partì da Orbetello per Magliano, dove era già stato nel 1812, attraversò l'Albegna dove i Vivarelli avevano costruito un molino ed altre lavorazioni, trovò in generale molto migliorati i luoghi, molti disboscamenti e molte coltivazioni. Giunse verso le 8.30. Anche a Magliano trovò vecchie conoscenze e particolarmente un tal Vincenzo Valli il quale lo riempì di cortesie, e fornitolo di cavalli lo portò in giro per la regione della quale era sindaco. Rivide un colossale ulivo che aveva 17 braccia (14) al tronco ben vegeto come in genere tutti gli olivi della regione”. Queste sono le testimonianze più antiche attendibili, oggettive e frutto di osservazioni raccolte direttamente dagli autori durante visite, anche avventurose, sul posto; non ci sono fonti precedenti, nonostante l'olivo sia ritenuto vecchio di 3000-3500 anni. La cosa che risulta subito evidente nella lettura di queste vecchie pagine è che l'olivo in questione è definito “colossale”, “gigante”, “maraviglioso” e non si fa mai riferimento al nome di Olivo della Strega, segno che forse tale definizione è un retaggio popolare o quanto meno nato in un secondo tempo nelle tradizioni che raccontano le credenze o il costume di una comunità, leggende verosimili che vivono una loro vita segreta e strana ai margini della storia e della tradizione. Nel 1911 Nicolosi, nel 1967 Mazzolai, noto storico della Maremma, ed anche altri occasionali autori parlano dell'olivo in modo non troppo corretto, forniscono le dimensioni (Mazzolai parla di un diametro di circa 2.60 metri) spesso senza averlo visto e confondendolo con “l'albero miracoloso che aveva fatto i fagioli”, che per altro fu abbattuto nel 1930, e parlando poi delle leggende sorte intorno alla pianta offrono anche versioni distorte della storia stessa. Durante il corso del 1900 la mole dell'olivo era tale che un lunedì di Pasqua, dopo la fine della seconda guerra mondiale, ospitò fra i suoi rami tutto il corpo della banda filarmonica del paese, composto da 40 orchestrali, con relativi ottoni ed il maestro; questi stavano sui rami, nascosti fra le foglie e suonarono i loro strumenti davanti agli abitanti del paese in una suggestione tale che la musica usciva come se fosse nata e suonata dall'olivo stesso. Dopo la guerra tornarono le feste degli abitanti di Magliano intorno all'olivo e da novembre si raccoglievano le olive, fino a quando fu colpito da un fulmine ed i Maglianesi raccontano che furono portati via quintali di legna da ardere. Oggi l'olivo è privo di buona parte dei rami, ma ancora in vita. La magia in Maremma ha radici nelle antichità pagane: streghe, folletti e spiriti maligni, anime incantate a guardia di antichi tesori; anche il Diavolo era una presenza comune e molti affermavano di averlo visto, travestito da gran signore, da somaro, perfino da prete. Il nome olivo della Strega è dovuto ad alcune figure o raffigurazioni che si potevano intuire più che vedere, particolarmente in certe ore del giorno, come verso il tramonto, quando le ombre cominciano a creare suggestioni, sul tronco o sui rami rugosi, contorti, scolpiti dal vento e dagli agenti atmosferici. Fino agli anni '40 del 1900 si potevano distinguere in alto, su un ramo centrale, la faccia di un uomo o di una vecchia e sul tronco la figura forse di un grosso gatto in atto di arrampicarsi ed accanto alla testa dello stesso il profilo di una donna con i capelli lunghi. Queste immagini oggi non si vedono più, ma esistono delle foto che le ritraggono e ne confermano la presenza. Secondo antiche leggende tramandate dalla tradizione orale popolare e non da fonti scritte, intorno all'albero si consumavano riti pagani e, dopo l'invocazione dei sacerdoti, l'olivo si contorgeva in modo incredibile assumendo forme inquietanti tanto che la cosa era considerata una specie di stregoneria ed anche per questo era chiamato Olivo della Strega. Durante il periodo etrusco si racconta che intorno a questo albero e sotto le sue fronde gli Auguri ed Aruspici officiavano i loro riti per interrogare e svelare il futuro. Tanto per fare un riferimento sulla sacralità dei luoghi, dobbiamo ricordare che proprio nella zona di Magliano, a S. Maria in Borraccia, è stato ritrovato, nel 1883, il “disco di Heba”, (15) su cui sono incise circa 70 parole in lingua etrusca che si riferiscono a formule dedicatorie e rituali per sacrifici alle divinità celesti ed infere: Tin (Giove), Maris (Marte), Canthas e Calu (dio della morte, il cui animale corrispondente era il lupo), specificando le offerte da fare, il tempo ed il luogo. La tradizione ricorda che agli albori del Cristianesimo, intorno alla pianta venivano celebrate feste campestri in onore delle divinità agresti ancora venerate dai pagani. Si narra che durante il Medioevo le streghe di Maremma si ritrovavano ai piedi del nostro olivo per esaltare il diavolo con i loro sabba, ma la leggenda più diffusa narra di una strega che ogni venerdì, durante i suoi riti sabbatici, danzava intorno all'olivo, costringendo così la pianta a contorcersi fino ad assumere le forme attuali. Si noti come alla base di una spiegazione che trascende la razionalità sull'aspetto contorto del tronco dell'olivo ci sia sempre un agente esterno o una motivazione che spinga l'albero ad assumere il caratteristico aspetto. Al termine del rito la strega si trasformava in un enorme gatto dagli occhi di fuoco e rimaneva a vegliare l'albero tutta la notte. Altre versioni della storia narrano che l'olivo giungeva a raddoppiare le sue dimensioni. Si racconta anche che una strega, per proteggere l'olivo, una volta lanciò delle olive, dure come sassi, contro un ragazzo che aveva scagliato una pietra contro un pettirosso nascosto fra i rami della pianta.
La Quercia delle Streghe (o Farnia delle Streghe) è un albero monumentale di Capannori, in provincia di Lucca. Si tratta di un esemplare di roverella (Quercus pubescens), la specie di quercia più diffusa in Italia. La Quercia delle Streghe è situata nel parco di villa Carrara (Gragnano) a Gragnano, frazione di Capannori, in località San Martino in Colle. Il possente albero vanta una età approssimativa di 600 anni. Esso presenta un'altezza di 15 metri (secondo altre fonti 24 metri), un tronco dalla circonferenza di circa 4 metri ed una chioma di oltre 40 metri di diametro, misure che consentono alla Quercia di essere classificata seconda in Toscana per dimensioni. La particolarità di questa pianta è la tendenza ad espandere la chioma in direzione parallela al terreno, cosa non comune in questa specie.
La quercia delle Checche è un albero monumentale situato in Val d'Orcia, località Le Checche, nel comune di Pienza in provincia di Siena. Si tratta di un esemplare di rovere (Quercus petraea). La cecca, o checca, è il nome con la quale in Toscana si indica la gazza. Il possente albero vanta un'età approssimativa di quasi 300 anni. Esso presenta un'altezza di 19 metri, un tronco dal perimetro di circa 4,90 metri e una chioma di oltre 34 metri di diametro. Nel giugno del 2017 la quercia delle Checche ha ottenuto il riconoscimento MiBACT: è il primo monumento verde d'Italia.
L'impiallacciatura è un'operazione che viene eseguita in falegnameria e consiste nel ricoprire un legname non pregiato od un pannello con un sottilissimo tranciato di legno detto piallaccio. Nel caso del legno, ne viene usato uno pregiato, lungo la vena o controvena o nella radica dell'albero (radica di Tetraclinis articulata, noce, ulivo, vene di noce, mogano, palissandro, ciliegio e varie tipologie di legni esotici provenienti dall'Africa e dall'America Latina), in modo da dare al prodotto la sembianza di una essenza di grande qualità. Il termine "impiallacciatura" viene comunemente utilizzato, in modo improprio, per indicare qualsiasi rivestimento di un legno non pregiato, includendo anche quelli effettuati, ad esempio, con resine melamminiche (pannelli nobilitati) o tranciato di legno.
La casa a graticcio o a traliccio si basa su un metodo di creazione di edifici con intelaiature in legno collegate tra di loro in diverse posizioni. In tali edifici la struttura portante è costituita da una serie di travi in legno disposte orizzontalmente, verticalmente e obliquamente. Le travi rimangono a vista nella facciata dell'edificio quando la costruzione è stata completata, conferendo un particolare e caratteristico stile agli edifici di questo genere. Gli spazi fra le travi sono generalmente riempiti da particolari composti di legno e limo, da pietre o da laterizi, dunque da elementi non portanti. Pur essendo attestabile nelle più svariate epoche e in diversi continenti, si tratta di un modello considerato tipico soprattutto dell'Europa centrale, dove venne edificato dal Medioevo all'Ottocento (in tedesco Fachwerkhaus). Il principio fu applicato anche alle costruzioni di chiese in genere minori.