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I verbi servili (o modali), funzionano normalmente come verbi ausiliari. Come le copule i verbi servili sono una classe ristretta e piccola. La loro caratteristica sintattica più importante è l'espansione ad infinito puro, quindi la proprietà di precedere immediatamente il verbo all'infinito. In unione con l'infinito di un altro verbo modificano il loro significato. I verbi servili sono quelli che reggono l'infinito di un altro verbo, attribuendo all'azione una specifica modalità. I verbi servili esprimono p.e. desiderio, proposito, possibilità, permesso, capacità o necessità. In Italiano i verbi servili classici sono dovere, potere, volere più sapere (nel senso di 'essere capace' 'essere in grado di'). Esempi: necessità, obbligo: Devo finire gli esercizi. possibilità: Posso venire alle 9. volontà: Voglio andarmene velocemente. capacità: So contare fino a mille in inglese.Quali siano i verbi modali di una lingua è sempre questione discussa, il che si rispecchia in italiano nella domanda se sapere sia o no un verbo modale.
I verbi spagnoli sono una delle parti più complesse della grammatica spagnola. Lo spagnolo è una lingua sintetica con un grado di flessione che va dal relativamente moderato fino a uno elevato, rivelato in massima parte nella coniugazione del verbo. Come è tipico dei verbi di tutte le lingue, i verbi spagnoli esprimono un'azione o stato di un dato oggetto e, similmente ai verbi nella maggior parte delle lingue indoeuropee, quelli spagnoli subiscono la flessione secondo le seguenti categorie: tempo: passato, presente, futuro. numero: singolare, plurale. persona: prima, seconda, terza. modo: indicativo, congiuntivo, condizionale, imperativo. aspetto: perfettivo, imperfettivo (distinti solo nel tempo passato come preterito o imperfetto). diatesi: attiva, passiva.Il sistema verbale dello spagnolo moderno ha 14 paradigmi distinti e completi (vale a dire insiemi di forme per ogni combinazione di tempo e modo), più un paradigma incompleto (l'imperativo), come pure tre forme atemporali (infinito, gerundio e participio passato). I 14 tempi regolari sono inoltre suddivisi in sette tempi semplici e sette tempi composti (noti anche come perfetti). I sette tempi composti sono formati con il verbo ausiliare haber seguito dal participio passato. I verbi possono essere usati in altre forme, similmente il presente progressivo (inglese), il quale nei trattati di grammatica di solito non viene considerato un tempo speciale, ma solo una delle costruzioni verbali perifrastiche. Nell'antico spagnolo c'erano due tempi (futuro semplice e composto del congiuntivo) che oggi risultano a tutti gli effetti obsoleti. La coniugazione verbale spagnola è divisa (come quella italiana) in quattro categorie note come modi: indicativo, congiuntivo, condizionale e imperativo più il cosiddetto, secondo la tradizione, modo infinito (le grammatiche più recenti lo chiamano formas no personales ("forme impersonali"). Quest'ultima categoria contiene le tre forme non finite che ogni verbo possiede: infiniti, gerundio e participio passato (più precisamente "participio perfetto passivo"). Il participio passato può concordare per numero e genere proprio come fosse un aggettivo, prendendo quattro possibili forme. C'è inoltre un forma tradizionalmente nota come participio presente (per es. cantante, durmiente), ma di solito viene considerato un aggettivo derivato dal verbo, piuttosto che una forma del verbo stesso, dal momento che non tutti i verbi hanno questa forma. Molti dei verbi maggiormente usati sono irregolari. Il resto ricade in una delle tre coniugazioni regolari, classificate in base alle loro terminazioni dell'infinito in -ar, -er o -ir. (La vocale della terminazione — a, e o i — viene chiamata vocale tematica.) I verbi in -ar sono quelli più numerosi (come accade per la coniugazione italiana dei verbi in -are) e i più regolari; per giunta, i nuovi verbi di solito adottano la forma -ar. I verbi in -er e -ir sono di meno e comprendono molti irregolari. Ci sono inoltre sottoclassi di verbi semi-regolari che mostrano alternanza vocalica condizionati dall'accento.
L'inglese antico o anglosassone (anche anglo-sassone e antico inglese, calchi dagli inglesi Anglo-Saxon e Old English, englisc o ænglisc nell'inglese antico), è la più antica forma conosciuta della lingua inglese, parlata tra il V e il XII secolo in zone geografiche che costituiscono parti dell'odierna Inghilterra e della Scozia meridionale. È una lingua appartenente al sottoceppo dell'anglo-frisone (a sua volta parte del più vasto ceppo del germanico occidentale o germanico del nord-ovest), simile proprio all'antico frisone e all'antico sassone. È legata anche al norreno e quindi al moderno islandese (che fa parte però del germanico settentrionale). L'antico inglese fu parlato di fatto per un periodo di circa 700 anni, partendo dalle popolazioni anglosassoni nord-germaniche e dello Jutland che arrivarono in Inghilterra. Prima della conquista dei Normanni del 1066, l'inglese antico adottò diversi aspetti di altre lingue parlate da popoli confinanti o conquistatori, come i Celti e i Vichinghi. Con la conquista da parte dei Vichinghi del Danelaw (in italiano "legge danese", la zona in cui i Vichinghi avevano fondato una vasta colonia), il norreno diede molti vocaboli all'inglese antico. Le parlate celtiche preesistenti nel territorio britannico, diversamente dal norreno e dal latino, non hanno avuto un grande impatto sulla lingua.
L'inglese (in inglese English, /ˈɪŋglɪʃ/) è una lingua indoeuropea appartenente al ramo occidentale delle lingue germaniche, assieme all'olandese, all'alto e basso tedesco e al frisone. Conserva ancora un'evidente parentela col basso-tedesco continentale. Secondo alcuni studiosi scandinavi, l'inglese, almeno dalla sua fase media, è invece più affine alle lingue germaniche settentrionali (scandinave) che non a quelle continentali. Ogni Paese o territorio in cui l'inglese è parlato come lingua madre viene detto anglofono. È la prima lingua più parlata al mondo per numero di parlanti totali (nativi e stranieri) ed è la terza per numero di parlanti madrelingua (L1) totali (la prima è il cinese).
Il giapponese (日本語 Nihongo?) è una lingua parlata in Giappone e in numerose aree di immigrazione giapponese. Insieme alle lingue ryūkyūane forma la famiglia linguistica delle lingue nipponiche. Poco si conosce della preistoria della lingua, o di quando essa apparve per la prima volta in Giappone. I documenti cinesi del III secolo registravano alcune parole giapponesi, ma testi sostanziali non apparvero prima dell'VIII secolo. Durante il periodo Heian (794-1185), il cinese ebbe considerevole influenza sul vocabolario e sulla fonologia del giapponese antico. Il giapponese tardomedio/tardo giapponese medio (1185–1600) vide cambiamenti nelle caratteristiche che lo portarono più vicino alla lingua moderna, nonché la prima apparizione di prestiti linguistici europei. Il dialetto standard si spostò dalla regione di Kansai alla regione di Edo (la moderna Tokyo) nel periodo del Primo giapponese medio (inizio del XVII secolo-metà del XIX secolo). In seguito alla fine nel 1853 dell'isolamento autoimposto del Giappone, il flusso dei prestiti linguistici dalle lingue europee aumentò significativamente. I prestiti linguistici inglesi in particolare sono diventati frequenti e le parole giapponesi con radici inglesi sono proliferate. Dal punto di vista filogenetico il giapponese si considera solitamente una lingua isolata, per l'impossibilità di ricostruire con sicurezza la sua origine. Alcune delle teorie proposte ipotizzano che il giapponese possa avere origini comuni con la lingua ainu (parlata dalla popolazione indigena Ainu tuttora presente nell'isola di Hokkaidō), con le lingue austronesiane oppure con le lingue altaiche. Le ultime due ipotesi sono attualmente le più accreditate: molti linguisti concordano nel ritenere che il giapponese sarebbe costituito da un substrato austronesiano a cui si è sovrapposto un apporto di origine altaica. Evidenti sono le somiglianze sintattiche e morfologiche con il coreano, trattandosi di lingue agglutinanti (che formerebbe con il giapponese il gruppo macro-tunguso), da cui differisce sul piano lessicale. Vari studiosi utilizzano il termine protogiapponese per indicare la protolingua di tutte le varietà delle lingue moderne del Giappone, ovvero la lingua moderna giapponese, i dialetti del Giappone e tutte le forme di lingua parlata nelle isole Ryukyu. Dal punto di vista tipologico il giapponese presenta molti caratteri propri delle lingue agglutinanti del tipo SOV, con una struttura "tema-commento" (simile a quella del coreano). La presenza di alcuni elementi tipici delle lingue flessive ha spinto tuttavia alcuni linguisti a definire il giapponese una lingua "semi-agglutinante".