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Il termine storico Terre della Corona di Santo Stefano, o anche Transleithania, di solito denotava un gruppo di stati che nei secoli si erano via via andati affiliando al Regno d'Ungheria, con un'unione personale, e successivamente entrarono nell'Impero austro-ungarico. Questo complesso sistema di stati è talvolta indicato con il termine Archiregnum Hungaricum, utilizzando una terminologia medievale. Data la natura multietnica dell'area, una tale denominazione statuale - così identitaria (grazie al suo richiamo alla antica e gloriosa storia cristiana scaturita dalla figura del re-santo Santo Stefano d'Ungheria e dei suoi successori) e allo stesso tempo sovra-etnica (o comunque non troppo "magiarocentrico") - venne ritenuta più adatta a rappresentare l'unità nella diversità dello stato a guida ungherese. Nelle varie lingue del regno l'espressione ebbe varie versioni: in ungherese Szent István Koronájának Országai (Terre/Paesi/Stati della Corona di Santo Stefano) e Szent Korona Országai (Terre/Paesi/Stati della Sacra Corona), Magyar Korona Országai (Terre della Corona Ungherese) e Magyar Szent Korona Országai (Terre della Sacra Corona Ungherese), in croato Zemlje Krune svetog Stjepana (Terre della Corona di Santo Stefano), in tedesco Länder der heiligen ungarischen Stephanskrone (Terre della Sacra Ungara Corona di Santo Stefano), in serbo Земље круне Светог Стефана / Zemlje krune Svetog Stefana (Terre della Corona di Santo Stefano), in slovacco Krajiny Svätoštefanskej koruny (Terre della Corona di Santo Stefano), Krajiny uhorskej koruny (Terre della Corona Ungherese).
Una delle conseguenze della prima guerra mondiale fu la dissoluzione dell'Impero austro-ungarico: gli Asburgo furono allontanati dal trono, mandati in esilio ed i territori posti un tempo sotto il loro dominio divennero stati indipendenti o ceduti alle nazioni vincitrici. L'Ungheria, nel primo dopoguerra, attraversò un periodo di forte instabilità politica, segnato da tentativi di instaurare un regime socialista o comunista. Alla fine il Paese riuscì a stabilizzarsi rimanendo formalmente un regno, il cui capo di Stato, anziché essere un re era un reggente, scelto nella persona di Miklós Horthy. L'ultimo imperatore, Carlo I d'Austria, che aveva anche regnato in Ungheria come Carlo IV, cercò in due distinte occasioni di riconquistare il suo trono. Entrambi i tentativi si rivelarono, però, infruttuosi e portarono all'esilio finale dell'ex monarca, al consolidamento della reggenza e alla definitiva abolizione della dinastia degli Asburgo in Ungheria. I suoi tentativi sono anche chiamati rispettivamente "Primo" e "Secondo colpo di stato reale" (in ungherese: első és második királypuccs). Il primo tentativo, realizzato durante la Pasqua del 1921, fallì sul nascere per il rifiuto del reggente Miklós Horthy di cedere il potere a Carlo. Il 26 marzo 1921 Carlo era, infatti, rientrato in Ungheria dall'esilio, senza sostegno militare, sperando che bastasse la sua sola presenza a forzare la restaurazione della monarchia. L'ostilità dei paesi vicini e della Triplice Intesa e la mancanza di un sufficiente sostegno da parte del popolo e dell'esercito, lo fecero desistere e dopo un paio di giorni tornò in Svizzera. Pare anzi che Horthy durante il colloquio avuto con Carlo, cercasse di convincerlo del profondo odio che serpeggiava tra la popolazione ungherese nei confronti del casato degli Asburgo. Il secondo tentativo avvenne il 21 ottobre 1921. Questa volta Carlo tornò in Ungheria a capo di un contingente di soldati leali alla sua causa e marciò su Budapest. Raggiunta, senza particolari incidenti, la periferia della capitale, Carlo dovette però confrontarsi con i gruppi armati frettolosamente assemblati da Horthy e suoi seguaci, che riuscirono a sconfiggere le forze a lui leali, anche grazie al tradimento del generale Pál Hegedüs che le comandava. Fallito questo secondo colpo di stato, l'ex sovrano fu tratto in arresto e consegnato alle nazioni dell'Intesa, che lo mandarono al suo esilio finale, assieme alla moglie, sull'isola portoghese di Madeira.
Quattro Castella (I Quâter Castē in dialetto reggiano) è un comune italiano di 13 158 abitanti della provincia di Reggio Emilia in Emilia-Romagna.
Il castello di Amboise, situato nell'omonima cittadina nel dipartimento dell'Indre e Loira, è situato in una posizione che domina la Loira. È incluso nella lista dei castelli della Loira. Prima di essere unito ai beni della corona reale di Francia nel 1434, il castello appartenne, per oltre quattro secoli, alla potente famiglia d'Amboise. Durante il Rinascimento, fu molte volte residenza di diversi re di Francia. Venne parzialmente distrutto dopo la Rivoluzione: del progetto di Carlo VIII rimanevano le residenze reali, la cappella di Saint-Hubert dove riposano i presunti resti di Leonardo da Vinci, le terrazze e le torri che danno al monumento una forma del tutto singolare. Il castello di Amboise fu oggetto di una classificazione tra i monumenti storici francesi, nella lista stilata nel 1840. Sebbene sia di origine medievale, il castello deve il suo aspetto attuale dai rimaneggiamenti e ampliamenti apportati da Carlo VIII nel 1492 e da Francesco I che ne fece la sua corte di residenza, portandovi artisti e personaggi di fama europea come Leonardo da Vinci che trascorse qui gli ultimi anni della sua vita si pensa anche che lui abbia avuto degli allievi che ha addestrato per diventare ottimi pittori ma la loro identità rimane tuttora sconosciuta.
Il castello Monforte è monumento nazionale e simbolo della città di Campobasso. Prende il nome dal conte Nicola II Monforte, dei Monforte-Gambatesa, che lo restaurò nel 1458 in seguito al terremoto del 1456.