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La Guerra del Peloponneso (in greco antico: Περὶ τοῦ Πελοποννησίου πoλέμου, Perí toû Peloponnēsíou polémou) è un'opera di Tucidide sulla guerra del Peloponneso, scritta dallo storico greco nel periodo di permanenza ad Atene. Il titolo dell'opera e la divisione in otto libri, realizzati dai bibliotecari alessandrini, sono entrambi posteriori. Infatti all'opera viene attribuito anche il titolo di Storie, come quelle di Erodoto.
La guerra del Peloponneso, o seconda guerra del Peloponneso per distinguerla da un conflitto antecedente, fu combattuta nell'antica Grecia tra il 431 e il 404 a.C., fra Sparta e Atene, ciascuna con la propria coalizione. Gli storici dividono la guerra in tre fasi: nella prima, la fase Archidamica, Sparta effettuò continue incursioni contro l'Attica, mentre Atene utilizzava la propria potente flotta per colpire le coste del Peloponneso. Questo periodo di scontri si concluse nel 421 a.C. con la firma della pace di Nicia. La pace durò poco: al 415 a.C. risale infatti la spedizione ateniese in Sicilia, evento disastroso per le forze della Lega delio-attica (costituita da Atene e da varie città-stato greche nel 478-477 a.C., durante la fase conclusiva delle guerre persiane), tanto da rinnovare il contrasto tra le due coalizioni greche che si contendevano l'egemonia. Nel 413 a.C. ebbe inizio la fase Deceleica, caratterizzata dall'intenzione spartana di fomentare moti di ribellione tra le forze sottoposte ad Atene; questa strategia, unita agli aiuti economici provenienti dalla Persia e a diversi errori strategici da parte di Atene, portò nel 404 a.C. alla vittoria della Lega peloponnesiaca, dopo la battaglia navale di Egospotami. La guerra del Peloponneso cambiò il volto della Grecia antica: Atene, che dalle guerre persiane aveva visto crescere enormemente il proprio potere, dovette sopportare alla fine dello scontro con Sparta un gravissimo crollo e riconoscere l'egemonia del Peloponneso. Tutta la Grecia interessata dalla guerra risentì fortemente del lungo periodo di devastazione, sia dal punto di vista della perdita di vite umane sia da quello economico e, proprio per questo motivo, il conflitto viene considerato come evento finale del secolo d'oro della civiltà ellenica; Atene, in particolare, non avrebbe mai più recuperato la sua antica prosperità. Fonte fondamentale per la ricostruzione storica rimane l'imponente opera di Tucidide, la Guerra del Peloponneso. Lo storico ateniese concluse però la trattazione della guerra con la battaglia di Cinossema (411 a. C.). Della fase finale dello scontro danno conto le Elleniche di Senofonte, il quale continuò l'esposizione del conflitto da dove Tucidide l'aveva interrotta.
La seconda guerra persiana è stata il secondo tentativo di aggressione, invasione e conquista della Grecia ad opera dei Persiani, comandati da Serse I di Persia: si è svolta tra il 480 e il 479 a.C. all'interno del più vasto panorama delle guerre persiane, campagne militari aventi come ultimo scopo la sottomissione della Grecia all'impero achemenide. Tale guerra è la conseguenza diretta della fallimentare prima guerra persiana, svoltasi tra il 492 e il 490 a.C., condotta per ordine di Dario I di Persia e conclusasi con la ritirata degli aggressori in seguito alla sconfitta a Maratona. Dopo la morte di Dario, suo figlio Serse impiegò vari anni per pianificare la seconda spedizione, dovendo infatti raccogliere una flotta e un'armata di dimensioni colossali. Gli Ateniesi e gli Spartani guidarono la resistenza ellenica, sovraintendendo un'alleanza militare accordata tra circa trentuno poleis, e detta lega panellenica; tuttavia la maggior parte delle città rimase neutrale o si sottomise spontaneamente al nemico. L'invasione cominciò nella primavera dell'anno 480 a.C., quando l'armata persiana attraversò l'Ellesponto e marciò in direzione della Tessaglia, attraversando la Tracia e la Macedonia. L'avanzata terrestre delle forze persiane fu però bloccata presso il passo delle Termopili, dove un piccolo esercito guidato dal re spartano Leonida I ingaggiò una fallimentare ma storica battaglia con il nemico. Grazie alla resistenza opposta presso le Termopili, i Greci riuscirono a bloccare l'armata persiana per due giorni: quest'ultima ebbe però la meglio nel momento in cui riuscì ad aggirare l'avversario, a causa dell'aiuto del greco Efialte di Trachis, il quale attraverso un altro ingresso sulla montagna, controllato da poche sentinelle, li fece passare, intrappolando e massacrando la retroguardia greca. Contestualmente, la flotta persiana venne bloccata per due giorni da quella stanziata da Atene e dai suoi alleati presso Capo Artemisio: quando giunse la notizia della disfatta presso le Termopili, la flotta ellenica si trasferì più a sud, in direzione dell'Isola di Salamina, dove avrebbe poi ingaggiato con quella stanziata dall'impero achemenide l'omonima battaglia navale. Nel frattempo, le forze persiane avevano sottomesso la Beozia e l'Attica, riuscendo a giungere sino ad Atene, città che venne conquistata e incendiata: tutti i suoi abitanti si erano già messi in salvo. Tuttavia, la strategia ellenica riuscì a impedire l'avanzata persiana in quanto aveva previsto una seconda linea di difesa a livello dell'Istmo di Corinto, che venne fortificato a protezione del Peloponneso. Entrambi gli schieramenti ritenevano che la battaglia di Salamina sarebbe potuta essere decisiva per l'evoluzione dello scontro. Il generale ateniese Temistocle riuscì a sconfiggere la flotta persiana, battuta per la sua disorganizzazione dovuta alle piccole dimensioni del braccio di mare che ospitò la battaglia, compreso tra le coste dell'Attica e l'isola di Salamina. La vittoria fu presagio di una rapida conclusione dello scontro: in seguito alla sconfitta, Serse, temendo che i suoi soldati potessero rimanere intrappolati in Europa, decise di tornare in Asia e di lasciare in Grecia solo pochi soldati alla guida del generale Mardonio. La primavera seguente, gli Ateniesi e i loro alleati riuscirono a riunire un grande schieramento oplitico, che fecero poi marciare verso nord contro Mardonio, appoggiato dalla città di Tebe, che lo ospitò. Sotto la guida di Pausania l'esercito ellenico ebbe in seguito modo di combattere la battaglia di Platea, durante la quale provò nuovamente la sua superiorità, infliggendo una grave sconfitta ai Persiani e riuscendo ad uccidere Mardonio. Nello stesso giorno la flotta greca dimostrò la sua superiorità distruggendo quella persiana durante la battaglia di Micale, dopo aver attraversato il Mar Egeo. Dopo questa duplice sconfitta, i Persiani furono costretti a ritirarsi e persero la loro storica influenza economica e commerciale sul Mar Egeo. L'ultima fase della guerra, identificabile come sua conclusione e terminata nel 479 a.C., vede un contrattacco da parte delle forze elleniche che decidono infatti di passare all'offensiva, arrivando a scacciare i Persiani dall'Europa, dalle isole dell'Egeo e dalle colonie greche della Ionia.
La Lega delio-attica (o Lega di Delo o Anfizionia di Delo) fu una confederazione marittima costituita da Atene e da varie città-stato greche, nel 478-477 a.C., durante la fase conclusiva delle guerre persiane. Ad essa aderirono un numero di città compreso tra 150 e 173, delle quali le più importanti oltre ad Atene, che di fatto ne detenne la leadership, furono: Efeso, Mileto, Focea, Alicarnasso, Anfipoli, Olinto, Metone e Troia, le isole di Lesbo, Rodi, Samo, Delo e la penisola Calcidica. A ogni aderente alla Lega Atene impose un tributo (foros). Il nome deriva dall'isola di Delo, celebre per il culto di Apollo, dove si tenevano i congressi annuali delle città della lega e si custodiva il tesoro, almeno finché Pericle non lo trasferì ad Atene nel 454 a.C. sancendo l'assoluta predominanza militare e politica della città sul resto degli alleati. La lega di Delo seguì i destini di Atene fino al suo scioglimento, alla conclusione della Guerra del Peloponneso, nel 404 a.C.
Le guerre sacre furono una serie di conflitti relativi al controllo del santuario di Delfi. Nella Grecia antica vi furono quattro guerre sacre tra il VI ed il IV secolo a.C.
Con il termine guerre persiane si definisce la serie di conflitti combattuti tra le poleis greche e l'Impero persiano, iniziati intorno al 499 a.C. e continuati a più riprese fino al 479 a.C. Alla fine del VI secolo a.C., Dario I, denominato il "re dei re" dei Persiani, regnava su un impero immenso che si estendeva dall'India alle sponde orientali dell'Europa (nello specifico le zone orientali della Tracia). Nel 546 a.C. infatti, il suo predecessore Ciro il Grande, fondatore dell'impero, aveva sconfitto il re della Lidia, Creso, e i suoi territori, comprendenti le colonie greche della Ionia, furono incorporati all'Impero achemenide. Le città-stato ancora governate da sistemi tirannici condussero ognuna per proprio conto l'annessione all'Impero persiano, la sola Mileto riuscì a imporre le proprie pretese. Questa situazione di frammentazione aveva comportato la perdita definitiva da parte delle colonie di ogni indipendenza (prima godevano comunque di ampie autonomie) e una drastica riduzione della loro importanza commerciale, a causa del controllo totale che i Persiani esercitavano sugli stretti di accesso al Mar Nero.