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Un lavoratore è una persona che svolge un'attività manuale o intellettuale in un contesto di produzione di beni o erogazione di servizi, svolgendo la sua attività lavorativa a titolo oneroso oppure a titolo gratuito (in questa seconda accezione una persona che svolge un'attività lavorativa come volontario è anch'essa un lavoratore).
La legge 20 maggio 1970, n. 300 - meglio conosciuta come statuto dei lavoratori - è una delle normative principali della Repubblica Italiana in tema di diritto del lavoro. Introdusse importanti e notevoli modifiche sia sul piano delle condizioni di lavoro che su quello dei rapporti fra i datori di lavoro e i lavoratori, con alcune disposizioni a tutela di questi ultimi e nel campo delle rappresentanze sindacali; ad oggi di fatto costituisce, a seguito di minori integrazioni e modifiche, l'ossatura e la base di molte previsioni ordinamentali in materia di diritto del lavoro in Italia.
L'Italia (/iˈtalja/, ), ufficialmente Repubblica Italiana, è uno Stato situato nell'Europa meridionale, il cui territorio coincide in gran parte con l'omonima regione geografica. L'Italia è una repubblica parlamentare e conta una popolazione di circa 60 milioni di abitanti. La capitale è Roma. La parte continentale, delimitata dall'arco alpino, confina a nord, da ovest a est, con Francia, Svizzera, Austria e Slovenia; il resto del territorio, circondato dai mari Ligure, Tirreno, Ionio e Adriatico, si protende nel mar Mediterraneo, occupando la penisola italiana e numerose isole (le maggiori sono Sicilia e Sardegna), per un totale di 302072,84 km². Gli Stati della Città del Vaticano e di San Marino sono enclavi della Repubblica mentre Campione d'Italia è l'unica exclave italiana. Con l'ascesa di Roma, che fu capitale della Repubblica romana e poi dell'Impero romano, si ebbe il primo processo di unificazione della penisola, destinata a rimanere per secoli il centro politico e culturale della civiltà occidentale. Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, l'Italia medievale fu soggetta a invasioni e dominazioni di popolazioni germaniche, come gli Ostrogoti, i Longobardi e i Normanni, perdendo la propria unità politica. Nel XV secolo, con la diffusione del Rinascimento, ridivenne il centro culturale del mondo occidentale, ma dopo le guerre d'Italia del XVI secolo ricadde sotto l'egemonia delle potenze straniere, quali Francia, Spagna e Austria. Durante il Risorgimento gli italiani combatterono per l'indipendenza nazionale e per l'Unità d'Italia, finché nel 1861 fu proclamato il Regno d'Italia, che completò la riunificazione con la presa di Roma del 20 settembre 1870 e la vittoria nella prima guerra mondiale. Dal 1882 al 1960 l'Italia ha posseduto un impero coloniale. Nel 1946, dopo il ventennio fascista, la sconfitta nella seconda guerra mondiale e la guerra civile, a seguito di un referendum istituzionale lo Stato italiano divenne una repubblica. Nel 2020 l'Italia, ottava potenza economica mondiale e terza nell'Unione europea, è un paese con un alto standard di vita: l'indice di sviluppo umano è molto alto, 0.883, e la speranza di vita è di 83,4 anni. È membro fondatore dell'Unione europea, della NATO, del Consiglio d'Europa e dell'OCSE; aderisce all'ONU e al trattato di Schengen. È inoltre membro del G7 e del G20, partecipa al progetto di condivisione nucleare della NATO, è una grande potenza regionale europea, in grado di esercitare influenza politica anche su scelte e decisioni di ordine extra-europeo e globale, e si colloca in nona posizione nel mondo per spesa militare. In virtù della sua storia ultramillenaria, l'Italia vanta insieme alla Cina il maggior numero di siti dichiarati patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
L'espressione mercato del lavoro viene utilizzata per indicare l'insieme dei meccanismi che regolano l'incontro tra i posti di lavoro vacanti e le persone in cerca di occupazione e che sottostanno alla formazione dei salari pagati dalle imprese ai lavoratori.
La disoccupazione nell'Unione Europea, stando ai dati sul tasso destagionalizzato della disoccupazione del complesso dei 28 Paesi UE relativi al mese di aprile 2016, è pari all'8,7%, in calo rispetto al 9,6% dello stesso mese dell'anno precedente e sul livello più basso degli ultimi sette anni. Nella zona euro, che comprende attualmente 19 Paesi UE, si è registrato un tasso pari al 10,2% nell'aprile 2016, in confronto all'11,0% del corrispondente mese del 2015.
Jobs Act indica informalmente una riforma del diritto del lavoro in Italia, (promossa e attuata in Italia dal governo Renzi, attraverso l'emanazione di diversi provvedimenti legislativi e completata nel 2016) volta a flessibilizzare il mercato del lavoro. Il provvedimento fu adottato nell'intento di ridurre la disoccupazione stimolando le imprese ad assumere. Il termine deriva dall'acronimo di "Jumpstart Our Business Startups Act", riferito a una legge statunitense, promulgata durante la presidenza di Barack Obama nel corso del 2011, a favore delle imprese di piccola entità mediante fondi. In Italia il termine è stato invece usato, per contaminazione con il sostantivo inglese "job", per definire un insieme di interventi normativi in tema di lavoro a carattere più generale.
La disoccupazione tecnologica è la perdita di lavoro dovuta al cambiamento tecnologico. Questo cambiamento solitamente riguarda l'introduzione di tecnologie che permettono di ridurre il carico di lavoro eseguito dagli operatori e l'introduzione dell'automazione. Proprio come i cavalli, usati come primo mezzo di locomozione, vennero gradualmente resi obsoleti dall'automobile, anche i lavori degli esseri umani sono stati toccati dal cambiamento tecnologico, ne è un esempio quello dei tessitori ridotti in povertà dall'introduzione del telaio meccanico nella prima rivoluzione industriale. Durante la seconda guerra mondiale il calcolatore bomba, inventato da Alan Turing, compresse in poche ore processi di decodificazione che altrimenti avrebbero tenuto occupati gli esseri umani per anni. Alcuni esempi contemporanei di disoccupazione tecnologica sono la sostituzione delle casse manuali con le casse automatiche, la riscossione automatica dei pedaggi stradali e i passaggi a livello automatici, che hanno reso obsoleta la figura del casellante. Che il cambiamento tecnologico possa causare la perdita di posti di lavoro nel breve termine è un fatto comunemente accettato, mentre sugli effetti sul lungo termine si è aperto un lungo dibattito non ancora giunto ad una conclusione. Le due scuole di pensiero si possono sommariamente dividere in ottimisti e pessimisti. Gli ottimisti sono convinti che la perdita di lavoro dovuta all'innovazione verrà compensata da altri fattori che renderanno l'impatto nullo nel lungo termine. I pessimisti invece sostengono che almeno in alcuni casi le nuove tecnologie possono portate ad un costante declino nel numero di posti di lavoro. L'espressione “disoccupazione tecnologica” è stata resa popolare da John Maynard Keynes negli anni ’30, ma la questione è discussa fin dai tempi di Aristotele. In genere, prima del XVIII secolo, sia le élite che i roturier avevano una visione pessimista della disoccupazione tecnologica, almeno nei casi in cui la questione sorse. Dato che i livelli di disoccupazione nella storia pre-moderna sono quasi sempre stati bassi, non era un argomento molto discusso. Nel XVIII secolo le paure dell'impatto delle macchine sull'occupazione si intensificarono con la crescita della disoccupazione di massa, specialmente in Inghilterra, all'avanguardia nella rivoluzione industriale. Nonostante ciò alcuni pensatori misero in dubbio queste paure, sostenendo che in generale l'innovazione non avrebbe avuto effetti negativi sui posti di lavoro nel lungo termine. Queste argomentazioni vennero formalizzate nel XIX secolo dagli economisti classici. Durante la seconda metà dello stesso secolo divenne sempre più palese che il progresso tecnologico beneficiasse tutti i settori della società, inclusa la classe operaia. Le preoccupazioni sull'impatto negativo dell'innovazione diminuirono, e venne coniato il termine “fallacia luddista” per descrivere l'idea della perdita di lavoro dovuta all'innovazione. L'idea che la tecnologia difficilmente porterà ad una disoccupazione nel lungo termine è stata ripetutamente messa in discussione da una minoranza di economisti, tra i quali, nel primo 1800, David Ricardo. Molti economisti hanno messo in guardia dalla disoccupazione tecnologica in alcuni particolari frangenti, come negli anni trenta e sessanta, in cui il dibattito sulla questione si intensificò. Nelle ultime due decadi del XX secolo, soprattutto in Europa, vari cronisti hanno notato un graduale aumento della disoccupazione nei paesi industrializzati a partire dagli anni settanta; nonostante ciò la maggior parte degli economisti e dell'opinione pubblica ha mantenuto una visione ottimista sull'innovazione nel XX secolo. Nella seconda decade del XXI secolo sono stati pubblicati un certo numero di studi che suggeriscono la possibilità di una crescita della disoccupazione tecnologica a livello globale. Mentre molti economisti e commentatori ancora sostengono l'infondatezza di questi timori, le preoccupazioni riguardanti la disoccupazione tecnologica hanno ricominciato a crescere. Un servizio pubblicato dalla rivista Wired nel 2017 cita esperti come l'economista Gene Sperling e il professore di management Andrew McAfee a sostegno della tesi per cui la disoccupazione tecnologica è «una questione importante». Per quanto riguarda l'idea per cui l'automazione «non avrà alcun grosso effetti sull'economia per i prossimi cinquanta o cento anni», McAfee dice: «Nessuno del mestiere con cui mi capita di parlarci ci crede». Innovazioni come Watson hanno il potenziale di rendere obsoleti gli esseri umani in vari campi, dagli impiegati, ai lavoratori poco qualificati, ai creativi ed altri lavori intellettuali.