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Autore principale: Mannucci, Lando
Edizione: 2. ed
Pubblicazione: Roma : Associazione nazionale veterani e reduci garibaldini, stampa 1994
Tipo di risorsa: testo, Livello bibliografico: monografia, Lingua: ita, Paese: IT
Josip Broz, in cirillico: Јосип Броз, meglio noto come Tito (Тито), pronuncia: /jǒsib brôːs tîto/ o anche come maresciallo Tito (Kumrovec, 7 maggio 1892 – Lubiana, 4 maggio 1980), è stato un rivoluzionario, politico, militare e dittatore jugoslavo. Croato-sloveno di nascita, Tito aderì presto all'ideale comunista, frequentando molto l'Unione Sovietica. Durante la Seconda guerra mondiale condusse la guerra partigiana contro l'occupazione tedesca, spesso in concerto con gli Alleati, che lo sostennero anche a guerra finita. Divenne Presidente della Jugoslavia, trasformata in uno stato federale, instaurando un regime comunista sui generis, con forti difformità dal comunismo sovietico in campo economico e anche riguardo ai rapporti con le autorità religiose. Ruppe con l'Unione Sovietica e si ritirò dal Patto di Varsavia, ponendosi poi a capo di un movimento di stati cosiddetti "non allineati", cioè non appartenenti a nessuno dei due gruppi che si fronteggiavano durante la guerra fredda. Rimase a capo del governo jugoslavo fino alla morte. Dopo la sua morte le tensioni tra le diverse etnie del paese, tenute represse grazie al suo "pugno di ferro", riemersero violentemente ed esplosero nelle guerre degli anni novanta, che dissolsero la Jugoslavia in più nazioni.
I massacri delle foibe (in sloveno poboji v fojbah, in croato masakri fojbe, in serbo: mасакри фоjбе masakri fojbe?) sono stati degli eccidi ai danni di militari e civili italiani autoctoni della Venezia Giulia, del Quarnaro e della Dalmazia, avvenuti durante la seconda guerra mondiale e nell'immediato secondo dopoguerra, da parte dei partigiani jugoslavi e dell'OZNA. Il nome deriva dai grandi inghiottitoi carsici, che nella Venezia Giulia sono chiamati "foibe", dove furono gettati molti dei corpi delle vittime. Per estensione i termini "foibe" e il neologismo "infoibare" sono diventati sinonimi di uccisioni che in realtà furono in massima parte perpetrate in modo diverso: la maggioranza delle vittime morì nei campi di prigionia jugoslavi o durante la deportazione verso di essi. Secondo gli storici Pupo e Spazzali, l'utilizzo simbolico di questo termine «può divenire fonte di equivoci qualora si affronti il nodo della quantificazione delle vittime», in quanto la differenza tra il numero relativamente ridotto dei corpi materialmente gettati nelle foibe, e quello più alto degli uccisi nei campi di prigionia, dovrebbe portare a parlare di "deportati" e "uccisi" per indicare tutte le vittime della repressione. Si stima che le vittime in Venezia Giulia, nel Quarnaro e nella Dalmazia siano state, sempre secondo gli storici Pupo e Spazzali, tra le 3 000 e le 5 000, comprese le salme recuperate e quelle stimate nonché i morti nei campi di concentramento jugoslavi, mentre alcune fonti fanno salire questo numero fino a 11 000. In generale però cifre superiori alle 5 000 si raggiungono soltanto conteggiando anche i caduti che si ebbero da parte italiana nella lotta antipartigiana. Al massacro delle foibe seguì l'esodo giuliano dalmata, ovvero l'emigrazione più o meno forzata della maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana dalla Venezia Giulia, del Quarnaro e dalla Dalmazia, territori del Regno d'Italia prima occupati dall'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia del maresciallo Josip Broz Tito e successivamente annessi dalla Jugoslavia. Emigrazione dovuta a varie ragioni: dall'oppressione esercitata da un regime la cui natura totalitaria impediva anche la libera espressione dell'identità nazionale, al rigetto dei mutamenti nell'egemonia nazionale e sociale nell'area, nonché alla vicinanza dell'Italia, che costituì un fattore oggettivo di attrazione per popolazioni perseguitate ed impaurite nonostante il governo italiano si fosse a più riprese adoperato per fermare, o quantomeno contenere, l'esodo. Si stima che i giuliani, i quarnerini e i dalmati italiani che emigrarono dalle loro terre di origine ammontino a un numero compreso tra le 250 000 e le 350 000 persone tra il 1945 e il 1956.
Il Fronte jugoslavo è stato uno dei teatri di guerra della Seconda guerra mondiale in Europa; i combattimenti, confusi e sanguinosi, si prolungarono ininterrotti dall'aprile 1941 alla fine del conflitto nel maggio 1945. Nelle fonti jugoslave il conflitto in questo teatro balcanico venne anche denominato "guerra di liberazione popolare" (in serbo: Народноослободилачки рат?, traslitterato Narodnooslobodilački rat, in croato Narodnoslobodilačka borba, in macedone: Народноослободителна борба?, traslitterato: Narodnoosloboditelna borba, in sloveno: Narodnoosvobodilni boj). La guerra iniziò a seguito dell'invasione del territorio del Regno di Jugoslavia da parte delle forze dell'Asse. Il paese venne spartito fra Germania, Italia, Ungheria, Bulgaria, e alcuni stati fantoccio. Si trattò di una guerriglia di liberazione combattuta prevalentemente dai partigiani jugoslavi (partizani) repubblicani legati al Partito comunista contro le forze di occupazione dell'Asse, lo Stato Indipendente di Croazia, e il Governo collaborazionista in Serbia. Al contempo si trasformò anche in una guerra civile tra i partigiani comunisti e il movimento realista serbo dei cetnici (četnik): queste due componenti della resistenza jugoslava inizialmente cooperarono nella lotta contro le forze occupanti, ma dal 1942 i cetnici adottarono una politica di collaborazione con le truppe italiane, con la Wehrmacht e gli ustascia. L'Asse sferrò una serie di offensive per distruggere il movimento partigiano, ma ottenne solo successi parziali nel 1943 nelle due battaglie della Neretva e della Sutjeska. Nonostante le gravi difficoltà e le pesanti perdite, i partigiani guidati da Josip Broz Tito rimasero tuttavia una forza combattente efficiente e aggressiva che, pur priva fino alla fine del 1943 di aiuti esterni, seppe continuare ed estendere la sua azione. Rappresentati politicamente dal cosiddetto "Consiglio antifascista di liberazione popolare della Jugoslavia" (AVNOJ), dominato dai comunisti, alla fine del 1943 ottennero il riconoscimento degli Alleati, ponendo così le basi per la costruzione dello stato jugoslavo post-bellico. Grazie al supporto logistico, addestrativo ed aereo fornito finalmente dagli Alleati occidentali e dall'Unione Sovietica nell'ultimo periodo della guerra, gradualmente i partigiani conquistarono il controllo dell'intero paese, delle zone del confine nordorientale italiano e dell'Austria meridionale. In termini umani il costo del conflitto fu enorme: sebbene ancora oggetto di discussioni, il numero delle vittime comunemente accettato non è inferiore al milione. Le vittime civili inclusero anche la maggior parte della popolazione ebraica del paese, reclusa nei campi di concentramento o di sterminio gestiti dai regimi collaborazionisti dell'Asse (come ad esempio il campo di Jasenovac). Al contempo il regime croato degli ustaša condusse un sistematico genocidio nei confronti della popolazione serba e di quella rom, i cetnici condussero una pulizia etnica nei confronti della popolazione musulmana e croata, e le autorità di occupazione italiana nei confronti degli sloveni. Brutali e spietate furono le rappresaglie operate dai tedeschi nei confronti delle attività di resistenza, sfociate in alcuni episodi particolarmente sanguinari come i massacri di Kraljevo e Kragujevac, mentre anche l'esercito italiano mise in atto deportazioni, devastazioni e rappresaglie. Infine durante la fase finale del conflitto e nell'immediato dopoguerra le autorità jugoslave e le truppe partigiane si resero responsabili di violente rappresaglie e deportazioni nei confronti della minoranza tedesca (la maggioranza appartenente al gruppo degli svevi del Danubio), in seguito espulsa dal paese in blocco, marce forzate ed esecuzioni di migliaia di civili e collaborazionisti in fuga (massacro di Bleiburg), e atrocità commesse nei confronti della popolazione italiana in Istria (massacri delle foibe) e della popolazione ungherese in Serbia.
La storia dell'Italia nella seconda guerra mondiale, ricca di episodi controversi, fu caratterizzata soprattutto da numerose sconfitte e dal crollo nel settembre 1943 dell'apparato politico-militare dello Stato in conseguenza dell'improvvisazione con cui il paese venne coinvolto nella guerra, dell'imperizia delle gerarchie politiche e militari, e della debolezza della struttura economica e sociale. Le ambizioni imperiali del regime fascista, che mirava a far rivivere i fasti dell'"Impero Romano" nel Mediterraneo (Mare Nostrum), crollarono ben presto per l'impreparazione dimostrata dalle regie forze armate e per la cattiva pianificazione politica e militare del conflitto che portarono alle ripetute sconfitte in Grecia, in Africa, in Russia e nei Balcani. L'Italia divenne in breve tempo un alleato minore della Germania, dipendente militarmente dal sostegno tedesco, finché nel 1943 il dittatore Benito Mussolini fu deposto , arrestato per ordine del Re Vittorio Emanuele III e inviato sul Gran Sasso . Dopo l'armistizio di Cassibile lo Stato italiano crollò: la parte settentrionale del paese venne occupata dai tedeschi che vi crearono uno Stato collaborazionista con la Germania; mentre il sud venne governato dalle forze monarchiche e liberali, che organizzarono un Esercito Cobelligerante Italiano che combatté accanto agli eserciti alleati. Nell'Italia settentrionale e centrale le forze della Resistenza, formate inizialmente da qualche decine di migliaia di partigiani, poi, con l'andare sfavorevole della guerra per l'Asse, quasi alla fine di quest'ultima, da circa 350.000 partigiani, prevalentemente appartenenti alle Brigate Garibaldi e alle Brigate Giustizia e Libertà, operarono in autonomia un'efficace azione di guerriglia contro le truppe tedesche occupanti e le forze fasciste della Repubblica Sociale Italiana.
Per storia dell'Europa si intende convenzionalmente la storia dell'omonimo continente e dei popoli che l'hanno abitato e che lo abitano. In un'accezione più ristretta per storia dell'Europa si intende invece la storia dell'Unione europea, dalla creazione della Comunità economica europea con i trattati di Roma (1957) fino a oggi.
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