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La storia del colonialismo in Africa è stato un processo storico di occupazione territoriale del continente africano, in particolare della parte subsahariana, da parte di altre nazioni, la maggior parte europee, a partire dall'XI secolo circa, fino a raggiungere il proprio apice nella seconda metà del XIX secolo. Quest'ultima occupazione tuttavia, che prende il nome di colonialismo moderno, o imperialismo, fu un periodo di vera e propria "spartizione dell'Africa", e i cui protagonisti furono soprattutto Francia e Gran Bretagna e, in misura minore, Germania, Portogallo, Italia, Belgio, Spagna e Paesi Bassi. Pur riferendosi spesso a una presunta "missione civilizzatrice", soprattutto nei confronti di popoli relativamente arretrati dell'Africa subsahariana, le potenze coloniali si dedicarono soprattutto allo sfruttamento delle risorse naturali del continente. Soltanto in alcuni casi, la presenza europea in Africa portò a un effettivo sviluppo delle regioni, per esempio attraverso la costruzione di infrastrutture. Nei luoghi in cui si stabilirono comunità di origine europea (ad es. il Sudafrica), la popolazione locale fu, in genere, discriminata politicamente ed economicamente.
L'Impero portoghese ((PT) Império Português) fu, insieme all'Impero spagnolo, il primo impero coloniale mondiale della storia. Fu anche il più longevo degli imperi coloniali d'oltremare, durando quasi seicento anni, dall'occupazione di Ceuta nel 1415 alla restituzione di Macao alla Cina nel 1999. Fu inoltre uno degli imperi più vasti della storia. L'impero si sviluppava in numerosi territori, che oggi fanno parte di ben 53 stati diversi. Dopo il secondo conflitto mondiale, iniziò un processo di decolonizzazione. Il Portogallo però ririfiutandosi di concedere l'indipendenza alle proprie colonie, diede il via ad un'aspra guerra di repressione, al termine della quale venne riconosciuta l'indipendenza di gran parte dei possedimenti d'oltremare, tra cui la Guinea-Bissau, l'Angola e il Mozambico, nonché gli arcipelaghi di Capo Verde e São Tomé e Príncipe. Confinando con la sola Castiglia, il Portogallo non aveva altra scelta che espandersi attraverso i mari. Questo scatenò una corsa all'avanzamento tecnologico nella marineria che aprì le porte alla cosiddetta "Età delle scoperte".
La guerra civile angolana è stato uno dei più grandi conflitti combattuti nello Stato africano dell'Angola, iniziata nel 1975 è continuata, con alcune interruzioni, fino al 2002. La guerra scoppiò subito dopo la decolonizzazione, anch'essa ottenuta dopo un conflitto combattuto con il Portogallo, la Guerra di indipendenza angolana (1961 - 1974). La guerra civile fu essenzialmente una lotta per il potere tra due fazioni liberali, il Movimento Popolare di Liberazione dell'Angola (MPLA) e l'Unione Nazionale per l'Indipendenza Totale dell'Angola (UNITA). Allo stesso tempo fu una delle tante "guerre per procura" che caratterizzarono la guerra fredda: difatti una delle caratteristiche principali del conflitto fu il coinvolgimento, diretto ed indiretto, di altri paesi come URSS, Cuba, Sudafrica e Stati Uniti. Il MPLA e l'UNITA, nonostante la comune vocazione anti-coloniale, avevano ruoli diversi nella società angolana e leadership incompatibili. Entrambe le forze avevano tendenze socialiste ma per ottenere sostegno internazionale si posero, rispettivamente, con ideologia marxista-leninista e anticomunista. Un terzo movimento, il Fronte Nazionale di Liberazione dell'Angola (FNLA) combatté durante la guerra di indipendenza insieme all'UNITA contro il MPLA ma non ebbe un ruolo di rilievo durante il conflitto. D'altra parte il gruppo separatista denominato Fronte per la Liberazione dell'Enclave del Cabinda (FLEC) lottò per ottenere l'indipendenza della provincia angolana del Cabinda. I 26 anni di guerra civile possono essere suddivisi in tre periodi nei quali il livello degli scontri era maggiore: dal 1975 al 1991, dal 1992 al 1994 e dal 1998 fino al 2002; tre periodi interrotti da fragili momenti di pace. Quando nel 2002 ebbe termine la guerra, con la vittoria del MPLA, più di 500.000 persone erano state uccise, più di 1.000.000 quelli costretti ad abbandonare le proprie abitazioni. Le infrastrutture del paese erano devastate ed enormi danni colpirono il sistema della pubblica amministrazione, l'economia e le istituzioni religiose. La guerra civile angolana è stata una combinazione tra violente dinamiche interne al paese e un forte intervento di potenze straniere; il conflitto divenne uno scontro tra USA e URSS insieme ai rispettivi alleati, costoro fornirono una forte assistenza militare alle parti in guerra. Oltretutto, il conflitto in Angola si legò anche alla Seconda guerra del Congo ed alla Guerra di indipendenza della Namibia.
L'arte africana è l'arte prodotta nel continente africano, dalla nascita dell'uomo all'età contemporanea. Benché molto variegata, l'arte dell'Africa è spesso accomunata da un forte senso religioso, legato allo spiritualismo delle differenti fedi locali. I colori maggiormente impiegati sono il rosso, simbolo della fecondità e della vita, il bianco ed il nero, rappresentando la vita eterna e l'oscurità. Agli inizi del XX secolo molti artisti europei d'avanguardia cominciarono a riunire maschere e statue africane: generalmente tralasciarono i tratti simbolici espressivi il mito religioso e l'ideologia ed interpretarono soltanto il loro aspetto esteriore, l'estetica dei piani e dei volumi. Generalmente la rappresentazione del mito non è consistita in un'immagine fantasiosa della divinità, ma piuttosto in figure reali, che comprendono quelle ancestrali, oppure nelle maschere, usate nei riti protettivi dalle difficoltà della vita e nelle funzioni civili. Gli esponenti del movimento fauvista come André Derain, Henri Matisse e Maurice de Vlaminck furono i primi ammiratori dell'arte africana. Da allora l'influenza di questa arte determinerà in maniera definitiva qualsiasi tentativo di rinnovamento plastico. Le "Arti Negre", termine col il quale venivano identificate in generale le arti tribali provenienti dal continente africano e da quello oceanico, avviarono nella prima metà del XX secolo, una serie di polemiche tra artisti e storici dell'arte europea, favorendo presto un inevitabile processo di rivoluzione nelle arti plastiche. La ricerca di nuove soluzioni prospettiche ispirata da correnti come il Cubismo, l'Espressionismo tedesco, il Futurismo italiano e il Fauvismo francese trovò nell'Arte Africana un insegnamento di vitale importanza. In particolare il Cubismo, desideroso di emanciparsi dagli schemi classici di rappresentazione, e nell'essenziale preoccupazione di organizzare i volumi per esprimere un nuovo senso di 'tridimensionalità' nell'opera, trova nella plastica africana quel concetto di equilibrio, che lontano da una logica estetica , si accorda ad un intimo ordine logico, in una armoniosa unità delle parti. Le mostre universali sul colonialismo di Bruxelles del 1897, quella di Parigi del 1907(e successivamente nel 1917 e 1919), avevano influenzato i più importanti artisti europei, invogliandoli a collezionare oggetti africani come fonte di ispirazione per la realizzazione di nuove opere. Primo fra tutti, Pablo Picasso, il quale visitando le numerose mostre, aveva subìto inevitabilmente il fascino magnetico delle 'maschere-feticcio' provenienti dal continente nero, ma prima ancora Henri Matisse, tra i Fauve il primo ad avere riconosciuto nell'arte nera una forza ed un'essenza formale di estremità assoluta. Presto anche in Italia nasce l'esigenza di superare le Avanguardie storiche, per ritornare alla tradizione, semplificando gli schemi attraverso una sintesi primitiva che prendeva spunto proprio dall'arte nera.