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Pubblicazione: Firenze : La Nuova Italia, [1958]
Tipo di risorsa: testo, Livello bibliografico: monografia, Lingua: ita, Paese: IT
Piero Calamandrei (Firenze, 21 aprile 1889 – Firenze, 27 settembre 1956) è stato un politico, avvocato e accademico italiano, nonché uno dei fondatori del Partito d'Azione.
Franco Calamandrei (Firenze, 21 settembre 1917 – Roma, 26 settembre 1982) è stato un partigiano, giornalista e politico italiano.
Piero Calamandrei (Firenze, 21 aprile 1889 – Firenze, 27 settembre 1956) è stato un politico, avvocato e accademico italiano, nonché uno dei fondatori del Partito d'Azione.
Mostro di Firenze è la denominazione utilizzata dai media italiani per riferirsi all'autore o agli autori di una serie di otto duplici omicidi avvenuti fra il 1968 e il 1985 nella provincia di Firenze. L'inchiesta avviata dalla procura di Firenze ha portato alla condanna in via definitiva di due uomini identificati come autori materiali di quattro duplici omicidi, i cosiddetti "compagni di merende" Mario Vanni e Giancarlo Lotti (reo confesso e chiamante in correità dei presunti complici), mentre il terzo, Pietro Pacciani, condannato in primo grado a più ergastoli per sette degli otto duplici omicidi e successivamente assolto in appello, è morto prima di essere sottoposto a un nuovo processo di appello, da celebrarsi a seguito dell'annullamento nel 1996 della sentenza di assoluzione da parte della Cassazione. Le procure di Firenze e Perugia sono state impegnate in numerose indagini volte a individuare i responsabili esecutori materiali per quattro duplici omicidi e poi i possibili mandanti. Le indagini si sono focalizzate anche su un possibile movente di natura esoterica, che avrebbe spinto una o più persone a commissionare i delitti. La vicenda ebbe molto risalto mediatico in quanto fu il primo caso di omicidi seriali in Italia riconosciuto come tale e uno dei più sanguinosi del Paese, oltre che dilatato nel tempo, che creò una vera e propria psicosi da mostro, di anno in anno, e mise le basi anche per riflessioni dal punto di vista sociale: suscitando estrema paura per la tipologia di vittime (giovani fidanzati in atteggiamenti intimi), aprì l'opinione pubblica italiana al dibattito sull'opportunità di concedere con maggiore disinvoltura la possibilità per i figli di trovare l'intimità a casa, evitando così i luoghi isolati e pericolosi.
Franco Cipriani (Bari, 8 novembre 1939 – Bari, 27 aprile 2010) è stato un giurista e accademico italiano, per circa quarant'anni docente di diritto processuale civile presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Bari Aldo Moro. Studioso del diritto processuale civile italiano, Cipriani è stato autore di numerose pubblicazioni che analizzano l'evoluzione degli istituti processualcivilistici anche in relazione alle concrete vicende biografiche dei più insigni giuristi che vi contribuirono, tra cui Vittorio Scialoja, Giuseppe Chiovenda, Lodovico Mortara e Piero Calamandrei. In particolare, Cipriani ha condotto approfondite ricerche sul rapporto tra Calamandrei e il regime fascista, che vide il giurista fiorentino collaborare alla realizzazione del codice di procedura civile del 1940 sotto la direzione del ministro della Giustizia Dino Grandi. I lavori di Cipriani sul tema – «saggi e articoli che si sono accumulati nell'arco di circa vent'anni e hanno, sulla base di una ricca documentazione archivistica, attraversato tanti aspetti della questione, sia di ordine storico-biografico che di ordine più strettamente dottrinale» – sono giudicati «un punto di confronto imprescindibile». La tesi di Cipriani – esposta in una serie di scritti poi raccolti nel volume Piero Calamandrei e la procedura civile (2007) – afferma che il codice di procedura civile del 1940, tuttora in vigore, possiede una natura sostanzialmente autoritaria, risentendo inevitabilmente del contesto storico-politico in cui fu concepito e dunque del suo essere un prodotto del regime fascista (secondo Cipriani è il più intriso di autoritarismo fascista dei quattro codici realizzati all'epoca). Esso infatti attribuisce al giudice penetranti poteri quali ad esempio la possibilità di arresto immediato del testimone mendace e la facoltà di disporre ispezioni corporali, mentre assegna al pubblico ministero il potere di introdurre prove non richieste dalle parti, oltre a stabilire limiti e preclusioni sulle domande proponibili dai privati e sulla loro rinnovabilità in appello. Secondo Cipriani, Calamandrei, perfettamente conscio del disegno portato avanti dal regime ma privo dei mezzi per intervenire efficacemente, in un primo momento agì per cercare di attenuare l'influenza dell'ideologia autoritaria sul codice, mentre in seguito alla caduta del fascismo esercitò un'efficace azione di difesa del suo codice dalle proposte di abrogazione. A tale scopo, Calamandrei sostenne che il codice era ispirato ai principi di oralità e immediatezza insegnati da Giuseppe Chiovenda, presentando quest'ultimo, non senza qualche forzatura, come uno strenuo avversario del regime fascista. Cipriani contesta decisamente la tesi della natura «chiovendiana» del codice, ritenendo che Calamandrei si servì del nome e del prestigio di Chiovenda per far accettare ai processualisti e agli avvocati un codice tutt'altro che «liberale e democratico» (come lo definì lo stesso Calamandrei deponendo come testimone durante il processo penale contro Dino Grandi del 1947). La concezione pubblicistica del processo che ispira il codice è ritenuta da Cipriani la causa dell'attuale crisi del processo civile italiano.
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