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Autore principale: Convegno di studi storici ecclesiastici su La figura e l'opera di Pio 9. [3. ; 1977 ; Spoleto ]
Pubblicazione: Firenze : Vallecchi, [1980]
Tipo di risorsa: testo, Livello bibliografico: monografia, Lingua: ita, Paese: IT
Papa Pio IX (in latino: Pius PP. IX, nato Giovanni Maria Battista Pietro Pellegrino Isidoro Mastai Ferretti; Senigallia, 13 maggio 1792 – Roma, 7 febbraio 1878) è stato il 255º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 1846 al 1878 e 163º e ultimo sovrano dello Stato Pontificio dal 1846 al 1870. Il suo pontificato, di 31 anni, 7 mesi e 23 giorni, rimane il più lungo della storia della Chiesa cattolica dopo quello di san Pietro. Fu terziario francescano ed è stato proclamato beato nel 2000.
Lo Stato Pontificio (Stato della Chiesa fu il suo nome ufficiale fino al 1815, detto anche Stato Ecclesiastico) fu l'entità statuale costituita dall'insieme dei territori su cui la Santa Sede esercitò il proprio potere temporale dal 751 o 756 al 1870, ovvero più di un millennio. Era governato da una teocrazia con a capo il Papa come guida religiosa, politica e militare. Durante la sua esistenza ebbe periodi in cui il suo prestigio e la sua influenza sullo scacchiere politico europeo furono rimarchevoli; la sua proiezione internazionale uscì dai limiti territoriali che le circostanze storiche gli avevano assegnato in relazione al Sacro Romano Impero. I vincoli di vassallaggio dettati dalla Santa Sede condizionarono talvolta importanti stati indipendenti come il Regno di Sicilia, il Regno di Napoli, il Regno d'Inghilterra, il Regno di Francia, il Regno di Spagna, il Regno del Portogallo, la Corona d'Aragona, il Regno d'Ungheria, l'Impero austriaco e altri stati. Terminò la sua esistenza nel 1870, dopo l'annessione al Regno d'Italia di tre legazioni, con gli eventi che seguirono la fine della Seconda guerra d'indipendenza italiana e la spedizione dei Mille (1859 - 1861) e con la presa di Roma e la successiva annessione della quarta legazione e del circondario di Roma (1870).
Pio II, nato Enea Silvio Bartolomeo Piccolomini (Corsignano, 18 ottobre 1405 – Ancona, 14 agosto 1464), è stato il 210º papa della Chiesa cattolica dal 1458 alla morte. Considerato uno dei pontefici più significativi del XV secolo per via delle sue doti diplomatiche, dell'alta dignità del magistero pontificio e per la sua energia espressa nella difesa della cristianità dalla minaccia turca rappresentata da Maometto II, Pio II fu anche uno dei più importanti umanisti della sua epoca per via della sua profonda conoscenza della cultura classica e della sua abilità nel saper cogliere gli aspetti fondamentali dei generi letterari del mondo latino e greco. Autore dei celebri Commentarii, ricalcati sul modello cesariano, in cui narra in terza persona la propria vita, Pio II fu il fondatore della città di Pienza e un indefesso sostenitore della supremazia papale contro ogni forma di conciliarismo, dando così una forte impronta autocratica all'istituzione pontificia e ricusando così totalmente il suo medesimo passato di fautore di una limitazione dei poteri del sommo pontefice. Per i suoi scritti giovanili filoconciliari, per più di tre secoli il suo nome è stato incluso nell'Indice dei libri proibiti.
Carlo Borromeo, universalmente noto come San Carlo, (Arona, 2 ottobre 1538 – Milano, 3 novembre 1584) è stato un cardinale e arcivescovo cattolico italiano, venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Canonizzato nel 1610 da papa Paolo V a soli 26 anni dalla morte, san Carlo è considerato tra i massimi riformatori della Chiesa cattolico-romana nel XVI secolo, assieme a sant'Ignazio di Loyola e san Filippo Neri, nonché anima e guida della Controriforma cattolica. Tra le maggiori riforme da lui proposte e accettate dal Concilio di Trento, vi fu l'istituzione dei seminari per la formazione e l'educazione dei presbiteri. Era nipote, per parte di madre, di papa Pio IV. "In un secolo in cui l'altezza media degli uomini non superava il metro e sessantacinque, Carlo Borromeo era alto più di un metro e ottanta"; così lo descrive Federico Rossi di Marignano: non solo era molto alto, ma era anche di corporatura robusta. San Carlo osservava la raccomandazione di Ambrogio e di Agostino di digiunare e destinare ai bisognosi il denaro risparmiato. Negli ultimi anni di vita, secondo l'uso ecclesiastico antico, consumava un solo pasto al giorno, dopo il vespro. Si dice però che, pur tralasciando cibi costosi e preferendo il semplice pane, l'assumesse «in assai quantità». Carlo Borromeo portò sempre la barba, anche se la vasta iconografia seicentesca lo raffigura spesso glabro; cominciò infatti a radersi solo nel 1576, al tempo della prima grande peste, e mantenne il volto rasato in segno di penitenza durante gli ultimi otto anni di vita. Nipote del papa (la madre Margherita de' Medici era sorella di Pio IV, al secolo Gian Angelo de' Medici), il Borromeo fu da lui nominato cardinale e segretario privato quando aveva poco più di vent'anni. In tale veste il giovane Carlo partecipò ai lavori del Concilio di Trento, divenendone protagonista proprio nel periodo conclusivo. Dopo la morte dello zio, nel 1566 Carlo Borromeo si trasferì da Roma a Milano, attuando nella diocesi ambrosiana i dettami tridentini e vivendo in ascetica povertà. Dedicò la sua azione pastorale alla cura delle anime e alla moralizzazione dei costumi, promuovendo oltre al culto «interiore» anche il culto «esteriore» – riti liturgici, preghiere collettive, processioni – ravvivando in tal modo la fede, l'identità e la coesione sociale soprattutto dei ceti più popolari. Riformò la diocesi, nella quale la disciplina ecclesiastica era «del tutto persa», perché da quasi un secolo gli arcivescovi titolari, risiedendo altrove, l'avevano abbandonata a se stessa limitandosi a goderne le rendite. Carlo affrontò «contrasti tanto grandi [...] et da persone tanto potenti che havriano impaurito ogni grand'animo». Nell'attuare i decreti tridentini il Borromeo si espose infatti alla reazione di coloro che vedevano lesi i propri privilegi: fu contrastato dai governatori spagnoli e dal Senato milanese, minacciato con i bastoni dai frati minori osservanti, aggredito con le spade dai canonici di Santa Maria della Scala, minacciato dalle monache di Sant'Agostino, vilipeso da quelle di Lecco e colpito con una archibugiata alla schiena da un sicario dell'ordine degli umiliati.
Federico Ruggero di Hohenstaufen (Jesi, 26 dicembre 1194 – Fiorentino di Puglia, 13 dicembre 1250), è stato re di Sicilia (come Federico I, dal 1198 al 1250), duca di Svevia (come Federico VII, dal 1212 al 1216), Re dei Romani (dal 1212) e poi Imperatore del Sacro Romano Impero (come Federico II, eletto nel 1211, incoronato dapprima ad Aquisgrana nel 1215 e, successivamente, a Roma dal papa nel 1220) e re di Gerusalemme (dal 1225 per matrimonio, autoincoronatosi nella stessa Gerusalemme nel 1229). Federico apparteneva alla nobile famiglia sveva degli Hohenstaufen. Discendeva per parte di madre dai normanni di Altavilla (Hauteville in francese), conquistatori di Sicilia e fondatori del Regno di Sicilia. Conosciuto con gli appellativi stupor mundi ("meraviglia o stupore del mondo") o puer Apuliae ("fanciullo di Puglia"), Federico II era dotato di una personalità poliedrica e affascinante che, fin dalla sua epoca, ha polarizzato l'attenzione degli storici e del popolo, producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, nel bene e nel male. Il suo mito finì per confondersi con quello del nonno paterno, Federico Barbarossa. Il carisma di Federico II è stato tale che all'indomani della sua morte, il figlio Manfredi, futuro re di Sicilia, in una lettera indirizzata al fratello Corrado IV citava tali parole: "Il sole del mondo si è addormentato, lui che brillava sui popoli, il sole dei giusti, l'asilo della pace". Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa moralizzatrice e di innovazione artistica e culturale, volta a unificare le terre e i popoli, ma fortemente contrastata dalla Chiesa, di cui il sovrano mise in discussione il potere temporale. Ebbe infatti ben due scomuniche dal papa Gregorio IX, che arrivò a vedere in lui l'anticristo. Federico fu un apprezzabile letterato, convinto protettore di artisti e studiosi: la sua corte fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, germanica, araba ed ebraica. Uomo straordinariamente colto ed energico, stabilì in Sicilia e nell'Italia meridionale una struttura politica molto somigliante a un moderno regno, governato centralmente e con un'amministrazione efficiente.Federico II parlava sei lingue (latino, siciliano, tedesco, francese, greco e arabo) e giocò un ruolo importante nel promuovere le lettere attraverso la poesia della Scuola siciliana. La sua corte reale siciliana a Palermo, dal 1220 circa sino alla sua morte, vide uno dei primi utilizzi letterari di una lingua romanza (dopo l'esperienza provenzale), il siciliano. La poesia che veniva prodotta dalla Scuola siciliana ha avuto una notevole influenza sulla letteratura e su quella che sarebbe diventata la moderna lingua italiana. La scuola e la sua poesia furono salutate con entusiasmo da Dante e dai suoi contemporanei, e anticiparono di almeno un secolo l'uso dell'idioma toscano come lingua d'élite letteraria d'Italia.
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