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La religione in Giappone è caratterizzata dalla mancanza di seguaci di un unico e solo filone religioso e vi è piuttosto la tendenza ad accomunare diversi elementi di varie religioni in modo sincretico, tendenza nota come shinbutsu shūgō (神仏習合? "sincretismo di kami e Buddha"). Lo shinbutsu shūgō fu ufficialmente disconosciuto come religione a seguito della restaurazione Meiji nel 1868, ma ciò nonostante continua a essere praticato. Lo shintoismo e il buddhismo giapponese quindi devono essere intesi non come due fedi completamente separate e concorrenti, ma piuttosto come un unico complesso sistema religioso. Ai sensi dell'articolo 20 della sua Costituzione, il Giappone gode di piena libertà religiosa, permettendo ai suoi cittadini di aderire a qualsiasi tipo di fede, tra le quali vi sono anche il cristianesimo, l'islam, l'induismo, e il taoismo.
Il buddhismo theravāda (pāli: थेरवाद, theravāda; sanscrito: स्थविरवाद, sthaviravāda, letteralmente "scuola degli anziani") è la forma di buddhismo dominante nell'Asia meridionale e nel Sud-est asiatico, in modo particolare in Sri Lanka, Thailandia, Cambogia, Birmania e Laos, ma vi sono minoranze di buddhisti theravāda anche in Bangladesh, India, Cina e Vietnam. È la più antica scuola buddhista tra quelle tuttora esistenti, originata da una delle prime e più importanti scuole nate dall'insegnamento di Siddhārtha Gautama, in particolare dalla dottrina Vibhajyavāda ("dottrina dell'analisi"), a sua volta originatasi intorno al III secolo a.C. da una divisione dalla scuola Sthaviravāda o "scuola degli anziani", entrambe due scuole del buddhismo dei Nikāya. Le più antiche testimonianze di questa scuola ne collocano il primo centro nella città indiana di Pāṭaliputta, l'odierna Patna, da dove si diffuse in seguito nella città di Kosambi e nel regno di Avantī (nella attuale Ujjain) e in altri luoghi dell'India occidentale. Un'iscrizione a Sārnāth e una a Nagarjunakoṇḍa ne testimoniano la presenza già nei primi tempi in cui il Buddhismo raggiunse queste città. Dall'India occidentale, il Theravāda si diffuse nell'India del sud affermandosi a Kāñcī (l'odierna Kanchipuram), per poi raggiungere infine l'isola dello Sri Lanka, dove ebbe un centro fondamentale per la sopravvivenza della sua ortodossia dottrinale nel monastero Mahāvihāra di Anurādhapura. Gli adepti possono essere definiti sthaviravāda o theravāda poiché il termine thera (in pāli) e il termine sthavira (in sanscrito) hanno il medesimo significato: "vecchio, autorevole". La dottrina, infatti, secondo questa tradizione, appartiene ai monaci anziani e venerandi, quelli che più s'avvicinavano al Buddha Shakyamuni e che più di tutti rifuggirono da ogni innovazione di tipo teorico. I theravāda sostengono quindi, come numerose altre scuole buddhiste per le rispettive dottrine, che la loro dottrina corrisponda in pieno a quella enunciata dal Buddha Shakyamuni. Rifiutano generalmente i sutra Mahayana e i loro testi sacri costuiscono il canone Pāli, come compilato durante il terzo concilio tenutosi durante il regno di Ashoka (circa due secoli dopo la morte del Buddha), sovrano indiano Maurya del III secolo a.C. e membro laico della Vibhajyavāda.
Il Buddhismo Nichiren (in lingua giapponese detto Hokke-shū, 法華宗, cioè "scuola del Loto", originariamente Nichiren-shū, 日莲宗, "scuola di Nichiren") è l'insieme di scuole buddhiste mahāyāna giapponesi che fanno riferimento alla figura e agli insegnamenti del monaco buddhista Nichiren (日蓮, 1222-1282), vissuto in Giappone nel XIII secolo. Queste scuole sorgono direttamente dalla sua figura storica di monaco riformatore, ordinato secondo la piattaforma monastica della scuola Tendai. Il loro lignaggio monastico è fatto risalire direttamente al Buddha Śākyamuni e al bodhisattva Bhaiṣajyarāja ("Re della Medicina", giapp. 藥王 Yakuō) e ripercorre il lignaggio della scuola cinese Tiāntái arrivando al fondatore della scuola giapponese Tendai, Saichō, e infine a Nichiren ritenuto a sua volta la manifestazione del bodhisattva Viśiṣṭacāritra (giapp. 上行意 Jōgyō). Le dottrine di queste scuole hanno in comune la venerazione e lo studio del Sutra del Loto (sanscrito Saddharmapundarīkasūtra, giapp. 妙法蓮華經 Myōhō renge kyō o Hokkekyō), considerato il più importante e completo insegnamento buddhista, lo studio dei relativi commentari da parte dei maestri cinesi di scuola Tiāntái, Zhìyǐ (智顗, 538-597), Guàndǐng (灌頂, 561-632) e Zhànrán (湛然, 711-782) nonché dello stesso Saichō. Inoltre venerano la pergamena del gohonzon, lo stesso Nichiren e il Buddha eterno rappresentato da Śākyamuni (con l'eccezione della Nichiren Shōshū che considera Nichiren un buddha e non un bodhisattva). La pratica principale è la recitazione del mantra Namu myōhō renge kyō (detto odaimoku o daimoku) davanti allo stesso gohonzon. Seppure siano state oggetto di dure persecuzioni religiose, la vitalità delle scuole del Buddhismo Nichiren è comunque dimostrata dal fatto che esse sono sempre riuscite a rinascere e a diffondersi, e rappresentano oggi il ramo di insegnamento buddhista relativamente più diffuso in Giappone, con oltre 35 milioni di seguaci (pressappoco il 28 % della popolazione nipponica) e circa 7.000 tra templi e monasteri, assieme al buddhismo di Nara, alla Jodo-shu e al buddhismo Zen (spesso intrecciati fra essi e con lo shintoismo in un particolare amalgama sincretico detto shinbutsu-shūgō). Nel 34 % dei giapponesi che ha dichiarato nel 2008 di essere esplicitamente e solamente buddhista, la scuola di Nichiren rappresenta quindi la maggioranza assoluta.. Secondo altre stime è di poco superato dalla scuola amidista. Assieme allo Zen è anche una delle forme di buddhismo più diffuse nel mondo fuori dall'Asia, specialmente tramite la scuola laica Soka Gakkai che ha circa 12 milioni di membri (8 milioni in Giappone e 4 milioni nel resto del mondo, 70.000 in Italia).
Il buddhismo (in sanscrito: buddha-śasana), o più comunemente buddismo, è una delle religioni più antiche e più diffuse al mondo. Originato dagli insegnamenti dell'asceta itinerante indiano Siddhārtha Gautama (VI, V sec. a.C.), comunemente si compendia nelle dottrine fondate sulle quattro nobili verità (sanscrito: Catvāri-ārya-satyāni). Con il termine buddhismo si indica quindi quell'insieme di tradizioni, sistemi di pensiero, pratiche e tecniche spirituali, individuali e devozionali, nate dalle differenti interpretazioni di queste dottrine, che si sono evolute in modo anche molto eterogeneo e diversificato. Sorto nel VI-V secolo a.C. come disciplina spirituale assunse nei secoli successivi i caratteri di dottrina filosofica e, secondo alcuni autori, di religione "ateistica", intendendo con quest'ultimo termine non la negazione dell'esistenza degli dei (deva), quanto piuttosto il fatto che la devozione ad essi, fatto comunque considerato positivo, non condurrebbe alla liberazione ultima. Altri considerano i libri sacri buddhisti (Canone pāli, Canone cinese e Canone tibetano) testi che non divinizzano Siddhārtha Gautama Buddha sakyamuni, ma Adi-Buddha o Buddha eterno, concetti buddhisti equivalenti a Dio; tuttavia non è una concezione affine a quella della divinità in senso occidentale, quanto, nel buddhismo Mahāyāna, il principio della buddhità, raffigurato a volte nelle figure dei Buddha come Vairocana o Amitabha, manifestatosi storicamente come Gautama. Il Mahāyāna venera anche i bodhisattva, esseri vicini all'illuminazione. A partire dall'India il buddhismo si diffuse nei secoli successivi soprattutto nel Sud-est asiatico e in Estremo Oriente, giungendo, a partire dal XIX secolo, anche in Occidente.
La valutazione di quali siano le religioni maggiori, ovvero le principali religioni del mondo, può essere fatta con una pluralità di metodi; in molti casi, le affermazioni sull'importanza relativa di una religione riflettono un particolare punto di vista (molti aderenti ad una religione considerano la propria fede più influente o diffusa di quanto non sia in realtà). Due metodi sono utilizzati in questa voce: numero di aderenti e definizione usata dagli studiosi delle religioni. Per le relazioni tra di esse si vedano le voci pluralismo religioso e dialogo interreligioso. Anche se non sono religioni, nelle statistiche però compaiono anche gli atei e gli agnostici (considerati non religiosi, circa il 16% dell'umanità al 2005).
La religione più diffusa in Italia è il cristianesimo, presente fin dai tempi apostolici. Secondo rilevamenti statistici del 2019, il 66,7% degli italiani (pari a circa 40 milioni di persone) si dichiarava cattolico; il 10,1% (circa 6 milioni) credente senza religione precisa; e il 15,3% (circa 9 milioni) ateo o agnostico. Secondo rilevamenti statistici del 2017, il 74,4% degli italiani (pari a circa 45 milioni di persone) si dichiarava cattolico; seguivano i non religiosi e i credenti senza religione, complessivamente rappresentanti il 22,6% (pari a circa 13 milioni di persone). I seguaci di altre religioni rappresentavano tra il 3% (2017) e il 5% (2019) degli italiani. Sono presenti diverse altre confessioni cristiane: al 2020, i fedeli ortodossi sono più di 1,8 milioni, per lo più di recente immigrazione da paesi quali Moldavia e Romania; i protestanti sono circa 600.000, i testimoni di Geova 400.000, e 100.000 i cristiani di altre sette (inclusi circa 28.000 mormoni). Di antichissima origine è la comunità ebraica italiana, che oggi conta circa 41.000 membri. La diffusione di altre religioni non appartenenti al cristianesimo è stata in gran parte agevolata dai fenomeni migratori degli ultimi decenni: si stima che in Italia risiedano al 2020 circa 2.2 milioni di musulmani, 332.000 buddisti, 210.000 induisti, 20.000 sikh, 4000 bahá'í e 97.000 seguaci di altre religioni orientali.Riguardo alle statistiche sulle religioni presenti in Italia esiste una certa aliquota di incertezza nel calcolo, dovuto al fatto che i numeri dei credenti vengono spesso elaborati sulla base dell'ufficialità dell'adesione alle varie religioni attraverso riti quali per esempio il battesimo. Questo metodo non tiene conto però di chi abbandona in seguito quella particolare professione di fede o di chi professa apertamente l'ateismo. Secondo stime dell'Eurispes, se si fa riferimento a chi effettivamente frequenta costantemente i riti e le assemblee religiose, i cattolici praticanti erano indicativamente circa il 36% degli italiani nel 2006, 33,1% nel 2014, 25,4% nel 2016.
La religione è quell'insieme di credenze, vissuti, riti che coinvolgono l'essere umano, o una comunità, nell'esperienza di ciò che viene considerato sacro, in modo speciale con la divinità, oppure è quell'insieme di contenuti, riti, rappresentazioni che, nell'insieme, entrano a far parte di un determinato culto religioso. Va tenuto presente che «il concetto di religione non è definibile astrattamente, cioè è al di fuori di una posizione culturale storicamente determinata e di un riferimento a determinate formazioni storiche». Lo studio delle "religioni" è oggetto della "Scienza delle religioni" mentre lo sviluppo storico delle religioni è oggetto della "Storia delle religioni".
La storia delle religioni è la disciplina che indaga il tema delle religioni secondo il procedimento storico ovvero avvalendosi delle documentazioni storiche, archeologiche, filologiche, ma anche di ambito etnologico, antropologico, ermeneutico ed esegetico. Tale documentazione viene usata dallo storico delle religioni nella consapevolezza che sta operando su contesti culturali e sociali assolutamente specifici o diacronici.
La storia del colonialismo in Africa è stato un processo storico di occupazione territoriale del continente africano, in particolare della parte subsahariana, da parte di altre nazioni, la maggior parte europee, a partire dall'XI secolo circa, fino a raggiungere il proprio apice nella seconda metà del XIX secolo. Quest'ultima occupazione tuttavia, che prende il nome di colonialismo moderno, o imperialismo, fu un periodo di vera e propria "spartizione dell'Africa", e i cui protagonisti furono soprattutto Francia e Gran Bretagna e, in misura minore, Germania, Portogallo, Italia, Belgio, Spagna e Paesi Bassi. Pur riferendosi spesso a una presunta "missione civilizzatrice", soprattutto nei confronti di popoli relativamente arretrati dell'Africa subsahariana, le potenze coloniali si dedicarono soprattutto allo sfruttamento delle risorse naturali del continente. Soltanto in alcuni casi, la presenza europea in Africa portò a un effettivo sviluppo delle regioni, per esempio attraverso la costruzione di infrastrutture. Nei luoghi in cui si stabilirono comunità di origine europea (ad es. il Sudafrica), la popolazione locale fu, in genere, discriminata politicamente ed economicamente.