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Autore principale: Regazzoni, Simone
Pubblicazione: Milano : Ponte alle Grazie, 2009
Tipo di risorsa: testo, Livello bibliografico: monografia, Lingua: ita, Paese: IT
Elfriede Jelinek (IPA: [ɛlˈfʀiːdə ˈjɛlinɛk]) (Mürzzuschlag, 20 ottobre 1946) è una scrittrice, drammaturga e traduttrice austriaca. Nel 2004 le è stato conferito il Premio Nobel per la letteratura. Elfriede Jelinek scrive contro il malcostume politico e della vita pubblica ma anche privata della società austriaca. Giudica l'Austria arretrata ed impregnata del passato nazista, e nutre nei confronti del proprio Paese un odio aspro e reciproco. Per esprimerlo utilizza uno stile sarcastico, provocatorio, che talvolta ella stessa, al pari dei propri avversari, considera blasfemo e di cattivo gusto. Infatti nella sua produzione letteraria la violenza, il sarcasmo e l'incantesimo costituiscono il mezzo per analizzare e distruggere gli stereotipi sociali e gli archetipi del sessismo. In particolare l'autrice porta avanti la denuncia implacabile della violenza sessuale contro le donne.I suoi tratti gentili e delicati sembrano porre in contrasto la persona, schiva, disponibile e concreta, con la figura pubblica che il regista Werner Waas definisce una “clava culturale”. Quello di Elfriede è infatti “un ruolo d'artista attivo, scomodo”, che lavora per “ridisegnare le mappe dell'esistenza”.Il teatro di Jelinek, trattando temi quali la politica e la condizione della donna, “è una miccia accesa”; “nella sua scrittura non ci sono regole” e la “messa in scena viene negata nelle sue regole fondamentali: azione, personaggio, luogo, esistsono solo tra le righe in una visionaria libertà”. La parola di Elfriede Jelinek è “allo stesso tempo puramente teatrale” perché “è in primo luogo, materia vocale, con un corpo sonoro vivo e presente fatto di fonetica, ritmo, una musica inscindibile dal senso”. Fra gli scrittori-drammaturghi degli anni duemila Jelinek rappresenta “la voce femminile più innovativa e provocatoria”.
Gli spettacoli nell'antica Roma erano numerosi, aperti a tutti i cittadini ed in genere gratuiti; alcuni di essi si distinguevano per la grandezza degli allestimenti e per la crudeltà. I Romani frequentavano di preferenza i combattimenti dei gladiatori, quelli con bestie feroci (venationes), le riproduzioni di battaglie navali (naumachia), le corse di carri, le gare di atletica, gli spettacoli teatrali dei mimi e le pantomime. Quarant'anni dopo l'invettiva di Giovenale (n. tra il 55 e il 60–m. dopo il 127) che rimpiangeva la sobrietà e la severità repubblicana di un popolo che ormai aspirava solo al panem et circenses, al pane e agli spettacoli, Frontone (100-166), quasi con le stesse parole, descriveva sconsolato la triste realtà: La classe dirigente romana considerava infatti suo compito primario quello di distribuire alimenti una volta al mese al popolo e di distrarlo e regolare il suo tempo libero con gli spettacoli gratuiti offerti nelle festività religiose o in ricorrenze laiche.
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