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Titolo uniforme: Moses' final oration
Autore principale: Goodman, Micah
Pubblicazione: Firenze : Giuntina, 2018
Tipo di risorsa: testo, Livello bibliografico: monografia, Lingua: ita, Paese: IT
L'Esodo (traslitterazione del greco Ἔξοδος = uscita; in ebraico יציאת מצרים = uscita dall'Egitto) è il principale racconto descritto nell'omonimo libro della Bibbia. Il libro narra di come il popolo ebraico, che secondo la Bibbia era schiavo degli egizi, sarebbe stato liberato da Dio per mano del profeta Mosè da lui inviato. Abbandonato l'Egitto, gli ebrei avrebbero vagato nel deserto del Sinai per 40 anni per poi giungere nella terra di Canaan, dove si sarebbero insediati. La liberazione dall'Egitto è commemorata dagli Ebrei nel giorno Pesah, ovvero la Pasqua ebraica. Dato che l'unica fonte sull'esodo è la Bibbia stessa, che non vi sono prove archeologiche a sostegno del reale avvenimento di tale racconto e dato che nel periodo storico in cui esso è ambientato la Palestina era parte del Regno d'Egitto, la comunità scientifica, salvo rare eccezioni, concorda nel considerare l'esodo un mito.
Antico Testamento (o anche Vecchio Testamento o Primo Testamento) è il termine, coniato e quindi utilizzato prevalentemente in ambito cristiano, per indicare una collezione di libri ammessa nel canone delle diverse confessioni cristiane che forma la prima delle due parti della Bibbia, che corrisponde all'incirca al Tanakh, chiamato anche Bibbia ebraica. Contiene tutti i libri della Bibbia che precedono la vita di Gesù, a differenza del Nuovo Testamento che contiene solo libri posteriori a Gesù. Il canone dell'Antico Testamento varia a seconda delle diverse confessioni cristiane. Mentre la Chiesa cattolica e quella ortodossa seguono canoni più ampi ed antichi, cioè il canone alessandrino, derivato dalla versione dei Settanta della Bibbia, le comunità ecclesiali scaturite dalla riforma protestante del XVI secolo hanno generalmente ripreso ad utilizzare, in opposizione al cattolicesimo, il canone consolidatosi a partire dal II secolo in seno alla corrente spirituale ebraica dei farisei, l'unica superstite dopo la repressione della ribellione ai romani, culminata nella distruzione di Gerusalemme, nel 70 d.C., e dalla quale ha tratto origine il moderno ebraismo rabbinico.
Il canone biblico è, nell'ambito ebraico e cristiano, l'elenco dei testi contenuti nella Bibbia, riconosciuti come ispirati da Dio e dunque sacri, normativi per una determinata comunità di credenti in materia di fede e di morale. La parola canone è la traduzione del greco κανὡν (kanon, letteralmente 'canna', 'bastone diritto'). Il termine in origine indicava un regolo, ossia una canna per misurare le lunghezze; da qui, già in greco, il significato traslato di regola, prescrizione, catalogo ufficiale, modello. Tra le differenti religioni e confessioni religiose si trovano notevoli diversità sia sul modo d'intendere l'ispirazione della Bibbia, sia sulle effettive liste dei libri considerati "canonici". Esistono pertanto diversi canoni: canone ebraico. canone samaritano. canone cristiano cattolico. canone cristiano ortodosso. canone cristiano protestante. canone cristiano copto. canone cristiano siriaco. canone cristiano armeno.Non sono accolti nei canoni ebraico e samaritano i libri relativi a Gesù identificati dai cristiani di comune accordo come Nuovo Testamento. Le chiese cristiane accettano come parte di quello che chiamano l'Antico Testamento tutti i libri inclusi in quello che gli ebrei denominano con l'acronimo di Tanakh ma hanno diverse vedute sulla qualifica di canonici da dare eventualmente a certi altri libri. I testi esclusi da una chiesa ma accolti da altre sono da essa chiamati "apocrifi".
Tanàkh (in ebraico: תנך?, TNK, raramente Tenàkh) è l'acronimo, formato dalle prime lettere delle tre sezioni dell'opera secondo la tradizionale divisione ebraica, con cui si designano i testi sacri dell'ebraismo. Questi testi costituiscono, insieme ad altri libri non riconosciuti come canone dall'ebraismo, l'Antico Testamento della Bibbia cristiana, per cui spesso vengono indicati comunemente anche come Bibbia ebraica. Secondo l'ebraismo essa costituisce la tōrāh scritta, ricevuta da Mosè, il capo dei profeti (riconosciuto anche dagli angeli Moshé Rabbenu, lett. "Mosè il nostro maestro") ed ereditata eternamente dal popolo ebraico.
Mosè (latino: Moyses; Moisè in italiano arcaico; in ebraico: מֹשֶׁה, standard Moshé, tiberiense Mōšeh; greco: Mωϋσῆς; in arabo: موسىٰ, Mūsā; ge'ez: ሙሴ, Musse) fu per gli Ebrei il rav per antonomasia (Moshé Rabbenu, Mosè il nostro maestro), e tanto per gli Ebrei quanto per i cristiani egli fu la guida del popolo ebraico secondo il racconto biblico dell'Esodo; per i musulmani, invece, Mosè fu innanzi tutto uno dei profeti dell'Islam la cui rivelazione originale, tuttavia, andò perduta. Il problema della storicità di Mosè e degli eventi narrati dall'Esodo è un tema che è stato ampiamente dibattuto in ambito accademico. A chi in passato ha difeso la storicità del personaggio, si contrappongono quanti oggi vedono in Mosè una figura dai soli contorni mitici o leggendari. Tra queste due posizioni si collocano alcuni studiosi, tra cui Israel Finkelstein, che pur negando la verità storica della relativa narrazione biblica, la considerano la mitizzazione di un confronto attinente a una cronologia più bassa (a partire dal VII secolo a.C.) della storia d'Israele, ovvero dello scontro tra il re Giosia e il faraone Necao II, ritenendo quindi che i suoi protagonisti non siano che la risultante scaturita da quella che potrebbe essere chiamata pia tradizione. Il testo biblico spiega il nome "Mosè", come una derivazione dalla radice משה, collegata al campo semantico dell'"estrarre dall'acqua", in Esodo 2,10. Si suggerisce in questo versetto che il nome sia collegato all'"estrarre dall'acqua" in un senso passivo, Mosè sarebbe "colui che è stato estratto dall'acqua". Altri, prendendo le distanze da questa tradizione, fanno derivare il nome dalla stessa radice, ma con un senso attivo: "colui che estrae", nel senso di "salvatore, liberatore" (di fatto, nel testo masoretico la parola è vocalizzata come un participio attivo, non passivo). Nella lingua egizia, Mosè potrebbe significare fanciullo o anche figlio o discendente, come nei nomi propri Thutmose, "figlio di Toth", o Ramses, "figlio di Ra". Secondo la tradizione, Mosè nacque dagli israeliti Amram e Iochebed, scampato alla persecuzione voluta dal faraone, venne salvato dalla figlia di quest'ultimo ed educato alla corte egizia. Fuggì da essa a seguito d'un omicidio commesso ai danni di un sorvegliante e si ritirò nel paese di Madian dove sposò Zippora, figlia del sacerdote locale. Secondo la Bibbia nei pressi del monte Oreb ricevette la chiamata di Dio e, tornato in Egitto, affrontò il faraone chiedendo la liberazione del popolo d'Israele dalla schiavitù; questi accoglierà la sua proposta a seguito delle dieci piaghe d'Egitto, ultima delle quali la morte dei primogeniti egizi. Accampatosi con i suoi nei pressi di Yam Suf (Mare di Giunco), Mosè, su indicazione divina, divise le acque del mare permettendo così al suo popolo di attraversarlo e sommergendo infine l'esercito faraonico corso ad inseguirli. Dopo tre mesi di viaggio il profeta raggiunse il monte Sinai dove ricevette le Tavole della Legge e punì la parte del suo popolo che si macchiò con il peccato del vitello d'oro. Giunto nei pressi della terra promessa, dopo 40 anni di dura marcia, Mosè morì sul monte Nebo prima di entrarvi. È considerato una figura fondamentale nell'Ebraismo, del Cristianesimo, dell'Islam, del Bahaismo, del Rastafarianesimo, del Mormonismo e di molte altre religioni. Per gli ebrei è il più grande profeta mai esistito, per i cristiani colui che ricevette la legge divina, per gli islamici uno dei maggiori predecessori di Maometto. La sua storia è narrata, oltre che nelle Sacre Scritture, anche nel Midrash, nel De Vita Mosis di Filone di Alessandria, nei testi di Giuseppe Flavio.
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