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Le Pullip sono delle bambole da collezione create da Cheonsang Cheonha della Corea del Sud, nel 2003. Le Pullip hanno una testa in resina, sproporzionata rispetto al corpo snodato in plastica, con occhi intercambiabili e che possono cambiare posizione. Le Pullip furono commercializzate per la prima volta da Jun Planning in Giappone nel 2009 e successivamente da Groove in Corea. La parola Pullip (풀잎) significa "Stelo d'erba/foglia" in Coreano. Dal lancio dell'originale bambola femminile, altre linee di bambole sono state aggiunte: bambole del compagno maschile Namu (나무, albero) e Taeyang (태양, sole), la sua sorella più giovane Dal (달, luna), ed il migliore amico di Dal, Byul (별, stella), Isul (rugiada), che si suppone sia il fratello minore di Pullip. Esiste anche una linea di miniature: Little Pullip e Little Dal. Le bambole Pullip sono spesso personalizzate. Le versioni più recenti hanno parrucche che possono essere sostituite, ed il colore degli occhi può essere cambiato. Molti collezionisti decidono anche di personalizzare il trucco della propria Pullip, usando materiali appositi.
La frase Nam(u) myōhō renge kyō (南無妙法蓮華経) è l'invocazione o, in giapponese, daimoku (題目, cin. tímù, titolo) oppure ōdaimoku (翁題目, dove "Ō", 翁, cinese: Wēng, è il carattere onorifico, rendendo anche il sanscrito pitā-maha, "grande padre"), riferita al titolo del "Sutra del Loto della Legge Mistica". Il Sutra del Loto è un testo composto probabilmente in dialetto pracritico e poi tradotto in sanscrito nell'Impero Kushan tra il I e il II secolo d.C., e che alcune scuole buddhiste cino-giapponesi ritengono raccolga gli insegnamenti degli ultimi otto anni di vita del Shakyamuni, il fondatore storico del Buddhismo, vissuto alla fine del VI secolo a.C. In sanscrito il titolo è Saddharmapuṇḍarīka-sūtra (in caratteri devanāgarī: सद्धर्मपुण्डरीकसूत्र), letteralmente “Sutra del Loto della Legge meravigliosa” e nella traduzione in cinese di Kumārajīva, del V secolo d.C., è 妙法蓮華經 (pinyin: Miàofǎ Liánhuā Jīng, giapp. Myōhō renge kyō) a cui si aggiunge inizialmente il titolo onorifico di 南無 (pinyin: Nánwú, giapp. Nam, Namu o Namo) che deriva dal sanscrito नमः (Namaḥ) che indica saluto, venerazione in rapporto a un mantra. La pratica della recitazione di Nam myōhō renge kyō (in cinese Nánwú miàofǎ liánhuā jīng) si avviò in epoca Tang in Cina presso la scuola Tiantai, probabilmente durante il patriarcato di Zhànrán (湛然, 711-782) e fu diffusa in Giappone dal monaco giapponese Nichiren (日蓮, 1222-1282) nel 1253 secondo il quale la recitazione ogni giorno di questa invocazione consente a ciascun essere umano di raggiungere la propria natura illuminata. Ma già il monaco giapponese Kūkai (空海, 774-835), fondatore della scuola buddhista giapponese Shingon (真言), aveva indicato nel titolo del Sutra del Loto un vero e proprio mantra (眞言 giapp. shingon) e quindi la parte centrale di tutta l'opera.Secondo la tradizione buddhista cino-giapponese il titolo del sutra riassume, sintetizza e rende presente il senso profondo dell'insegnamento in essa contenuto: Namu (南無 cinese: nánwú, ma pronunciato nei monasteri con l'arcaico nanmu), derivante dal sanscrito namaḥ, indica la devozione, il rendere onore. Ha il significato di apertura e accettazione della legge dell'universo, armonizzandovi la propria vita e traendone forza e saggezza per superare le difficoltà. Myō significa "meraviglioso" e hō Dharma, sia nel senso di "Legge" sia come "ente" (妙法 cinese: miàofǎ). Renge (蓮華 pronuncia cinese: 'liánhuā') indica il fiore di loto, che simboleggia il risveglio e lo stato di illuminazione che emerge dalle difficoltà della vita quotidiana e la contemporaneità di causa ed effetto. Kyo (経 cinese: jing, sutra, testo canonico) indica l'insegnamento del sutra e la scrittura o il suono attraverso cui si esprime; il carattere cinese che lo rappresenta aveva in origine il significato di "trama" (contrapposta a "ordito", wei, con cui si intendono i testi eterodossi).I sette caratteri del daimoku vengono riportati anche nel centro del maṇḍala, o Gohonzon, che, secondo alcune scuole del Buddhismo Nichiren, rappresenta la vita di colui che recita, come una sorta di specchio; quindi non è l'oggetto in sé ad essere venerato, bensì è la propria vita; l'unico mezzo attraverso il quale il praticante può raggiungere i propri obiettivi, infatti, è la propria azione, compiuta con la consapevolezza della legge di causa ed effetto. Tuttavia il preciso significato dei termini, la loro esatta pronuncia e il loro peso nella pratica del culto, differiscono leggermente a seconda delle varie scuole religiose derivate da questa tradizione.
Il ciclo di Cthulhu, anche noto come Miti di Cthulhu (Cthulhu Mythos), è il ciclo letterario che si riferisce alla parte più importante della produzione di Howard Phillips Lovecraft (1890-1937). Il termine fu creato da August Derleth dopo la morte di Lovecraft nel tentativo di sistematizzare i riferimenti alle divinità blasfeme e alle creature cosmiche presenti nella letteratura del Solitario di Providence. Alcuni autori ritengono questa sistematizzazione una forzatura: per esempio Dirk W. Mosig ha proposto come nome alternativo Ciclo del Mito di Yog-Sothoth. Lovecraft fu un influentissimo autore di romanzi brevi e racconti di difficile classificazione (a metà fra la fantascienza, il fantasy e l'horror "cosmico"), che fanno riferimento ad ere della Terra precedenti l'avvento dell'umanità, e i cui retaggi arrivano fin ai giorni nostri (o meglio all'epoca dell'autore). Si tratta di retaggi fatti di culti innominabili e segreti, e di antichi misteri di quando la terra era giovane e abitata da razze extraterrestri "filtrate dalle stelle" e che avevano portato con loro i propri Dei, noti anche come Grandi Antichi (dei quali il più conosciuto, ma non il più importante, è appunto Cthulhu). L'intero ciclo è attraversato da numerosi leitmotiv, il più celebre dei quali è senza dubbio il Necronomicon, il grimorio (ovvero il libro magico) - uno pseudobiblium inventato da Lovecraft, ma che alcuni ancora oggi ritengono o spacciano per realmente esistente - che sarebbe stato scritto dall'arabo pazzo Abdul Alhazred, e col quale sarebbe stato possibile evocare "Quelli di Fuori", traendoli dalla più remote regioni del cosmo e dell'essere.