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Storia degli ebrei in Libia

La storia degli ebrei in Libia (in arabo: يهود ليبيا‎; in ebraico: טְרִיפּו֗לִיטֵאִים‎?), una tra le comunità ebraiche dei paesi del Maghreb, risale al III secolo a.C., ai tempi della colonizzazione greca della Cirenaica. La conquista musulmana del Nordafrica portò la Cirenaica e la Tripolitania nell'area della civiltà arabo-islamica, lasciando un segno indelebile nell'identità delle comunità ebraiche locali, il cui status fu governato dallo statuto di dhimmi. Nel 1551, la costa libica fu conquistata dall'impero ottomano e la dinastia Karamanli, in gran parte autonoma, governò il paese. Il rabbino Shimon Ibn Lavi, un discendente di ebrei espulsi dalla Spagna, fece rivivere spiritualmente la comunità e stabilì molti dei costumi ancora seguiti oggi. Lo stato degli ebrei migliorò nel 1835, quando il potere centrale ottomano riprese il controllo diretto della regione e gradualmente rimosse le misure discriminatorie che colpivano gli ebrei. La conquista italiana della Libia nel 1911 ebbe una grande influenza sulla comunità, sia dal punto di vista culturale che economico, nonostante la sua brevità. La lingua italiana divenne una lingua di comunicazione tra gli ebrei e le attività commerciali prosperarono. Nel mese di gennaio 1912, Gaston Cherau, corrispondente di guerra che copriva il conflitto italo-ottomano, catturò in uno scatto fotografico artigiani ebrei della medina. La situazione si deteriorò, tuttavia, alla fine degli anni '30 con l'orientamento antisemita del fascismo in Italia e la sua alleanza con il Terzo Reich. Dopo la seconda guerra mondiale, il risveglio del nazionalismo arabo e gli sconvolgimenti del conflitto arabo-israeliano furono tra le cause che portarono alla decadenza di una presenza ebraica che si protraeva da diversi millenni. Un pogrom uccise oltre un centinaio di persone a Tripoli nel 1945, mentre il paese era sotto amministrazione britannica. Più di 32.000 ebrei emigrarono tra 1949 e 1951, in seguito alla fondazione dello Stato di Israele. Nel 1967, la guerra dei sei giorni rappresentò l'ultima campana per il resto della comunità ebraica, la quale fu evacuata urgentemente in Italia. Quando il colonnello Gheddafi prese il potere nel 1969, vi erano meno di 600 ebrei rimasti in Libia. Il nuovo regime si impegnò non solo ad espellerli, ma anche a cancellare tutte le tracce della presenza ebraica, distruggendone i cimiteri e convertendo le sinagoghe in moschee. La diaspora ebraico-libica è attualmente sparsa tra Israele e Italia, dove sta cercando di preservare la propria identità comunitaria.

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