Accedi all'area personale per aggiungere e visualizzare i tuoi libri preferiti
Francesco I de' Medici (Firenze, 25 marzo 1541 – Poggio a Caiano, 19 ottobre 1587), figlio di Cosimo I de' Medici e della di lui prima moglie Eleonora di Toledo, fu il secondo Granduca di Toscana dal 1574 alla morte, avvenuta improvvisamente e misteriosamente nel 1587.
Cosimo I de' Medici (Firenze, 12 giugno 1519 – Firenze, 21 aprile 1574) è stato il secondo ed ultimo Duca della Repubblica Fiorentina, dal 1537 al 1569, e, in seguito alla sua elevazione a Granduca di Toscana, il primo Granduca di Toscana, dal 1569 alla morte, avvenuta nel 1574. Figlio del condottiero Giovanni de' Medici, detto delle Bande Nere, e di Maria Salviati, apparteneva per via paterna al ramo cadetto dei Medici detto dei Popolani, discendente da quel Lorenzo de' Medici detto il Vecchio, fratello di Cosimo il Vecchio, il primo Signore de facto di Firenze; mentre era discendente per via materna dal ramo principale stesso, in quanto la madre era figlia di Lucrezia de' Medici, a sua volta figlia di Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze. In questo modo Cosimo I portò al potere il ramo cadetto dei Popolani e diede vita alla linea granducale.
Bianca Cappello (Venezia, 1548 – Poggio a Caiano, 20 ottobre 1587) fu prima amante e poi moglie del Granduca di Toscana Francesco I de' Medici. Famosa per essere stata al centro di numerosi intrighi, morì in maniera misteriosa un giorno dopo suo marito Francesco. Casualmente, a un suo ritratto è dovuta la creazione, da parte dello scrittore Horace Walpole, del fortunato termine serendipità.
Leopoldo II d'Asburgo-Lorena (Vienna, 5 maggio 1747 – Vienna, 1º marzo 1792) è stato Granduca di Toscana con il nome di Pietro Leopoldo I di Toscana dal 1765 al 1790 e imperatore del Sacro Romano Impero e re d'Ungheria e Boemia dal 1790 al 1792. Figlio dell'imperatore Francesco I e di sua moglie Maria Teresa d'Austria, fu fratello della celebre Maria Antonietta, regina di Francia, e di Maria Carolina, regina di Napoli. Leopoldo, succeduto al fratello Giuseppe II, fu un moderato proponente dell'assolutismo illuminato e propugnatore del Codice leopoldino, legge che portò il Granducato di Toscana ad essere il primo Stato nella storia ad abolire formalmente la pena di morte.
Ferdinando II de' Medici (Firenze, 14 luglio 1610 – Firenze, 23 maggio 1670), figlio di Cosimo II de' Medici e di Maria Maddalena d'Asburgo, fu il quinto Granduca di Toscana dal 1621 al 1670, anno della sua morte.
Ferdinando I de' Medici (Firenze, 30 luglio 1549 – Firenze, 3 febbraio 1609), figlio di Cosimo I de' Medici e della prima moglie Eleonora di Toledo, fu un cardinale di Santa Romana Chiesa dal 1562, fino alla nomina del cardinale Francesco Sforza, creato da Papa Gregorio XIII, è stato il porporato italiano più giovane. Con l'improvvisa morte del fratello Francesco I, divenne il terzo Granduca di Toscana dal 1587 alla morte, avvenuta nel 1609. Non abbandonò la porpora nemmeno dopo essere salito al potere, ma fu costretto a lasciarla nel 1589 per sposare Cristina di Lorena, dalla quale ebbe poi nove figli.
Cosimo III de' Medici (Firenze, 14 agosto 1642 – Firenze, 31 ottobre 1723), figlio di Ferdinando II de' Medici e di Vittoria Della Rovere, fu il penultimo Granduca di Toscana appartenente alla dinastia dei Medici. Regnò per 53 anni, dal 1670 al 1723, anno della sua morte. Il suo regno, il più lungo nella storia della Toscana, fu caratterizzato da un forte declino politico ed economico, punteggiato dalle campagne persecutorie nei confronti degli ebrei e verso chiunque non si conformasse alla rigida morale cattolica. Sposò per procura, il 18 aprile 1661, Margherita Luisa d'Orléans, cugina di Luigi XIV. Il suo fu considerato come uno dei matrimoni peggiori nella storia dei Medici: la forte diversità dei caratteri, infatti, portò Margherita Luisa prima a rifiutare ogni forma di convivenza con Cosimo e poi a tornare in Francia, dove morì. La coppia, comunque, ebbe tre figli: Ferdinando nel 1663, Anna Maria Luisa nel 1667 e Gian Gastone nel 1671. Nei suoi ultimi anni Cosimo III, di fronte al rischio concreto di estinzione della propria casata, cercò di far nominare sua figlia Anna Maria Luisa come sua erede universale, ma l'imperatore Carlo VI d'Asburgo non lo permise. Alla sua morte, nel 1723, gli succedette il figlio Gian Gastone.
Antiquitatum variarum volumina XVII ("Diciassette volumi di antichità varie") è una ponderosa opera pubblicata nel 1498 sotto il titolo originale di Commentaria fr. Ioannis Annii Viterbiensis super opera diversorum auctorum de antiquitatibus loquentium (Roma: Eucharius Silber, 1498). L'opera, che si presentava come una sterminata compilazione di antichissime cronache ritrovate, accompagnate dal commento del compilatore, ma venne in maniera postuma accusata essere una complessa e ingegnosa falsificazione ordita dal frate domenicano Annio da Viterbo (pseudonimo umanistico di Giovanni Nanni, 1437-1502), erudito quattrocentesco. L'opera, nota anche come Antichità di Annio, intendeva pubblicare gli annali dei sacerdoti caldei, egizi e altri scritti di filosofi greci come supplemento alla cronologia biblica, e propose una visione radicalmente nuova della storia universale, in cui la tradizione caldea e aramea ed egizia veniva direttamente connessa e riconciliata con le radici della storia d'Europa. Venne accusato di falso per avere con il suo scritto messo da parte l'intera tradizione culturale e storiografica greca. In realtà la componente greca costituisce gran parte dell'opera, e personaggi greci come Fetonte vengono collocati sul fiume Eridano padano proprio in accordo con le storie greche. L'opera riscosse una grande fortuna, con numerose edizioni a stampa, anche in volgare, valendogli molte onorificenze da parte del papà Alessandro VI, che lo nominò Gran Maestro del Sacro Palazzo. Ma molto tempo dopo la sua morte, nel secolo successivo alla pubblicazione, venne tacciato essere una colossale falsificazione. Gli effetti dell'opera si protrassero comunque fino al XVII secolo (ne fa uso, ad esempio, Athanasius Kircher, seppure in maniera paradossale) e, in misura occasionale, fino al XVIII secolo. Questo strascico prolungato ha costretto gli studiosi che intendevano screditarlo a dover ripetutamente ritornare sulla dimostrazione della falsità dell'opera, con una ferocia tale da non permettere all'opera la riabilitazione nemmeno dopo le scoperte archeologiche otto-novecentesche che hanno riesumato le tavolette sumere che confermavano parte dei racconti da lui attribuiti a Beroso, insieme alla scoperta dei materiali costruttivi come il bitume da lui citati, che all'epoca dello scrittore erano sconosciuti, tant'è che lo stesso Sansovino interprete in una nota esplicativa ipotizza si trattasse di un tipo di argilla. Lo stesso dicasi per le prove archeologiche relative ai 5 diluvi riportati dall'autore nelle sue cronache di Beroso, che non hanno minimamente condotto ad un cambio di atteggiamento nei riguardi del testo.. Non è mancato un tentativo di riabilitazione novecentesca da parte di un appartenente al suo stesso ordine domenicano né, infine, una pubblicazione accademica su una rivista scientifica peer reviewed che fa riferimento ai resoconti di Beroso di Annio. Il contenuto del libro è di portata così vasta e precisa che è stato infatti molto difficile convincere i lettori che una mente umana fosse capace di inventare informazioni del genere (annali reali con nomi, anni, luoghi, materiali che si sono ritrovati solo 500 anni dopo con i grandi scavi, e lui non poteva conoscere se non dalle effettive cronache del sacerdote caldeo) ma ciò non impedì lo sforzo di discredito, che riuscì bene. Veniva però specificato, bello screditare, che l'opera di Annio non fosse in effetti equiparabile a una semplice "falsificazione", ma a un processo creativo di "reinvenzione simbolica di tradizioni", in grado di toccare a fondo le "corde [...] della sensibilità del tempo", come dimostra la "vasta e tenace fortuna" che il lavoro di Annio era destinato a incontrare in tutta Europa.