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Autore principale: Pascoli, Giovanni
Pubblicazione: Livorno : Raff. Giusti, 1891
Tipo di risorsa: testo, Livello bibliografico: monografia, Lingua: ita, Paese: it
Myricae è una raccolta di poesie di Giovanni Pascoli, pubblicata in successive edizioni tra il 1891 e il 1903 (anno dell'edizione definitiva). L'opera rappresenta l'ultimo esempio di poesia lirica "classica" prima della stagione delle Avanguardie poetiche del Novecento. Il titolo della raccolta pascoliana deriva da una parte del secondo verso della IV Bucolica di Virgilio «(Non omnes) arbusta iuvant humilesque Myricae», cioè "(Non a tutti) piacciono gli arbusti e le umili tamerici". Questa frase è utilizzata dal Pascoli anche nell'epigrafe dei Canti di Castelvecchio e, in forma più completa (non omnes arbusta...) o insieme al verso precedente variamente "tagliato", come introduzione ad altre sue raccolte poetiche. Come accaduto per altri grandi raccolte, a cominciare dal Canzoniere di Petrarca, essa si estende per quasi tutto l'arco della produzione poetica dell'autore, così che la storia compositiva di Myricae si può dire coincida con lo sviluppo stesso della coscienza poetica di Pascoli. Per queste ragioni, l'identificazione di una unità strutturale della raccolta non può essere che il risultato di una interpretazione che prenda in considerazione, accanto alla lettura dei testi, gli eventi e le esperienze psicologiche che segnarono l'esistenza del poeta.
X agosto è una poesia composta da Giovanni Pascoli in memoria del padre Ruggero, ucciso in circostanze misteriose il 10 agosto 1867, giorno di San Lorenzo. La poesia fu pubblicata per la prima volta ne Il Marzocco del 9 agosto 1896; successivamente venne inserita nella quarta edizione (1897) di Myricae, nella sezione Elegie.
Novembre è un componimento poetico di Giovanni Pascoli, tratto dalla raccolta poetica Myricae. Originariamente era intitolato San Martino come l'omonima poesia del maestro Carducci da cui trae l'ascendenza.
Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile 1912) è stato un poeta, accademico e critico letterario italiano, figura emblematica della letteratura italiana di fine Ottocento, considerato insieme a Gabriele D'Annunzio, il maggior poeta decadente italiano, nonostante la sua formazione principalmente positivistica. Dal Fanciullino, articolo programmatico pubblicato per la prima volta nel 1897, emerge una concezione intima e interiore del sentimento poetico, orientato alla valorizzazione del particolare e del quotidiano, e al recupero di una dimensione infantile e quasi primitiva. D'altra parte, solo il poeta può esprimere la voce del "fanciullino" presente in ognuno: quest'idea consente a Pascoli di rivendicare per sé il ruolo, per certi versi ormai anacronistico, di "poeta vate", e di ribadire allo stesso tempo l'utilità morale (specialmente consolatoria) e civile della poesia. Egli, pur non partecipando attivamente ad alcun movimento letterario dell'epoca, né mostrando particolare propensione verso la poesia europea contemporanea (al contrario di D'Annunzio), manifesta nella propria produzione tendenze prevalentemente spiritualistiche e idealistiche, tipiche della cultura di fine secolo segnata dal progressivo esaurirsi del positivismo. Complessivamente la sua opera appare percorsa da una tensione costante tra la vecchia tradizione classicista ereditata dal maestro Giosuè Carducci, e le nuove tematiche decadenti. Risulta infatti difficile comprendere il vero significato delle sue opere più importanti, se si ignorano i dolorosi e tormentosi presupposti biografici e psicologici che egli stesso riorganizzò per tutta la vita, in modo ossessivo, come sistema semantico di base del proprio mondo poetico e artistico.
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