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Vittorio Emanuele Orlando (Palermo, 19 maggio 1860 – Roma, 1º dicembre 1952) è stato un politico, giurista e docente italiano. È noto per aver rappresentato l'Italia nella Conferenza di pace di Parigi del 1919 con il suo ministro degli esteri Sidney Sonnino a seguito della vittoria italiana al fianco della Triplice intesa contro gli Imperi centrali nella prima guerra mondiale, ruolo simbolico che gli valse l'appellativo di "Presidente della Vittoria". Nel 1946, dopo la fine della seconda guerra mondiale e della dittatura fascista, Orlando fu membro e presidente dell'Assemblea Costituente che all'indomani del referendum aveva il compito di formalizzare il cambio di forma dello Stato italiano in Repubblica. Oltre al suo importante ruolo politico, Orlando è anche noto per i suoi scritti, oltre un centinaio di lavori, su questioni legali e giudiziarie. Insigne giurista e politico italiano, fu professore di diritto costituzionale e diritto amministrativo nelle università di Messina, di Modena, di Palermo, e di Roma. Fu inoltre il fondatore della scuola italiana di diritto pubblico. Dette contributi profondamente innovativi alla scienza giuridica; curò la stesura del Primo trattato completo di diritto amministrativo (1897-1925), in cui furono inclusi i contributi degli autori più autorevoli della materia. In particolare, nell’opera è esposto il cosiddetto «metodo descrittivo» che indica i principi dell’organizzazione e dell’attività amministrativa ed esamina le finalità dell’amministrazione.
La legge 15 agosto 1863, n. 1409 (nota anche come legge Pica dal nome del suo promotore, il deputato abruzzese Giuseppe Pica) fu una legge del Regno d'Italia. Venne concepita come “mezzo eccezionale e temporaneo di difesa” per contrastare il brigantaggio postunitario e fu emanata in deroga agli articoli 24 e 71 dello Statuto albertino, che garantivano il principio di uguaglianza di tutti i sudditi dinanzi alla legge e la garanzia del giudice naturale. Introdusse il reato di brigantaggio, i cui trasgressori sarebbero stati giudicati dai tribunali militari; essa inoltre fu la prima disposizione normativa dello stato unitario a contemplare il reato di camorrismo e a prevedere il "domicilio coatto". Le pene comminabili andavano dalla fucilazione, ai lavori forzati a vita, ad anni di carcere, con attenuanti per chi si fosse consegnato o avesse collaborato con la giustizia. Approvata durante il governo Minghetti I e promulgata da Vittorio Emanuele II il 15 agosto dello stesso anno, la legge fu più volte prorogata e rimase in vigore fino al 31 dicembre 1865.