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In linguistica, un nome proprio è una notazione specifica adottata da una comunità o da un organismo amministrativo allo scopo di identificare e distinguere una persona (in questo caso si parla di antroponimo), un luogo o un'altra entità geografica (toponimo), una popolazione, una istituzione, un evento, un movimento culturale, un fenomeno sociale, un fenomeno oggetto di studio scientifico, una grandezza fisica, un'entità matematica (come un numero, una curva, una figura, o un teorema). Sul piano della denotazione, i nomi propri si distinguono, talora si giustappongono (e qualche volta si contrappongono) ai nomi comuni ed agli appellativi. In diverse lingue sono contraddistinti dall'iniziale maiuscola. Il nome proprio esprime il massimo di definitezza, in quanto individua univocamente un individuo. All'estremo opposto sta il pronome indefinito. Il diverso statuto di nomi comuni e nomi propri può riflettersi sul piano morfosintattico. Tipicamente i nomi comuni possiedono un plurale e sono accompagnati da uno specificatore. Di contro, i nomi propri non hanno plurale e lo specificatore che li accompagna è fisso o del tutto assente. Un importante punto di contatto tra nomi comuni e nomi propri sono le figure di antonomasia (le "sineddoche d'individuo", come le ha chiamate Pierre Fontanier), dove un uso particolare dei determinatori trasforma un nome proprio in nome comune o viceversa (un Attila, il Poeta).L'onomastica in generale e le più specifiche antroponimia, toponomastica ed etno-toponomastica studiano i nomi, le loro origini e il loro significato, sfruttando le metodologie proprie della linguistica e operando le necessarie ricerche di ordine storico e antropologico.
La deonomastica è lo studio dei nomi comuni, delle espressioni (come i modi di dire) o delle formazioni univerbate che originano dai nomi propri, anche attraverso meccanismi di derivazione. Tali nomi sono detti deonomastici (o anche deonimici). Di alcune di queste espressioni si sono perse le origini. Il termine deonomastica è stato introdotto da Enzo La Stella nel 1982, nell'articolo «Deonomastica: lo studio dei vocaboli derivati da nomi propri», pubblicato sulla rivista Le lingue del mondo.
Ai tempi che Berta filava è un'espressione deonomastica legata a un aneddoto della storia europea dell'Alto medioevo, situato tra letteratura e leggenda, il cui uso ricorre in alcune frasi proverbiali della lingua italiana per riferirsi a un tempo trascorso, non solo assai remoto ma "concluso". La donna a cui fa riferimento la frase è ritenuta, in genere, essere la regina Bertrada di Laon, moglie del re dei Franchi Pipino il Breve e madre di Carlomagno (oltre che di Carlomanno I), ma esistono anche altre ipotesi di identificazione visto che sull'aneddoto e sull'individuazione di Berta sono fiorite e circolate varie altre credenze e tradizioni, alcune delle quali, perso ogni aggancio a concrete figure storiche, si tramandano nella letteratura favolistica e fiabesca. L'esistenza e la circolazione della frase proverbiale nell'area linguistica italiana, comunque, risalgono a molto indietro nel tempo; difatti, l'espressione era già viva almeno nel Cinquecento, come testimonia L'Historia Orceana di Domenico Codagli, che tenta anche di darne una spiegazione aneddotica nell'ambito della storia locale di Orzinuovi, borgo della Bassa Bresciana occidentale.