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Il razzismo in Italia è un fenomeno storico, sicuramente complesso, difficilmente definibile univocamente. In parte potrebbe affondare le sue radici indietro nel tempo, ma non vi sono prove di una sua continuità del o di un collegamento ideologico tra i diversi fenomeni nelle diverse epoche.
Il termine razzismo nella sua definizione più semplice si riferisce a un'idea, spesso preconcetta e comunque scientificamente errata, come dimostrato dalla genetica delle popolazioni e da molti altri approcci metodologici, che la specie umana (la cui variabilità fenotipica, l'insieme di tutte le caratteristiche osservabili di un vivente, è per lo più soggetta alla continuità di una variazione clinale) possa essere suddivisibile in razze biologicamente distinte, caratterizzate da diverse capacità intellettive, valoriali, etiche e/o morali, con la conseguente convinzione che sia possibile determinare una gerarchia secondo cui un particolare, ipotetico, raggruppamento razzialmente definito possa essere definito superiore o inferiore a un altro.In "senso stretto" il razzismo, come teoria della divisione biologica dell'umanità in razze superiori e inferiori, è un fenomeno relativamente recente. In senso più ampio invece si tratta di una generale antica tendenza a discriminare i 'diversi' (nazioni, culture, classi sociali inferiori), e la principale funzione del razzismo, in tutte le varianti, fu sempre di giustificare qualche forma di discriminazione o oppressione.Nel 1950, il documento Dichiarazione sulla razza dell'UNESCO è stato il primo documento ad aver negato ufficialmente la correlazione tra la differenza fenotipica nelle razze umane e la differenza nelle caratteristiche psicologiche, intellettive e comportamentali.
Il razzismo negli Stati Uniti d'America rappresenta un fenomeno storico presente fin dall'epoca coloniale. I privilegi e i diritti sanzionati legalmente o socialmente furono largamente dati ai bianchi americani, ma negati ai nativi americani, agli afroamericani, agli asioamericani e agli ispanici sudamericani. Agli statunitensi di origine europea, in particolare ai ricchi protestanti anglosassoni, vennero concessi privilegi esclusivi in materia d'istruzione, immigrazione, diritto di voto, cittadinanza, acquisizione dei terreni e procedimenti penali per un periodo di tempo che va dal XVII secolo fino agli anni sessanta del XX secolo. Tuttavia, anche gli immigrati non protestanti provenienti dal continente europeo, in particolare i cittadini irlandesi, polacchi e italiani subirono, all'interno della società statunitense, un'emarginazione xenofoba ed altre forme di discriminazione basate sull'etnia e, almeno fino ad un certo periodo, non vennero neppure considerati come degli "autentici bianchi". Inoltre, i gruppi originari del Medio Oriente, come gli Ebrei e gli Arabi, hanno dovuto affrontare anch'essi una più o meno continua situazione discriminatoria; come diretta conseguenza di ciò, alcune persone appartenenti a queste comunità non si autoidentificano come "bianchi statunitensi". Anche coloro che provengono dall'Asia orientale e dall'Asia meridionale sono stati costretti ad affrontare il problema costituito dal pregiudizio razzista. Le principali istituzioni razziali etnicamente strutturate includono la schiavitù, la segregazione razziale, le cosiddette guerre indiane, le riserve indiane, la segregazione scolastica, le legislazioni sull'immigrazione e la naturalizzazione e i campi d'internamento durante la seconda guerra mondiale: l'internamento dei giapponesi, dei tedeschi e degli italiani. Almeno formalmente, la discriminazione razziale è stata abolita a partire dalla metà del XX secolo e, con il trascorrere del tempo, è stata sempre più percepita come socialmente inaccettabile e/o moralmente ripugnante. La politica di stampo razziale rimane tuttavia un fenomeno di ampia portata ed il razzismo implicito continua ancora ai giorni nostri a riflettersi nelle ampie disparità e disuguaglianze socioeconomiche, fino a giungere a forme più moderne e prevalentemente indirette di "razzismo simbolico". Un'ampia stratificazione sociale su base razziale continua a manifestarsi nell'ambito occupazionale ed in campo salariale, nella ricerca dell'alloggio, nell'istruzione e nella formazione professionale, nella concessione di prestiti e mutui e finanche in campo governativo. Secondo l'US Human Rights Network, un'organizzazione che concentra la propria attenzione sul rispetto dei diritti civili e che collabora con le organizzazioni per i diritti umani "la discriminazione negli Stati Uniti permea tutti gli aspetti della vita e si estende a tutte le comunità di minoranza". Mentre la natura dei punti di vista degli statunitensi medi si è molto modificata nel corso degli ultimi decenni, le indagini condotte da parte di associazioni indipendenti - oltre che dalla stessa ABC News - hanno scoperto che, anche recentemente, ampi strati di popolazione si riconosce nelle più comuni opinioni discriminatorie. Nel 2007 uno studio ha rilevato che una persona su dieci ammetteva di avere pregiudizi contro gli ispanici e sudamericani, mentre una su quattro manteneva forti giudizi negativi contro gli arabi in generale.
Il concetto di razza come suddivisione predeterminata nella specie umana anatomicamente moderna (Homo sapiens), ha una storia lunga e complessa. Il termine stesso di "razza" è un concetto moderno e, tra il XVI e il XIX secolo è stato spesso inteso nel senso di appartenenza ad una stessa Nazione o Etnia. Esso acquisì il suo senso moderno nel campo dell'antropologia fisica solo a partire dalla metà del XIX secolo. La politicizzazione dell'argomento, sotto il concetto di razzismo, nel XX secolo condusse ad una significativa riduzione degli studi razziali tra gli anni trenta e ottanta, culminando in un'opera di decostruzione nel post-strutturalismo venendo ad intendere il concetto di "razza" come una tipica "costruzione sociale". Dagli anni novanta in poi vi è stato un rinnovato interesse per le questioni razziali nel campo della genetica, nello studio della variabilità del fenotipo e nello studio quantitativo del "raggruppamento genetico".
L'Essai sur l'inégalité des races humaines (in italiano: Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane, 1853-1855) di Joseph Arthur, conte di Gobineau, è un saggio che afferma l'esistenza di differenze inconciliabili tra le diverse razze umane, che le varie civiltà declinano e decadono nel corso della storia quando accade che le "razze" si mescolano e che la razza Europoide caucasica (l'uomo bianco) è superiore a tutte le altre. È a tutt'oggi considerato uno dei primi esempi di razzismo scientifico. Le idee di Gobineau provengono a loro volta anche dall'antropologia con la sua classificazione del genere umano secondo i concetti derivanti dalla biologia di "specie" e "razza", messi a punto dagli scienziati del XVIII secolo. Espandendo la sua teoria con l'utilizzazione dell'etnografia promossa da Henri de Boulainvilliers per difendere l'Ancien Régime contro le rivendicazioni degli Stati generali francesi, Gobineau lo ha inteso come un sistema esplicativo universale; vale a dire che quella della "razza" è la forza primaria che determina gli eventi mondiali. Utilizzando discipline scientifiche variegate come la linguistica e l'antropologia Gobineau suddivide la specie umana in tre gruppi principali: quello bianco europoide, quello giallo mongoloide e quello negro negroide, affermando di poter dimostrare che "la storia sorge solo dal contatto con le razze bianche". Tra queste "razze bianche" distingue la razza ariana come l'apice dello sviluppo umano, che costituisce la base di tutte le aristocrazie europee. Tuttavia la miscelazione o il "meticcio" inevitabile è stato il risultato che ha portato alla "caduta delle civiltà".
Quello di razzismo contro i bianchi, o razzismo antibianco, è volto ad identificare il razzismo o un'intolleranza specificatamente orientata verso individui antropologicamente classificati come caucasici, i bianchi. Per il sociologo Erwan Lecoeur si tratta di una nozione inventata dall'estrema destra come parte di una strategia vittimista, i cui casi presentati sovente si sono dimostrati montati ad hoc.Negli ambienti di estrema destra questo concetto tende ad essere impiegato strumentalmente per giustificare politiche discriminatorie e negare i diritti civili delle diverse etnie. Personalità come Jean-Marie Le Pen lo hanno descritto come un «razzismo inverso».In ambienti di destra si tipizza il razzismo antibianco in un insieme di comportamenti specifici: demonizzazione della società bianca e generalizzazione del suo passato (colonialismo, schiavismo), aggressioni verbali e psicologiche, "segregazione verbale" (isolamento di bianchi da discussioni); e si descrive il concetto di razzismo antibianco come una riarticolazione del significato di razzismo, che non terrebbe conto, oggi, dell'odio verso i bianchi.Uno studio del 2009 rileva come nella popolazione bianca statunitense vi sia un aumento della percezione di essere maggiormente discriminati rispetto ai neri.
La razza nordica è una delle tre sub-razze nelle quali, in passato, veniva suddivisa la cosiddetta "Razza caucasica" (oggi definita come Europoide) secondo i canoni della antropometria fisica. La classificazione fu proposta in alcuni studi di antropologia fisica tra le fine del XIX e la prima metà del XX secolo; secondo queste teorie le persone appartenenti alla "razza nordica" si trovavano soprattutto nei paesi nordici, (l'Europa settentrionale, in particolare la penisola scandinava) e in parte nell'Europa centrale e nell'Europa orientale; erano caratterizzati dalla pigmentazione chiara di occhi, capelli e colore della pelle umana, statura tendenzialmente alta, faccia stretta e cranio allungato (dolicocefalia). I tratti psicologici dei nordici furono descritti come veritieri, equi, competitivi, ingenui, riservati ed individualisti. Altre supposte sub-razze furono la "Razza alpina", la "Razza dinarica", la "Razza baltica orientale" e la "Razza mediterranea". Il nordicismo fu un'ideologia del separatismo razziale che vedeva i Nordici come un gruppo razziale in via di estinzione, questo soprattutto nel libro dell'avvocato statunitense Madison Grant (1865-1937) intitolato The Passing of the Great Race: Or, The Racial Basis of European History (del 1916), quest'ideologia fu popolare soprattutto nel tardo XIX secolo e nei primi anni del XX in alcuni paesi nordoccidentali, centrali e settentrionali dell'Europa, come pure in America del Nord e in Australia. Il nazionalsocialismo ebbe a sostenere che la razza nordica costituisse il grado più alto possibile della "razza ariana" e che pertanto venisse a rappresentare la "razza superiore" (Herrenvolk).
La pena di morte (detta anche pena capitale) è una sanzione penale la cui esecuzione consiste nel togliere la vita al condannato. In alcuni ordinamenti giuridici è prevista per le sole colpe più gravi come l'omicidio e l'alto tradimento; in altri si applica anche ad altri crimini violenti, come la rapina o lo stupro, o legati al traffico di droga; in alcuni paesi infine è prevista per reati d'opinione come l'apostasia o per orientamenti e comportamenti sessuali come l'omosessualità o l'incesto. La pena di morte è stata abolita o non è applicata nella maggioranza degli stati del mondo mentre è ancora in vigore in altri paesi come ad esempio la Cina, la Bielorussia, l'India, il Giappone, la Corea del Nord, l'Iran e gli Stati Uniti d'America.
Le leggi razziali fasciste furono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi (leggi, ordinanze, circolari) applicati in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni quaranta, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana. Esse furono rivolte prevalentemente contro le persone ebree. Il loro contenuto fu annunciato per la prima volta il 18 settembre 1938 a Trieste da Benito Mussolini, da un palco posto davanti al Municipio in Piazza Unità d'Italia, in occasione di una sua visita alla città. Furono abrogate con i regi decreti-legge n. 25 e 26 del 20 gennaio 1944, emanati durante il Regno del Sud.