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Autore principale: Gruppo Esperantista Novarese
Pubblicazione: Novara : Istituto Della Santa, pre 1961
Tipo di risorsa: testo, Livello bibliografico: monografia, Lingua: ita, Paese:
La grammatica della lingua esperanto fu studiata da Ludwik Lejzer Zamenhof, l'oculista polacco poliglotta che sviluppò la lingua, basandosi sulle lingue etniche parlate quotidianamente, dalle quali ricavò il lessico e le regole di grammatica. Zamenhof era affascinato dalla povertà di flessione della lingua inglese, che influenzò in maniera particolare i verbi. Nel luglio 1887 egli pubblicò, inizialmente in russo, il suo Unua Libro ("Primo libro"), un'introduzione alla lingua a caratteri generali. L'idioma tratteggiato in tale volume è sostanzialmente lo stesso che viene parlato oggigiorno. La grammatica dell'esperanto è stata studiata per avere la massima espressività (pari cioè a quella di una lingua etnica), ma fatta in modo che si possa imparare anche da autodidatti; essa è infatti molto semplice e regolare, ma non cade nella banalità. Infatti l'esperanto si è diffuso dapprima tra gli intellettuali che lo imparavano da soli tramite le varie grammatiche. La prima grammatica di esperanto in italiano è datata 1890, tre anni dopo la pubblicazione dell'esperanto (un periodo piuttosto breve dati i tempi e l'assenza dei mezzi di comunicazione di massa moderni).
L'esperanto è una lingua artificiale, sviluppata tra il 1872 e il 1887 dall'oculista polacco di origini ebraiche Ludwik Lejzer Zamenhof. È la più conosciuta e utilizzata tra le lingue ausiliarie internazionali (LAI). Presentata nel Primo Libro (Unua libro - Varsavia, 1887) come Lingvo Internacia ("lingua internazionale"), prese in seguito il nome esperanto ("colui che spera", "sperante") dallo pseudonimo di "Doktoro Esperanto", utilizzato dal suo inventore. Scopo della lingua è di far dialogare i diversi popoli cercando di creare tra di essi comprensione e pace con una seconda lingua semplice, ma espressiva, appartenente all'umanità e non a un popolo. Un effetto di ciò sarebbe quello di proteggere gli idiomi "minori", altrimenti condannati all'estinzione dalla forza delle lingue delle nazioni più forti. Per questo motivo l'esperanto è stato ed è spesso protagonista di dibattiti riguardanti la cosiddetta democrazia linguistica. Le regole della grammatica dell'esperanto sono state scelte da quelle di varie lingue studiate da Zamenhof, affinché fossero semplici da imparare e nel contempo potessero dare a questa lingua la stessa espressività di una lingua etnica; esse non prevedono eccezioni. Anche i vocaboli derivano da idiomi preesistenti, alcuni (specie quelli introdotti di recente) da lingue non indoeuropee come il giapponese, ma in gran parte da latino, lingue romanze (in particolare italiano e francese), lingue germaniche (tedesco e inglese) e lingue slave (russo e polacco). Vari studi hanno dimostrato che si tratta di una lingua semplice da imparare anche da autodidatti e in età adulta, per via delle forme regolari, mentre altri dimostrano come dei ragazzi che hanno studiato l'esperanto apprendano più facilmente un'altra lingua straniera. Lo studio di due anni di esperanto nelle scuole come propedeutico a una lingua straniera viene detto "metodo Paderborn" perché la sua efficacia è stata dimostrata nell'università tedesca di Paderborn. L'espressività dell'esperanto, simile a quella delle lingue naturali, è dimostrata dalla traduzione di opere di notevole spessore letterario. La cultura originale esperantista ha prodotto e produce in tutte le arti: dalla poesia e la prosa fino al teatro e alla musica. La logica con cui è stata creata minimizza l'ambiguità, per cui si presta a essere usata in informatica, nel ramo della linguistica computazionale, per il riconoscimento automatico del linguaggio. La tradizione dell'esperanto in Polonia e in Croazia è stata dichiarata patrimonio culturale immateriale. Ci sono proposte per usare l'esperanto come lingua franca per i lavori nel Parlamento europeo, principalmente per motivi economici o per evitare che si vada verso una o più lingue nazionali. Tuttavia finora l'Unione europea giustifica l'attuale politica multilinguista che prevede l'uso di 24 lingue ufficiali, per motivi di trasparenza, non senza critiche da parte di chi sospetta che tale politica stia in realtà portando verso il solo inglese o, al più, al trilinguismo.
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