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La Rota Vergilii (o Virgilii o Dottrina degli Stili) è una concezione letteraria che fiorì nel corso del Medioevo, secondo cui ci sono tre livelli stilistici (semplice, medio, elevato) cui il letterato deve attenersi. Tale dottrina prende il nome da Virgilio in quanto i tre gradi stilistici corrisponderebbero alle tre opere (Bucoliche, Georgiche ed Eneide) del letterato latino.
Immota manet, letteralmente Rimane immutata, normalmente tradotta in Resta ferma, ben salda, è una locuzione latina attribuita all'umanista aquilano Salvatore Massonio che a sua volta la prelevò da un brano delle Georgiche di Virgilio in cui si celebra la capacità della quercia di radicarsi fortemente nel terreno e, dunque, di rimanere ferma. Il poeta latino utilizza la stessa locuzione anche in alcuni punti dell'Eneide: la sua variante più celebre è infatti contenuta nel libro IV in forma di invito ad Enea a non lasciarsi smuovere dalle proprie decisioni e rigettare indietro le lacrime per l'abbandono di Didone. In questo caso il detto completo sarebbe Mens immota manet, traducibile in Rimane fermo nelle sue scelte, nel suo pensiero. Nella sua forma abbreviata (Mens immota) essa compare su una medaglia dei Gonzaga (signori di Mantova, città natale di Virgilio) insieme alla data del 1638.
Le Bucoliche sono un'opera del poeta latino Publio Virgilio Marone, iniziata nel 42 a.C e divulgata intorno al 39 a.C. È costituita da una raccolta di dieci egloghe esametriche con trattazione e intonazione pastorali; i componimenti hanno una lunghezza che varia dai 63 ai 111 versi, per un totale di 829 esametri. Questa scelta colloca quindi l'opera nel solco neoterico-callimacheo, di ispirazione alessandrina e precisamente nel filone teocriteo. “Bucoliche” deriva dal greco Βουκολικά (da βουκόλος = pastore, mandriano, bovaro); sono state definite anche ἐκλογαί, egloghe, ovvero "poesie scelte". Esse furono il primo frutto della poesia di Virgilio, ma, nello stesso tempo, possono essere considerate la trasformazione in linguaggio poetico dei precetti di vita appresi dalla scuola epicurea di Napoli.
L'Appendix Vergiliana è una raccolta di carmi di vario metro, tradizionalmente attribuiti a Publio Virgilio Marone, ma probabilmente composti tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. fra Roma e Napoli. Le probabilità che siano stati scritti proprio da Virgilio sono in realtà molto basse, per alcuni addirittura nulle. Il termine appendix fu usato per la prima volta dall'umanista Giuseppe Giusto Scaligero nel 1572 e si riferisce alla consuetudine di stampare questi testi tutti assieme e in appendice alle opere di Virgilio. I carmi sono di diversa lunghezza e valore e costituiscono più un prodotto intellettuale che non poetico.