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Autore principale: Gori, Vittorio
Pubblicazione: Siena : Tipografia all'insegna dell'ancora, 1889
Tipo di risorsa: testo, Livello bibliografico: monografia, Lingua: ita, Paese: IT
Dante Alighieri, o Alighiero, battezzato Durante di Alighiero degli Alighieri e anche noto con il solo nome Dante, della famiglia Alighieri (Firenze, tra il 21 maggio e il 21 giugno 1265 – Ravenna, notte tra il 13 e il 14 settembre 1321), è stato un poeta, scrittore e politico italiano. Il nome "Dante", secondo la testimonianza di Jacopo Alighieri, è un ipocoristico di Durante; nei documenti era seguito dal patronimico Alagherii o dal gentilizio de Alagheriis, mentre la variante "Alighieri" si affermò solo con l'avvento di Boccaccio. È considerato il padre della lingua italiana; la sua fama è dovuta alla paternità della Comedìa, divenuta celebre come Divina Commedia e universalmente considerata la più grande opera scritta in lingua italiana e uno dei maggiori capolavori della letteratura mondiale. Espressione della cultura medievale, filtrata attraverso la lirica del Dolce stil novo, la Commedia è anche veicolo allegorico della salvezza umana, che si concreta nel toccare i drammi dei dannati, le pene purgatoriali e le glorie celesti, permettendo a Dante di offrire al lettore uno spaccato di morale ed etica. Importante linguista, teorico politico e filosofo, Dante spaziò all'interno dello scibile umano, segnando profondamente la letteratura italiana dei secoli successivi e la stessa cultura occidentale, tanto da essere soprannominato il "Sommo Poeta" o, per antonomasia, il "Poeta". Dante, le cui spoglie si trovano presso la tomba a Ravenna costruita nel 1780 da Camillo Morigia, è diventato uno dei simboli dell'Italia nel mondo, grazie al nome del principale ente della diffusione della lingua italiana, la Società Dante Alighieri, mentre gli studi critici e filologici sono mantenuti vivi dalla Società dantesca.
Il canto primo dell'Inferno di Dante Alighieri funge da proemio all'intero poema, e si svolge prima nella selva e poi sul pendio che conduce al colle; siamo nella notte tra il 7 e l'8 aprile 1300 (Venerdì Santo), o secondo altri commentatori tra il 24 e il 25 marzo 1300 (anniversario dell'Incarnazione di Gesù Cristo). Qui Dante incontra Virgilio, che lo accompagnerà nella visita dell'Inferno, prima tappa della sua purificazione dal peccato.
Nel mezzo del cammin di nostra vita è il primo verso della Divina Commedia di Dante Alighieri; costituisce l'incipit del primo canto dell'Inferno e, per estensione, dell'intero poema. Il riferimento più citato come ispirazione a queste parole è il Convivio (IV 23, 6-10): «lo punto sommo di questo arco [della vita terrena] ne li più io credo [sia] tra il trentesimo e il quarantesimo anno, e io credo che ne li perfettamente naturati esso ne sia nel trentacinquesimo anno». Una concezione, questa, che si fonda biblicamente su un Salmo XC, 10: «I giorni dei nostri anni arrivano a settant'anni e per i più forti a ottanta», e su Isaia XXXVIII, 10 per ciò che concerne l'esito di questa maturazione: «Ego dixi in dimidio dierum meorum: vadam ad portas inferi».Va notato che, unico tra i più antichi commentatori del Poema dantesco, Guido da Pisa interpreta il "mezzo del cammin di nostra vita" come riferimento al sonno (dormiamo circa metà della vita), con ciò sottolineando l'aspetto onirico, quasi di positiva trance, dell'ispirazione dantesca. Dante si immagina dunque per una selva oscura (v. 2), in un momento di confusione interiore (la diritta via era smarrita, v. 3), proprio nella fase mediana della sua vita, in cui ha inizio la descrizione della sua visione mistica della Commedia; il nostra è indice dell'esemplarità di tale esperienza. È stato sottolineato come anche la definizione della vita come cammino sia di origine biblica: camminiamo nella via della fede dice San Paolo, «... dum sumus in corpore peregrinamur a Domino / per fidem enim ambulamus et non per speciem» (2 Cor. 5, 6-7). Dante riprende questa idea del cammino di questa vita nel Convivio, quando indica il pericolo per l'anima di perdere la strada del bene (IV XII, 15-18), come è infatti accaduto a lui all'interno di questa visione poetica (secondo Guido da Pisa un "sonno mistico"), immaginata nel venerdì santo del 1300. La selva è la strada «erronea di questa vita» di cui parla nel Convivio (IV XXIV, 12). Il poeta nel mezzo del cammin di nostra vita all'improvviso prende consapevolezza della condizione negativa in cui è entrato quasi inconsapevolmente, e che è anche la condizione di corruzione dell'intera umanità. Il motivo personale e quello universale continuano costantemente a sovrapporsi in tutto l'itinerarium dell'opera, e ne indicano la prospettiva cosmica, legata alle sorti degli uomini nel loro complesso.Come la maggior parte dei versi della Commedia, anche il terzo verso ha varie interpretazioni. Infatti, al di là dell'interpretazione letterale: «avevo smarrito il sentiero per il quale stavo andando e mi persi in una selva oscura», la "diritta via" va interpretata come "la via del bene". Infatti, Dante, nel periodo in cui scrisse l'opera, viveva un momento di crisi: la Divina Commedia è un cammino di purificazione di Dante e di tutta l'umanità. "Ché la diritta via era smarrita" è una frase per indicare il momento di sbandamento morale dell'autore. Inoltre, Tommaso Di Salvo ha precisato che la via era solo smarrita, e non perduta: infatti, alla fine del poema, il sommo poeta riacquista il bene e la grazia divina, in precedenza fatti "smarrire" dal peccato.
La Comedìa, o Commedia, conosciuta soprattutto come Divina Commedia, è un poema allegorico-didascalico di Dante Alighieri, scritto in terzine incatenate di endecasillabi (poi chiamate per antonomasia terzine dantesche) in lingua volgare fiorentina. L'opera non esiste nella sua forma originale: essendo stata prodotta prima dell'invenzione della stampa veniva scritta e ricopiata a mano; tra tutti i manoscritti giunti a noi oggigiorno non esistono due versioni uguali, come per tutti i testi antichi, i casi di diversificazione sono tantissimi e variano da semplici modifiche ortografiche, (diritta via o diricta via) fino all'uso di versi simili ma diversi, o parole completamente differenti che danno anche significati diversi, ad esempio il ruscello che esce dalle sorgenti di acqua bollente ..esce ruscello che parton poi tra lor le peccatrici che fu analizzato e commentato con il presupposto che ci fossero delle donne peccatrici, forse prostitute (?), lasciando molti dubbi, ma con un significato completamente stravolto rispetto al più ragionevole pettinatrici o pettatrici o pectatrici cioè le operaie che lavoravano la cardatura e la pettinatura dell lino nelle acque termali. Il titolo originale, con cui lo stesso autore designa il suo poema, fu Comedia (probabilmente pronunciata con accento tonico sulla i); e così è intitolata anche l'editio princeps del 1472. L'aggettivo «Divina» le fu attribuito dal Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante, scritto fra il 1357 e il 1362 e stampato nel 1477. Ma è nella prestigiosa edizione giolitina, a cura di Ludovico Dolce e stampata da Gabriele Giolito de' Ferrari nel 1555, che la Commedia di Dante viene per la prima volta intitolata come da allora fu sempre conosciuta, ovvero "La Divina Comedia". Composta secondo i critici tra il 1304/07 e il 1321, anni del suo esilio in Lunigiana e Romagna, la Commedia è il capolavoro di Dante ed è universalmente ritenuta una delle più grandi opere della letteratura di tutti i tempi, nonché una delle più importanti testimonianze della civiltà medievale, tanto da essere conosciuta e studiata in tutto il mondo. Il poema è diviso in tre parti, chiamate «cantiche» (Inferno, Purgatorio e Paradiso), ognuna delle quali composta da 33 canti (tranne l'Inferno, che contiene un ulteriore canto proemiale) formati da un numero variabile di versi, fra 115 e 160, strutturati in terzine. Il poeta narra di un viaggio immaginario, ovvero di un Itinerarium mentis in Deum, attraverso i tre regni ultraterreni che lo condurrà fino alla visione della Trinità. La sua rappresentazione immaginaria e allegorica dell'oltretomba cristiano è un culmine della visione medievale del mondo sviluppatasi nella Chiesa cattolica. È stato notato come tutte e tre le cantiche terminino con la parola «stelle» (Inferno: "E quindi uscimmo a riveder le stelle"; Purgatorio: "Puro e disposto a salir a le stelle"; Paradiso: "L'amor che move il sole e l'altre stelle"). L'opera ebbe subito uno straordinario successo e contribuì in maniera determinante al processo di consolidamento del dialetto toscano come lingua italiana. Il testo, del quale non si possiede l'autografo, fu infatti copiato sin dai primissimi anni della sua diffusione e fino all'avvento della stampa in un ampio numero di manoscritti. Parallelamente si diffuse la pratica della chiosa e del commento al testo (si calcolano circa sessanta commenti e tra le 100.000 e le 200.000 pagine), dando vita a una tradizione di letture e di studi danteschi mai interrotta: si parla così di "secolare commento". La vastità delle testimonianze manoscritte della Commedia ha comportato un'oggettiva difficoltà nella definizione del testo: nella seconda metà del Novecento l'edizione di riferimento è stata quella realizzata da Giorgio Petrocchi per la Società Dantesca Italiana. Più di recente due diverse edizioni critiche sono state curate da Antonio Lanza e Federico Sanguineti.La Commedia, pur proseguendo molti dei modi caratteristici della letteratura e dello stile medievali (ispirazione religiosa, scopo didascalico e morale, linguaggio e stile basati sulla percezione visiva e immediata delle cose), è profondamente innovativa poiché, come è stato rilevato in particolare negli studi di Erich Auerbach, tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà, espressa anche con l'uso di neologismi creati da Dante come «insusarsi», «inluiarsi» e «inleiarsi».È una delle letture obbligate del sistema scolastico italiano.
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