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Autore principale: Troiano, Rosalba
Le tradizioni del Cilento sono il complesso di usi e costumi antichi della terra cilentana. Rientra in questa definizione un patrimonio folkloristico ricco di modi di dire, motti, proverbi, credenze popolari, canti e religiosità.
Il presepe genovese è, fra i molti delle varie città italiane, quello che - assieme al presepe napoletano ed a quello bolognese - gode di maggior prestigio vantando antiche e consolidate tradizioni, tanto da aver dato vita, nel Settecento, ad una vera e propria scuola. A tale scuola è attribuito notevole valore, oltre che per l'antico radicamento sul territorio di numerose botteghe artigiane, nelle quali venivano realizzate le prime figurine per la sacra rappresentazione, soprattutto per la minuzia e la pregevolezza dei materiali usati (dal legno alla ceramica, ma, anche, alla carta adoperata per produrre raffinate sagome disegnate) con cui - soprattutto nel passato - venivano rifinite nei minimi particolari le statuine (vestimenti, particolari dei volti, ecc.) destinate a prendere vita sotto una rigorosa volta celeste. Della rappresentazione della Natività di Gesù Cristo nel capoluogo ligure - spesso definita con il nome alternativo di presepio - si ha notizia a partire dal XVII secolo quando già era attiva a Santa Maria di Castello una Compagnia del Santo Presepio ed alcune figure in legno destinate alla chiesa di San Giorgio venivano commissionate all'intagliatore Matteo Castellino. Dalle origini, per consolidare una tradizione che a Genova sarà ancora molto sentita nei secoli seguenti, occorrerà attendere però circa ancora un centinaio di anni: dal secolo dello splendore, il Settecento, la riproduzione della grotta di Betlemme con tutti i suoi protagonisti - attori di uno degli eventi più importanti della cristianità - non avviene più soltanto nelle chiese ma anche nelle case di patrizi e borghesi, dando vita, così, al moltiplicarsi delle botteghe artigiane specializzate nell'intaglio del legno.
Il folclore romagnolo può essere definito come l'insieme delle pratiche tradizionali condivise dagli abitanti della Romagna, che sono entrate stabilmente a far parte della sua cultura materiale, orale e simbolica: Cultura materiale: dimore rurali, artigianato, vita agricola e marinara; Cultura orale: canti delle stagioni, orazioni, insieme ai gesti e alle danze che li accompagnano. Cultura simbolica: personaggi mitologici, santi protettori.Il più importante trattato di indagine (e forse anche il primo per completezza in Italia) sul folclore romagnolo lo si deve al forlivese Michele Placucci, con l'opera intitolata Usi e pregiudizj de' contadini della Romagna. Operetta serio-faceta (1818). Placucci scriveva che i contadini romagnoli usavano mangiare fave "nell'anniversario dei morti" (cioè il 2 novembre), perché comunemente si riteneva che questa pianta avesse il potere di rafforzare la memoria, così che nessuno dimenticasse i propri defunti. Altra tradizione riportata dal Placucci è quella di confezionare il ripieno dei cappelletti privo di carne. Ma il trattato del Placucci non è il più antico: nel 1778 il sacerdote riminese Giovanni Antonio Battarra pubblicò a Roma un'opera denominata Pratica agraria, in cui indagava sugli usi, le credenze e le tradizioni dei contadini romagnoli. Parliamo quindi di una società del passato, in cui la maggior parte della popolazione non era alfabetizzata e svolgeva un'attività agricola di sussistenza. Oggi, in Romagna, il folclore viene mantenuto vivo da benemerite associazioni culturali: alcune raccolgono e catalogano le cante romagnole, altre fanno rivivere la magia della spanocchiata e della sfujareja; altre ancora organizzano vere e proprie sagre che durano dai due ai sette giorni. Tali manifestazioni non sono da confondere con le "Feste medievali" e simili, che sono invece una moda del nostro tempo.
Un aspetto molto importante della cultura d'Abruzzo è dato proprio dal folclore e dalle varie tradizioni di origine popolare riguardo feste patronali o rievocazioni di fatti storici, assai differenti, sia dal punto di vista evocativo, sia da quello prettamente etno-antropologico. Tra queste ricorrenze, al livello religioso le più famose sono la Perdonanza Celestiniana all'Aquila, la festa dei serpari di Cocullo, mentre importanti rievocazioni sono la Madonna che Scappa a Sulmona e la Processione del Venerdì santo di Chieti.
La pagina illustra le maggiori feste e tradizioni popolari sacre celebrate in Abruzzo, nel calendario liturgico di tutto l'anno, partendo da fine dicembre, dal periodo del Natale, fino alle ricorrenze dell'8 dicembre, all'Immacolata Concezione, e alle celebrazioni di San Nicola di Bari. Diversi sono stati i folkloristi e i demologi abruzzesi e non che si sono occupati dai catalogare, raccogliere e commentare le tradizioni dell'Abruzzo, partendo da Antonio De Nino, Gennaro Finamore, Vincenzo Balzano, Giovanni Pansa, poi Alfonso Maria Di Nola, Giuseppe Profeta, Francesco Verlengia, Emiliano Giancristofaro e infine Maria Concetta Nicolai.
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