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Serie: Profilo dei dialetti italiani / a cura di Manlio Cortelazzo ; 9
Fa parte di: Profilo dei dialetti italiani / a cura di Manlio Cortelazzo ; [poi] a cura di Alberto Zamboni
Serie: Profilo dei dialetti italiani / a cura di Manlio Cortelazzo ; 9
Fa parte di: Profilo dei dialetti italiani
Serie: Profilo dei dialetti italiani / a cura di Alberto Zamboni ; 9
Con dialetto toscano si intende un insieme di vernacoli (ossia un continuum dialettale) di ceppo romanzo diffuso nell'area d'Italia corrispondente all'attuale regione Toscana, con l'esclusione delle parlate della Romagna toscana, di quelle della Lunigiana e di quelle dell’area carrarese.Caratteristica principale di tali idiomi è quella di essere sostanzialmente parlati; ciò garantisce una chiara distinzione dall'italiano, che da sempre (e soprattutto fino al 1860) è stata una lingua quasi esclusivamente scritta, letteraria, aristocratica, parlata dalle élite scolarizzate. Il toscano quindi è un sistema linguistico allo stesso tempo innovativo (grazie all'uso vivo), ma anche conservativo, arcaizzante, grazie al suo (ancora oggi forte) legame con le aree più rurali della regione. Tradizionalmente, il toscano non era considerato un dialetto italiano data la grande somiglianza con l'italiano colto di cui, peraltro, è la fonte (sia pure modificatasi nel tempo rispetto alla parlata odierna) perché ritenuto, erroneamente, una semplice variante o vernacolo dell'italiano. I primi contributi letterari significativi in toscano risalgono al XIII-XIV secolo con le opere di Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio, e successivamente nel XVI secolo con Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini, che conferirono ai parlari toscani la dignità di "lingua letteraria" della penisola. Al momento dell'unificazione dell'Italia fu scelto come lingua da adoperare ufficialmente, mettendo fine a una secolare discussione, a cui aveva partecipato anche Dante (nel De vulgari eloquentia), che vedeva due fazioni contrapposte, una che sosteneva la nascita di una lingua italiana sulla base di uno dei cosiddetti dialetti e un'altra che si proponeva di creare una nuova lingua che prendesse il meglio dai vari dialetti. Prese piede agli inizi del XIX secolo proprio la prima corrente, soprattutto grazie al prestigioso parere di Alessandro Manzoni (molto nota è la vicenda relativa alla scelta della lingua per la stesura de I promessi sposi e i panni sciacquati in Arno), ma non poche furono le critiche mossegli da chi sosteneva (in primo luogo il glottologo goriziano Graziadio Isaia Ascoli) che il toscano era un dialetto come gli altri e una vera lingua nazionale sarebbe potuta nascere solo dopo l'incontro tra le varie culture del paese.
La gorgia toscana è un fenomeno fonetico che caratterizza, in modo più o meno pronunciato, i dialetti toscani. Più precisamente, la gorgia riguarda le consonanti occlusive sorde (scempie) /k/ /t/ e /p/, e in misura minore le corrispondenti sonore /g/ /d/ e /b/, oltre che le affricate postalveolari /d͡ʒ/ e /t͡ʃ/ che passano a fricative in posizione postvocalica (e in assenza di raddoppiamento sintagmatico). Molti usano ancora il termine spirantizzazione. [k] → [h] → fonema zero (solo in certe zone) [t] → [θ] → fonema zero (solo in certi suffissi) [p] → [ɸ] [g] → [ɣ] [d] → [ð] [b] → [β] [d͡ʒ] → [ʒ] [t͡ʃ] → [ʃ]Un esempio: la parola identificare /identifiˈkare/ verrà pronunciata [iˌdentifiˈhaːre] e non [iˌdentifiˈkaːre]. La gorgia è bloccata dal raddoppiamento sintagmatico: /akˈkasa, parlerakˈkarlo; dakˈkapo/ (a casa, parlerà Carlo, da capo/daccapo). La sequenza [hh] è inesistente nei dialetti italiani. La consonante che subisce il cambiamento più evidente è /k/, il cui indebolimento è diventato il simbolo più importante dei dialetti parlati in Toscana. In alcune zone della Toscana occidentale arriva al dileguo totale [«zero»]). La /t/ e la /p/ subiscono un cambiamento meno diffuso nel territorio toscano settentrionale.
L'italiano centrale, conosciuto anche come italiano mediano è un continuum dialettale raggruppante una varietà di parlate romanze ben differenziate fra loro ma con un certo numero di caratteristiche fonetiche e sintattiche comuni, esteso nell'Italia centrale.
I dialetti del Lazio sono classificati entro tre gruppi fondamentali: dialetti italiani mediani, dialetti italiani meridionali e dialetti veneti. Ai dialetti italiani mediani appartengono il romanesco, il dialetto sabino, il dialetto ciociaro, dialetti dei Castelli Romani e i dialetti della Tuscia viterbese; ai dialetti italiani meridionali appartiene il dialetto laziale meridionale e, in alcune aree al confine con la Campania, il dialetto campano; ai dialetti veneti appartiene il dialetto venetopontino. Il Lazio, dunque, come le altre regioni centrali dell'Umbria e delle Marche, ha una situazione dialettale non unitaria; la linea Roma-Ancona, infatti, è uno dei confini di maggiore importanza nell'ambito dei dialetti italiani
Il dialetto carrarese, localmente carrarino ('l cararìn o 'l cararés, voce dotta) è una variante di tipo lunigianese della lingua emiliano-romagnola, del gruppo gallo-italico, parlato nella città di Carrara e in aree limitrofe.
I dialetti italiani meridionali (o meridionali intermedi, o ancora alto-meridionali, in epoca medievale noti con il nome collettivo di volgare pugliese) costituiscono, nella classificazione dei dialetti d'Italia elaborata da Giovan Battista Pellegrini, una sezione del più ampio raggruppamento dei dialetti centro-meridionali (nella fattispecie per "dialetti" si intendono gli "idiomi contrapposti a quello nazionale e/o ufficiale", e non invece le "varietà di una lingua"). Secondo una classificazione ormai consolidata sin dagli ultimi decenni del XIX secolo, il territorio dei dialetti alto-meridionali si estende dunque dall'Adriatico al Tirreno e allo Jonio, e più precisamente dal corso del fiume Aso, a nord (nelle Marche meridionali, al confine fra le province di Ascoli Piceno e Fermo), fino a quello del fiume Coscile, a sud (nella Calabria settentrionale, provincia di Cosenza), e da una linea che unisce, approssimativamente, il Circeo ad Accumoli a nord-ovest, fino alla strada Taranto-Ostuni a sud-est. Tale territorio arriva ad includere otto regioni italiane, tre delle quali (Campania, Molise, Basilicata) per intero. Si tratta, ad eccezione delle Marche meridionali, di terre appartenenti al Regno di Napoli. Per contro, nel territorio del Regno erano presenti anche alcuni dei dialetti oggi classificati come italiani mediani: l'aquilano, l'amatriciano, il carseolano ed il cicolano, oltre naturalmente ai dialetti meridionali estremi del Salento e della Calabria meridionale. Il tratto principale che separa i dialetti alto-meridionali dai dialetti meridionali estremi è il trattamento delle vocali non-accentate (“atone”) finali: nei primi, tranne alcune eccezioni (come si dirà di seguito), esse subiscono un mutamento in /ə/ (vocale popolarmente definita “indistinta”), mentre ciò non avviene nel dialetti del Salento né in quelli della Calabria meridionale che costituiscono così i territori peninsulari del diasistema linguistico a vocalismo siciliano. A nord, questo stesso fattore forma anche il confine (sfumato e graduale in alcune aree limitrofe) coi dialetti mediani, che hanno sette vocali fonemiche accentate, e solo cinque non-accentate. La presenza di un'ulteriore vocale (/ə/) nell'Alto Meridione implica un sistema fonemico diverso da quello calabrese e siciliano (in cui /ə/ è asistematica, o del tutto assente, e comunque di natura puramente fonetica). Nei dialetti alto-meridionali il mutamento in /ə/ ("affievolimento"/"indebolimento") delle vocali non-accentate è sovente associato a complessi fenomeni morfologici, quali ad esempio la metafonesi. I principali sottogruppi dei dialetti italiani alto-meridionali sono i seguenti: dialetti abruzzesi e marchigiani meridionali, comprendente l'Abruzzo (fatta eccezione per la porzione occidentale della provincia dell'Aquila), l'appendice nord-occidentale della provincia di Isernia, nel Molise, e la provincia di Ascoli Piceno, nelle Marche; dialetti molisani, comprendente il Molise (fatta eccezione per l'appendice nord-occidentale della provincia di Isernia) e le zone più settentrionali delle provincie di Benevento, in Campania, e di Foggia, in Puglia; dialetti pugliesi centro-settentrionali, comprendente la stragrande maggioranza della regione Puglia (fatta eccezione per il Salento e per le zone rispettivamente più a nord e ad ovest della provincia di Foggia); dialetti campani, comprendente la Campania (fatta eccezione per l'appendice più a nord della provincia di Benevento e per il Cilento meridionale), le zone più ad ovest della provincia di Foggia, in Puglia, e le porzioni meridionali delle provincie di Frosinone e di Latina, nel Basso Lazio; dialetti lucani e calabresi settentrionali, comprendente la Basilicata e la maggior parte della provincia di Cosenza, in Calabria.
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