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Nell'ambito della magia e dell'alchimia il termine gnomo venne introdotto da Paracelso dopo il 1493, nel suo Liber de nymphis, sylphis, pygmaeis et salamandris (ma stampato per la prima volta in italiano nel XVIII secolo), per indicare uno spirito ctonio, mentre in seguito il termine è stato adottato nel folklore europeo e utilizzato nella letteratura fantasy per designare spiritelli legati alla terra. Paracelso fu il primo a menzionare gli gnomi, facendone derivare il nome dalla radice greca gnosis («conoscenza»). Paracelso considerava gli gnomi spiriti della terra e del sottosuolo, e sosteneva che potessero spostarsi all'interno del terreno con la stessa facilità con cui gli uomini camminano sopra di esso. Inoltre, sempre secondo Paracelso, i raggi del sole hanno il potere di trasformare gli gnomi in pietra. Tutti questi elementi sono anche tipici dei nani della mitologia nordica; queste due figure sono in effetti spesso sovrapposte e difficilmente distinguibili anche nel folklore e nella letteratura fantasy. Talune fonti confondono anche gli gnomi con altre creature fantastiche (soprattutto dei boschi), per esempio elfi e goblin. Nel folklore europeo, gli gnomi (detti piccolo popolo o erroneamente anche folletti) sono creature fatate simili a uomini minuscoli. Sono tradizionalmente rappresentati come baffuti e barbuti, e a volte dotati di caratteristici cappelli a cono, spesso di colore rosso. Abitano nei boschi, e sono (come fate, nani ed elfi) strettamente legati alla natura in cui abitano. Gli gnomi appaiono frequentemente nelle fiabe della tradizione folcloristica germanica (e, per esempio, nei racconti dei fratelli Grimm); sono generalmente rappresentati come vecchietti minuscoli e burberi, che vivono sottoterra. Uno dei testi moderni più celebri sugli gnomi è il libro Gnomi (Leven en werken van de Kabouter) pubblicato nel 1976 dall'illustratore naturalistico olandese Rien Poortvliet e di Wil Huygen, che ne descrisse minuziosamente ("pseudoscientificamente") usi e costumi, corredando la sua opera di illustrazioni che sono entrate nell'immaginario collettivo come rappresentazioni tipiche del "piccolo popolo". Secondo Poortvliet, gli gnomi costruiscono case sotto le radici degli alberi, si dedicano a curare gli animali della foresta, conoscono gli usi medicinali delle erbe. Da Gnomi e dai successivi libri di Poortvliet fu tratto il cartone animato David Gnomo amico mio.
Il folclore romagnolo può essere definito come l'insieme delle pratiche tradizionali condivise dagli abitanti della Romagna, che sono entrate stabilmente a far parte della sua cultura materiale, orale e simbolica: Cultura materiale: dimore rurali, artigianato, vita agricola e marinara; Cultura orale: canti delle stagioni, orazioni, insieme ai gesti e alle danze che li accompagnano. Cultura simbolica: personaggi mitologici, santi protettori.Il più importante trattato di indagine (e forse anche il primo per completezza in Italia) sul folclore romagnolo lo si deve al forlivese Michele Placucci, con l'opera intitolata Usi e pregiudizj de' contadini della Romagna. Operetta serio-faceta (1818). Placucci scriveva che i contadini romagnoli usavano mangiare fave "nell'anniversario dei morti" (cioè il 2 novembre), perché comunemente si riteneva che questa pianta avesse il potere di rafforzare la memoria, così che nessuno dimenticasse i propri defunti. Altra tradizione riportata dal Placucci è quella di confezionare il ripieno dei cappelletti privo di carne. Ma il trattato del Placucci non è il più antico: nel 1778 il sacerdote riminese Giovanni Antonio Battarra pubblicò a Roma un'opera denominata Pratica agraria, in cui indagava sugli usi, le credenze e le tradizioni dei contadini romagnoli. Parliamo quindi di una società del passato, in cui la maggior parte della popolazione non era alfabetizzata e svolgeva un'attività agricola di sussistenza. Oggi, in Romagna, il folclore viene mantenuto vivo da benemerite associazioni culturali: alcune raccolgono e catalogano le cante romagnole, altre fanno rivivere la magia della spanocchiata e della sfujareja; altre ancora organizzano vere e proprie sagre che durano dai due ai sette giorni. Tali manifestazioni non sono da confondere con le "Feste medievali" e simili, che sono invece una moda del nostro tempo.
Un aspetto molto importante della cultura d'Abruzzo è dato proprio dal folclore e dalle varie tradizioni di origine popolare riguardo feste patronali o rievocazioni di fatti storici, assai differenti, sia dal punto di vista evocativo, sia da quello prettamente etno-antropologico. Tra queste ricorrenze, al livello religioso le più famose sono la Perdonanza Celestiniana all'Aquila, la festa dei serpari di Cocullo, mentre importanti rievocazioni sono la Madonna che Scappa a Sulmona e la Processione del Venerdì santo di Chieti.
La pagina illustra le maggiori feste e tradizioni popolari sacre celebrate in Abruzzo, nel calendario liturgico di tutto l'anno, partendo da fine dicembre, dal periodo del Natale, fino alle ricorrenze dell'8 dicembre, all'Immacolata Concezione, e alle celebrazioni di San Nicola di Bari. Diversi sono stati i folkloristi e i demologi abruzzesi e non che si sono occupati dai catalogare, raccogliere e commentare le tradizioni dell'Abruzzo, partendo da Antonio De Nino, Gennaro Finamore, Vincenzo Balzano, Giovanni Pansa, poi Alfonso Maria Di Nola, Giuseppe Profeta, Francesco Verlengia, Emiliano Giancristofaro e infine Maria Concetta Nicolai.
L'ebraismo (in ebraico: יהדות?) indica uno stile di vita sia una tradizione culturale diffusa all'interno del popolo ebraico, nelle varie comunità presenti in tutti i paesi del mondo. Come religione l'odierno ebraismo, detto anche ebraismo rabbinico, è l'evoluzione maggioritaria della religione biblica, frutto secondo la tradizione, dell'alleanza (Berit) tra Dio, indicato nella Torah con il nome di Yahweh, e il popolo ebraico. I suoi testi fondamentali sono la Torah, il Tanakh e la tradizione orale supplementare, rappresentata dai testi della Mishnah e del Talmud.
Cicisbeo, o cavalier servente, era il gentiluomo che nel Settecento accompagnava una nobildonna sposata in occasioni mondane, feste, ricevimenti, teatri e l'assisteva nelle incombenze personali, quali toeletta, corrispondenza, compere, visite, giochi. Passava con lei gran parte della giornata e doveva elogiarla, sedersi accanto a lei nei pranzi e nelle cene, nelle passeggiate o nei giri in carrozza. La signora veniva definita cicisbea del cavaliere. L'etimologia della parola sembra essere connessa in modo parzialmente onomatopeico al bearsi nella conversazione, al cicaleccio, al cinguettio, al chiacchiericcio e al birignao che costituivano la principale delizia dei cicisbei.
Canzoni è il ventitreesimo album del cantautore Lucio Dalla, pubblicato il 5 settembre 1996 dalla Pressing e distribuito da BMG Ricordi. Trainato dal singolo Canzone, scritto in collaborazione con Samuele Bersani e uscito un mese prima, l'album ha raggiunto il 1º posto nella classifiche di vendita in Italia con oltre 1.300.000 copie vendute.
La battaglia delle Termopili (in greco antico: ἡ ἐν Θερμοπύλαις μάχη, hē en Thermopýlais máchē) fu combattuta da un'alleanza di poleis greche, guidata dal re di Sparta Leonida I contro l'Impero persiano governato da Serse I. Si svolse in tre giorni, durante la seconda invasione persiana della Grecia, nell'agosto o nel settembre del 480 a.C. presso lo stretto passaggio delle Termopili (o, più correttamente, Termopile, "Le porte calde") contemporaneamente alla battaglia navale di Capo Artemisio. L'invasione persiana era una risposta allo smacco subito durante la fallita prima invasione della Grecia che si era conclusa con la grande vittoria ateniese nella battaglia di Maratona nel 490 a.C. Serse aveva raccolto un enorme esercito e una potente flotta per conquistare tutta la Grecia. Il generale ateniese Temistocle propose che i Greci si disponessero a bloccare l'avanzata dell'esercito persiano al passo delle Termopili, ostacolando nello stesso tempo la flotta persiana presso lo stretto di Capo Artemisio. Un esercito greco di circa 7 000 uomini marciò verso nord per cercare di fermare l'avanzata dei Persiani nell'estate del 480 a.C. L'esercito di Serse arrivò al passo a fine agosto o inizio settembre ma fu trattenuto per una settimana dai Greci che, sebbene in grande inferiorità numerica, bloccarono l'unica via attraverso la quale l'imponente esercito persiano avrebbe potuto raggiungere la Grecia centrale; tuttavia un abitante del luogo di nome Efialte rivelò agli aggressori l'esistenza di una via secondaria che conduceva dietro le linee greche. Leonida, consapevole di essere stato aggirato, fece allontanare il grosso dell'esercito greco e rimase a guardia del passaggio con 299 Spartani, 700 Tespiesi, 400 Tebani e, forse, qualche centinaio di altri, che vennero per la maggior parte uccisi. Dopo questo combattimento la flotta greca, mentre combatteva presso capo Artemisio sotto il comando del politico ateniese Temistocle, ricevette la notizia della sconfitta alle Termopili. Dal momento che il piano dei Greci prevedeva che sia le Termopili che capo Artemisio venissero tenuti sotto controllo, e avendo la flotta subito consistenti perdite, venne deciso il ritiro a Salamina. I Persiani invasero la Beozia e poi entrarono in Atene, che era stata precedentemente evacuata. In seguito la flotta greca attaccò e sconfisse gli invasori nella battaglia di Salamina verso la fine del 480 a.C.: dopo lo scontro il re Serse, temendo di restare intrappolato in Europa con la flotta fortemente indebolita, decise di ritornare in patria con parte dell'esercito (perdendo molti uomini per la fame e le malattie) e lasciò il generale Mardonio al comando dei restanti reparti per completare la conquista della Grecia. L'anno successivo, tuttavia, un esercito ellenico sconfisse definitivamente i Persiani nella battaglia di Platea. Per studiosi e scrittori antichi e moderni la battaglia delle Termopili è un esempio dei sorprendenti risultati militari che si possono ottenere, contro forze molto superiori numericamente, con un esercito molto motivato che si batte in difesa del suolo della patria. L'azione dei difensori delle Termopili è inoltre ritenuta una classica dimostrazione della superiore efficacia in combattimento di un'unità militare bene addestrata ed equipaggiata.