Accedi all'area personale per aggiungere e visualizzare i tuoi libri preferiti
Fa parte di: Grammatica del cinese moderno
Fa parte di: Grammatica del cinese moderno
Fa parte di: Grammatica del cinese moderno
Fa parte di: Grammatica del cinese moderno
La grammatica generativa è una teoria del linguaggio, parzialmente ispirata dalla teoria della grammatica formale e inaugurata da Noam Chomsky negli anni cinquanta. La teoria, legata ad un approccio tratto dalla teoria della dimostrazione per lo studio della sintassi, ha esplorato anche la fonologia e la morfologia. La principale novità della grammatica generativa consiste nel concentrarsi sull'aspetto mentale del linguaggio, sui principi che regolano il funzionamento della facoltà. In questo senso, la grammatica generativa studia ciò che le lingue naturali hanno in comune, piuttosto che ciò che le distingue, e la descrizione delle lingue risulta meno rilevante.
La grammatica universale è una teoria linguistica che postula che i principi della grammatica siano condivisi da tutte le lingue, e siano innati per tutti gli esseri umani. Questa ipotesi, alla base della grammatica generativa di Noam Chomsky, nasce per descrivere l'acquisizione del linguaggio e per rispondere al cosiddetto argomento della povertà dello stimolo, ovvero: come può il bambino imparare così bene la sua lingua madre e in così poco tempo? La teoria della grammatica universale non vuole descrivere specificamente una lingua o l'altra, né postulare che "tutte le lingue hanno la stessa grammatica", ma si propone di individuare una serie di regole innate che spiegherebbero come i bambini acquisiscono le lingue, e come imparano a costruire frasi grammaticalmente valide. Riprendendo quello che era lo scopo della tipologia linguistica, gli studiosi di Grammatica generativa ricercano i cosiddetti universali linguistici che dovrebbero formare la Grammatica Universale. L'idea era già presente nelle osservazioni di Bacone e dei grammatici speculativi che postulavano regole universali alla base di tutte le grammatiche, e la stessa idea era alla base di molte teorie filosofiche del XVII secolo.
In linguistica per grammatica trasformazionale, o grammatica generativo-trasformazionale (TGG), si intende un tipo di grammatica, perlopiù di una lingua naturale, che sia stata sviluppata seguendo la tradizione chomskiana della descrizione linguistica. Il trasformazionalismo è la teoria fondata dal linguista statunitense Noam Chomsky negli anni cinquanta che dà origine alle grammatiche specificamente trasformazionali.
Con lingua ebraica (in ebraico israeliano: עברית, ivrit) si intende sia l'ebraico biblico (o classico) sia l'ebraico moderno, lingua ufficiale dello Stato di Israele e dell’oblast autonoma ebraica in Russia, che conta circa 7 milioni di locutori (oltre che un cospicuo numero di ebrei della Diaspora); l'ebraico moderno, cresciuto in un contesto sociale e tecnologico molto diverso da quello antico, contiene molti elementi lessicali presi in prestito da altre lingue. L'ebraico è una lingua semitica e quindi parte della stessa famiglia che comprende anche le lingue araba, aramaica, amarica, tigrina, maltese e altre. Per numero di locutori, l'ebraico è la terza lingua di tale ceppo dopo l'arabo e l'amarico.
La lingua cinese (漢語T, 汉语S, hànyǔP), nella sua accezione più generica (e non per indicare il cinese moderno standard o un particolare dialetto come lo shanghainese o una famiglia di dialetti come il cantonese, l'Hakka e i Minnan), è una vasta e variegata famiglia linguistica composta da centinaia di varietà linguistiche locali distinte e spesso non mutuamente intelligibili (come ad esempio il dialetto di Pechino e il dialetto cantonese). Queste varianti fanno parte della famiglia delle lingue sino-tibetane, evolutesi a partire dalla fine del III secolo a.C. nell'area geografica grossomodo corrispondente alla Cina continentale durante l'affermazione, espansione e successiva decadenza delle Dinastie Qin e Han (alcuni linguisti, tra cui Bernhard Karlgren, hanno ipotizzato che la diversificazione dei vari dialetti sia avvenuta dopo l'VIII secolo d.C.). Sono dunque note anche come "lingue sinitiche", nate da una probabile divisione del Proto-Sino Tibetano/Trans-Himalayano rispettivamente in ceppo sinitico (lingue delle culture neolitiche e Old Chinese/OC, attestato nel periodo tra la Dinastia Shang e Han e di cui esistono alcune ricostruzioni, e.g. Baxter-Sagart, 2014, ed evoluto in Primo Cinese Medio/EMC, da cui discendono gran parte dei dialetti eccetto per le lingue Bai e il Min, che discendono dall'Old Chinese) e in Tibeto-Birmano (Proto-Tibeto-Birmano, di cui esiste una ricostruzione proposta da James Matisoff. Da esso discende il birmano antico e l'Old Tibetan, da cui derivano le lingue tibetiche). Le lingue sinitiche sono poi suddivisibili in vari gruppi di dialetti (e.g. il Min a cui appartiene l'hokkien, i dialetti Wu a cui appartiene lo shanghainese, lo Yue a cui appartiene il cantonese standard/varietà prestigiosa di Hong Kong...). Già durante l'Old Chinese si registra una suddivisione in varietà locali. Lo standard ISO 639-3 identifica il cinese come un macrolinguaggio. Ciascuna varietà locale del cinese ha comunque delle caratteristiche in comune con le altre: è caratterizzata dal fatto di essere una lingua tonale, isolante (ha perso la morfologia dopo l'Old Chinese), in cui vige l'ordine dei costituenti SVO, la cui evoluzione è stata influenzata e determinata in maniera importantissima dall'esistenza di un sistema di scrittura standard basato sui caratteri cinesi. Il cinese ha la grande pecularità di non avere un alfabeto, ma di essere scritto con un corpus di decine di migliaia di caratteri detti "sinogrammi" o "caratteri cinesi" (i più diffusi comunque sono 3000/3500) nati in origine per essere incisi sulle ossa oracolari messe a crepare sul fuoco per effettuare delle divinazioni (1250 a.C., Dinastia Shang). Sono basati su un sistema di unità minime, i radicali, di cui esistono due versioni/liste/sistemi fondamentali: i 214 radicali Kangxi (康熙部首; 1615, 1716), che sono lo standard pure nelle lingue sino-xeniche, e i loro antenati, i 540 radicali Shuowen (说文解字部首, 100 d.C.). Con queste unità minime, la scrittura, ricerca su dizionari cartacei e digitali e memorizzazione è molto più agevole, come anche la ricerca filologica e paleografica a partire dalle ossa oracolari e dai bronzi del periodo Shang e Zhou, laddove già attestati. La pronuncia viene oggi indicata con un sistema di romanizzazione, il pinyin, che però non è un alfabeto. I caratteri cinesi sono stati pure esportati in Corea, Giappone e Vietnam (hanja, kanji e chu' Nom usati raramente in lingua coreana, tuttora usati in lingua giapponese e in disuso in lingua vietnamita). Queste tre lingue, le lingue sino-xeniche (lingue della sinosfera), ritengono molte caratteristiche della pronuncia in Primo Cinese Medio, come gli stop senza rilascio udibile di suono *-p, *-t e *-k e la codina nasale *-m. Il cinese, stando a Ethnologue 2020, è parlato da 1,3 miliardi di persone e la varietà mandarina/settentrionale ha 1,12 miliardi di parlanti (gran parte lo parla come lingua nativa); quest'ultima è la prima famiglia linguistica con maggior numero di parlanti nativi al mondo. Come parlanti totali, è al secondo posto, appena sotto l'inglese.
Record aggiornato il: 2025-11-27T01:52:14.271Z