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Marano di Napoli è un comune italiano di 57 905 abitanti della città metropolitana di Napoli in Campania. Posto in parte sulla collina dei Camaldoli, è uno dei comuni più popolosi, e fa parte del territorio denominato agro giuglianese.
I Campi Flegrei (dal greco flègo, che significa "brucio", "ardo") sono una vasta area situata nel golfo di Pozzuoli, a ovest della città di Napoli e del suo golfo. L'area è nota sin dall'antichità per la sua vivace attività vulcanica. È un antico supervulcano.
L'Arenella è un quartiere facente parte della quinta municipalità del comune di Napoli insieme al quartiere Vomero. Confina, oltre che a sud con il Vomero: a ovest con Soccavo; a nord con Chiaiano e per poco anche col quartiere San Carlo all'Arena; a est confina, infine, coi quartieri Stella e Avvocata.
Via di Camaldoli è una strada del centro storico di Firenze che collega piazza Torquato Tasso a Piazza de' Nerli, nella zona di San Frediano.
L'eremo di Camaldoli è un edificio religioso situato nei pressi dell'omonima località, in provincia di Arezzo, diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro a circa 1 100 metri s.l.m., all'interno del parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna. Fondato da san Romualdo nei primi anni dell'XI secolo, casa madre della Congregazione benedettina dei camaldolesi, è vicinissimo al confine amministrativo tra la provincia toscana di Arezzo e quella romagnola di Forlì-Cesena, a circa 45 km da Arezzo e 80 km da Forlì.
Cuma (Cumae in latino) è un sito archeologico della città metropolitana di Napoli, nel territorio dei comuni di Bacoli e di Pozzuoli, localizzato nell'area vulcanica dei Campi Flegrei. Le varie campagne di scoperta hanno portato alla luce gli Scavi archeologici di Cuma che rientrano nel Parco archeologico dei Campi Flegrei. Il nome deriva dal nome greco Κύμη (Kýmē), che significa "onda", facendo riferimento alla forma della penisola sulla quale è ubicata.
Il complesso dell'Eremo dei Camaldoli è un monumentale complesso storico ed artistico di Napoli; si erge sulla collina dei Camaldoli. Dall'eremo si gode un panorama suggestivo sul golfo di Napoli e i monti circostanti. Un panorama che spazia dalle isole d'Ischia, Capri e Procida, alle isole pontine (Ventotene e Ponza), alla costa laziale meridionale, al promontorio del Circeo (nella provincia di Latina, Lazio), ai monti del massiccio del Matese che separa la Campania dal Molise.
La Collina dei Camaldoli, con i suoi 457 metri sul livello del mare, è il rilievo più alto della città di Napoli, comprende i comuni di Napoli, Marano di Napoli e Quarto. La sua origine viene fatta risalire a circa 35.000 anni fa, in seguito a violente eruzioni che colpirono tutta l'area vulcanica dei Campi Flegrei.
La Biblioteca del Sacro Eremo di Camaldoli, dedicata all'umanista camaldolese Ambrogio Traversari (1386-1439), fu edificata nel 1622 in sostituzione della sede più antica situata nei pressi del guardaroba della Sacrestia, fatta costruire nella seconda metà del secolo XV dal Priore Generale Mariotto Allegri (1410-1478) abbellita dai bassorilievi di Gregorio di Lorenzo, che lavorò agli appartamenti degli ospiti del Palazzo Ducale di Urbino. Il patrimonio librario venne accresciuto grazie alla legislazione di Martino III, Priore generale, il quale inserì nelle Costituzioni del 1253 la norma che permetteva il possesso personale di libri a coloro che entrando in monastero avessero già compiuto studi. Il fondo librario fu descritto nell'Iter Italicum di Jean Mabillon, che la visitò nel 1684, che vide ancora conservati i codici greci riportati dal camaldolese Pietro Candido da Creta e Cipro dopo la sua permanenza in quelle isole per lo studio della lingua greca nel XVI secolo, e il salterio di San Romualdo, così chiamato perché identificato con il salterio glossato dal santo fondatore di Camaldoli secondo la tradizione di Pier Damiani. Dopo la spoliazione napoleonica del 1810 la Biblioteca venne riorganizzata e riaperta nel 1854 apponendo sull'architrave d'ingresso il motto SOPHIAS NAOS (Tempio della Sapienza). Al suo interno sono ancora oggi conservati manoscritti dal sec. IX ultimo quarto, cioè il salterio di San Romualdo, al XV-XVI secolo, cioè l'evangeliario Siemoni in lingua greca, unico superstite del fondo di Pietro Candido – e libri a stampa dal 1475 al 1846.